Visualizzazione astratta e fotorealistica di molecole di cortisolo (blu) e aldosterone (rosse) che fluttuano vicino a una rappresentazione stilizzata di cellule pancreatiche e adipose, simboleggiando la loro interazione con i meccanismi dell'insulina nel diabete tipo 2. Obiettivo macro 90mm, alta definizione, illuminazione drammatica controllata, sfondo scuro e sfocato.

Diabete Tipo 2: E se la Colpa Fosse (anche) degli Ormoni? Cortisolo e Aldosterone Sotto la Lente!

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo del diabete tipo 2, una condizione che conosciamo bene, ma che nasconde ancora tanti segreti. Sappiamo che l’insulina, o meglio, come il nostro corpo la produce (secrezione insulinica) e come la utilizza (resistenza insulinica), gioca un ruolo da protagonista. Ma siamo sicuri che sia tutta qui la storia?

Il punto è che, nonostante i progressi, raggiungere un controllo glicemico stabile a lungo termine è una sfida per molti [5, 6]. Questo mi fa pensare: e se ci fossero altri attori in gioco, magari meno conosciuti, che influenzano questo delicato equilibrio?

Il Mistero del Diabete Tipo 2 e i Sospetti Ormonali

Parliamoci chiaro, gestire il diabete tipo 2 non è una passeggiata. Fattori come la glucotossicità (troppo zucchero nel sangue) e la lipotossicità (troppi grassi) possono mettere KO la produzione di insulina [2]. Aggiungiamoci l’invecchiamento e molecole infiammatorie come il TNF-alfa, e il quadro si complica [2]. Dall’altra parte, l’obesità è la regina indiscussa quando si parla di resistenza all’insulina [3], aiutata da altre sostanze come resistina e interleuchina-6 [4].

Ma la mia curiosità mi ha spinto a guardare oltre. Ci sono due ormoni, prodotti dalle nostre ghiandole surrenali, che da tempo mi incuriosiscono in relazione alla glicemia: il cortisolo (l’ormone dello “stress”) e l’aldosterone (che regola pressione e sali minerali). Sappiamo che il cortisolo alza la glicemia [7] e che chi soffre di iperaldosteronismo primario ha più probabilità di sviluppare il diabete [8].

Studi precedenti su persone *senza* diabete avevano già suggerito un legame: cortisolo più alto associato a minor secrezione di insulina [9, 10], e aldosterone più alto collegato a maggior resistenza insulinica e rischio di diabete [11, 12]. Ma la domanda che mi frullava in testa era: cosa succede in chi il diabete tipo 2 ce l’ha già, ma non ha ancora iniziato una terapia specifica? Questi ormoni potrebbero essere dei bersagli terapeutici nascosti?

Cosa Abbiamo Fatto: Uno Sguardo Indiscreto nei Dati

Per cercare risposte, abbiamo deciso di “spiare” nei dati clinici raccolti tra il 2021 e il 2023 presso il Toho University Ohashi Medical Center di Tokyo. Abbiamo selezionato 121 pazienti con una diagnosi fresca fresca di diabete tipo 2 (HbA1c > 6.5% e glicemia a digiuno > 126 mg/dL, senza anticorpi del tipo 1) che, cosa fondamentale, non avevano ancora iniziato alcuna cura farmacologica per il diabete. Perché questa scelta? Semplice: volevamo vedere l’effetto “puro” degli ormoni, senza l’interferenza dei farmaci.

Abbiamo escluso chi non aveva i dati sugli ormoni surrenalici, chi prendeva già cortisonici per altri motivi, chi aveva chetoacidosi, chi assumeva farmaci che influenzano il sistema renina-angiotensina-aldosterone (come ACE-inibitori o sartani) o beta-bloccanti, e chi aveva glicemie altissime (oltre 450 mg/dL) perché i nostri modelli matematici (chiamati HOMA2) non funzionano oltre quella soglia [13].

Per ogni paziente, abbiamo raccolto un bel po’ di informazioni: peso (BW), indice di massa corporea (BMI), esami del fegato (AST, ALT), funzione renale (creatinina, eGFR), acido urico (UA), colesterolo (TC, HDL-C, LDL-C), trigliceridi (TG), glicemia a digiuno (FBG), emoglobina glicata (HbA1c), peptide C (un indicatore della produzione di insulina endogena), pressione sanguigna (BP), e ovviamente i livelli degli ormoni che ci interessavano: ACTH, cortisolo, attività reninica plasmatica (PRA) e concentrazione plasmatica di aldosterone (PAC).

Per valutare la secrezione insulinica e la resistenza insulinica, abbiamo usato il modello HOMA2, una versione aggiornata e più precisa del vecchio HOMA [13]. Nello specifico, abbiamo calcolato HOMA2-%B (per la funzione delle cellule beta, cioè la secrezione) e HOMA2-IR (per la resistenza insulinica), usando i valori di glicemia a digiuno e peptide C.

Primo piano macro di una provetta di sangue con sfondo sfocato di un laboratorio medico, obiettivo macro 100mm, alta definizione, illuminazione controllata precisa, che simboleggia l'analisi dei parametri clinici e ormonali.

Poi è iniziata la parte divertente: l’analisi statistica! Abbiamo usato il coefficiente di correlazione di Spearman per vedere quali parametri fossero legati a HOMA2-%B e HOMA2-IR. Successivamente, con la regressione multipla, abbiamo cercato di capire quali di questi parametri fossero *predittori indipendenti*, cioè quali avessero un legame “forte” anche tenendo conto degli altri fattori. Abbiamo fatto attenzione a non mettere nel modello variabili troppo simili tra loro (multicollinearità, verificata con il VIF).

Cortisolo Sotto la Lente: Un Legame con la Secrezione di Insulina

E qui arriva il bello! Analizzando le correlazioni, abbiamo visto che un sacco di cose erano legate alla secrezione di insulina (HOMA2-%B): peso, BMI, creatinina, acido urico, sodio, cloruro, peptide C (correlazioni positive), ma anche eGFR, colesterolo totale, HDL, potassio, glicemia a digiuno, emoglobina glicata e… rullo di tamburi… il cortisolo (correlazioni negative).

Ma la vera sorpresa è arrivata con l’analisi di regressione multipla. Tenendo conto di tutti i fattori significativi, cosa è emerso come predittore indipendente della secrezione insulinica (HOMA2-%B)?

  • L’emoglobina glicata (HbA1c): più era alta, minore era la secrezione (questo ce lo aspettavamo, è la glucotossicità!).
  • Il BMI: un po’ più di peso sembrava associato a una maggiore (anche se magari insufficiente) secrezione residua.
  • Il Cortisolo: ecco la conferma! Livelli più alti di cortisolo erano associati in modo indipendente a una minore secrezione di insulina (standardized β = -0.1798, P = 0.0089).

Questo risultato è intrigante. Sappiamo che il cortisolo stimola il fegato a produrre glucosio [14], ma sembra proprio che agisca anche direttamente sulle cellule beta del pancreas, quelle che producono insulina. Studi precedenti lo avevano suggerito [9, 10, 15], e si pensa che possa farlo attivando specifici recettori sulle cellule beta [16, 17] o interferendo con i meccanismi interni che portano al rilascio di insulina [18, 19]. Quindi, sì, il cortisolo sembra mettere i bastoni tra le ruote alla nostra capacità di produrre insulina.

Aldosterone e Resistenza Insulinica: Un Nuovo Bersaglio?

Passiamo ora all’altro “indagato”: l’aldosterone. Anche qui, le correlazioni iniziali hanno mostrato legami interessanti con la resistenza insulinica (HOMA2-IR). Peso, BMI, enzimi del fegato (AST, ALT), trigliceridi, glicemia a digiuno, peptide C, attività reninica e, appunto, la concentrazione plasmatica di aldosterone (PAC) erano tutti positivamente correlati con HOMA2-IR (più alti erano, maggiore era la resistenza). Il colesterolo buono (HDL-C) era invece negativamente correlato (più ce n’era, minore era la resistenza).

E l’analisi di regressione multipla? Ha confermato i sospetti! I predittori indipendenti della resistenza insulinica (HOMA2-IR) nel nostro gruppo di pazienti erano:

  • I livelli di ALT (un enzima del fegato, spesso legato al fegato grasso e all’insulino-resistenza).
  • La Concentrazione Plasmatica di Aldosterone (PAC): bingo! Livelli più alti di aldosterone erano associati in modo indipendente a una maggiore resistenza insulinica (standardized β = 0.1753, P = 0.0458).

Questo è davvero interessante! Conferma, in pazienti con diabete tipo 2 non trattato, quello che si sospettava da studi su persone senza diabete [11, 25, 26]: l’aldosterone sembra giocare un ruolo nell’insulino-resistenza. Come? I meccanismi proposti sono diversi: potrebbe rendere più difficile per le cellule (soprattutto quelle adipose) captare il glucosio in risposta all’insulina [33, 34], promuovere infiammazione [35] che a sua volta peggiora la sensibilità insulinica [36], o interferire con la cascata di segnali intracellulari attivati dall’insulina nei muscoli e nel tessuto adiposo [37, 38, 39]. Sembra proprio che l’aldosterone in eccesso non sia un amico della nostra sensibilità all’insulina.

Visualizzazione 3D fotorealistica di recettori dell'insulina sulla superficie di una cellula muscolare, con molecole di aldosterone che interferiscono nelle vicinanze, obiettivo macro 60mm, alta definizione, illuminazione scientifica.

Cosa Significa Tutto Questo? Implicazioni e Cautela

Ok, abbiamo trovato queste associazioni: cortisolo legato a meno secrezione, aldosterone legato a più resistenza. E adesso?

Per il cortisolo, la faccenda è delicata. Non possiamo certo pensare di bloccare il cortisolo farmacologicamente per migliorare la secrezione insulinica, sarebbe impraticabile e pericoloso. Però, mi viene da pensare: lo stress psicologico è un fattore di rischio per il diabete [23] e alza i livelli di cortisolo [24]. Forse, nei pazienti diabetici con cortisolo alto, interventi mirati a ridurre lo stress (supporto psicologico, tecniche di rilassamento) potrebbero avere un effetto benefico indiretto anche sulla secrezione insulinica? Misurare il cortisolo potrebbe avere un’utilità clinica in questo senso.

Per l’aldosterone, invece, lo scenario è potenzialmente più “actionable”. Se l’aldosterone contribuisce all’insulino-resistenza, bloccarlo potrebbe essere una strategia terapeutica? L’idea è affascinante. Esistono già farmaci che bloccano l’aldosterone (come lo spironolattone o l’eplerenone), usati principalmente per l’ipertensione o lo scompenso cardiaco. Studi precedenti hanno mostrato che bloccare l’aldosterone o trattare l’iperaldosteronismo può migliorare la sensibilità insulinica [30, 31, 32]. Uno studio ha persino visto che lo spironolattone migliora i livelli di adiponectina (un ormone “buono” per la sensibilità insulinica) in pazienti diabetici con HbA1c alta (>8.0%) [40], una condizione comune nel nostro campione.

Quindi, l’idea di usare bloccanti dell’aldosterone per ridurre l’insulino-resistenza nel diabete tipo 2 è intrigante e supportata dai nostri dati. Certo, bisogna essere cauti. I vecchi bloccanti steroidei non hanno dimostrato chiaramente di migliorare la glicemia nei diabetici. Ma ora ci sono nuovi bloccanti non steroidei (come esaxerenone e finerenone) che potrebbero essere più promettenti. Servono assolutamente nuovi studi per esplorare questa pista!

Occhio ai Limiti (Siamo Scienziati, Dobbiamo Essere Onesti!)

Come ogni studio, anche il nostro ha dei limiti. Primo, non abbiamo potuto analizzare da quanto tempo i pazienti avessero il diabete, e questo potrebbe influenzare i risultati. Secondo, la maggior parte dei nostri partecipanti erano uomini (circa il 75%), quindi non sappiamo se i risultati siano perfettamente generalizzabili alle donne. Terzo, è uno studio retrospettivo, condotto in un solo centro e con un numero di pazienti non enorme (121). Sarebbe fantastico vedere questi risultati confermati in studi più grandi, multicentrici e magari prospettici, coinvolgendo popolazioni diverse.

Infine, va detto che il modello statistico per l’aldosterone e l’insulino-resistenza, sebbene significativo, spiegava solo una piccola parte della variabilità (r² basso). Questo significa che l’aldosterone è solo uno dei tanti fattori che influenzano l’insulino-resistenza, che è una bestia complessa!

In Conclusione: Nuove Piste da Esplorare

Nonostante i limiti, credo che il nostro studio aggiunga un tassello importante alla comprensione del diabete tipo 2. Abbiamo mostrato che, anche nei pazienti non trattati, il cortisolo sierico è associato alla secrezione di insulina e la concentrazione plasmatica di aldosterone è associata alla resistenza insulinica.

Questo apre scenari interessanti, soprattutto per l’aldosterone. L’idea che bloccarlo possa diventare un approccio terapeutico per ridurre l’insulino-resistenza in alcuni pazienti diabetici è stimolante e merita di essere approfondita con ricerche future, magari focalizzandosi sui nuovi farmaci non steroidei.

Il viaggio nella comprensione del diabete continua, e chissà quali altre sorprese ci riserveranno gli ormoni!

Fonte: Springer

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