Parole, Parole, Parole… Ma il Corpo Parla Più Forte! L’Impatto Nascosto della Comunicazione Non Verbale a Scuola
Ehilà, gente! Quante volte ci siamo sentiti dire una cosa, ma abbiamo percepito tutt’altro? Magari un “sì, certo, fai pure” accompagnato da un sopracciglio alzato e un sospiro che sembrava urlare “assolutamente no!”. Ecco, oggi voglio parlarvi proprio di questo: del potere, a volte un po’ subdolo, della comunicazione non verbale, specialmente in un contesto delicato come quello scolastico, dove si gioca la partita dell’autodeterminazione dei nostri ragazzi.
Mi sono imbattuto in uno studio affascinante, chiamato “doingAGENCY”, che ha messo sotto la lente d’ingrandimento proprio come si “negozia” l’autodeterminazione tra studenti e insegnanti durante attività di sperimentazione aperta. Avete presente quei momenti in cui i ragazzi dovrebbero essere liberi di esplorare, provare, sbagliare e imparare dai propri errori? Beh, non è sempre così semplice come sembra.
La Ricerca: “doingAGENCY” e la Sperimentazione Aperta
I ricercatori hanno usato un approccio qualitativo tosto, la Grounded Theory Methodologie, per osservare da vicino le interazioni in classe. L’idea di base, presa dall’approccio AGENCY, è che l’autodeterminazione non è qualcosa che uno “ha”, ma qualcosa che uno “fa”, che si costruisce attivamente nel rapporto con gli altri. E dove meglio osservare questa dinamica se non durante la sperimentazione aperta, dove, almeno in teoria, c’è più spazio per l’iniziativa individuale?
Lo studio si è svolto nel “gofex”, un laboratorio pensato apposta per le scuole primarie, un luogo dove le classi possono andare per fare esperimenti in modo sempre più autonomo. Perché proprio lì? Perché, diciamocelo, nelle scuole “normali” la sperimentazione davvero aperta è rara come un quadrifoglio. Spesso gli insegnanti, magari un po’ insicuri sulle materie scientifiche o sul gestire la “libertà” degli alunni, tendono a guidare molto, a volte troppo.
Per mesi, i ricercatori hanno osservato diverse classi, prendendo appunti dettagliatissimi su tutto: cosa facevano i bambini, come interagivano con l’insegnante, come usavano materiali e spazi. Poi, con un lavoro certosino di codifica e analisi, hanno fatto emergere dei pattern, delle costanti. E una di queste costanti, ragazzi, è stata una vera bomba.
Quando le Parole Dicono “Sì”, ma il Corpo Urla “No!”
Il risultato che mi ha colpito di più? L’enorme influenza della comunicazione non verbale dell’insegnante sulle azioni degli studenti. E la cosa pazzesca è che questo impatto è fortissimo soprattutto quando c’è una discrepanza tra quello che l’insegnante dice a parole e quello che comunica con il corpo. In pratica, i gesti, le espressioni, la postura possono avere la meglio sulle parole, andando letteralmente “contro le parole” (wider die Worte, come dice il titolo originale dello studio).
Pensateci: ricerche precedenti si erano concentrate molto su cosa dicono gli insegnanti, quante parole usano, se si “trattengono” verbalmente per lasciare spazio agli alunni. Ma questo studio ci dice che non basta. Bisogna guardare a:
- Come viene detto qualcosa.
- Come il detto viene arricchito (o sminuito) da segnali non verbali.
- E, soprattutto, come il detto viene sostituito o contraddetto dal non verbale.
Ignorare questi aspetti significa perdere un pezzo enorme della comunicazione, specialmente in contesti attivi come la sperimentazione, dove si agisce molto prima ancora di parlare.
La “sensibilità teorica” dei ricercatori li ha aiutati a cogliere queste sottigliezze. Sapevano, ad esempio, che gli insegnanti della primaria a volte non si sentono ferratissimi nelle scienze e possono essere restii a processi troppo aperti, comunicando questa ritrosia in modo sottile, spesso inconscio, e quasi sempre non verbale.
L’Esperimento che Svela Tutto: la Vignetta Illuminante
Per farci capire meglio, lo studio riporta una “vignetta” osservativa, un episodio specifico che è emblematico. Immaginate la scena: siamo al gofex, seconda visita di una seconda elementare. Tema: “Luce e Ombre”. L’esperimento è aperto: “Trova un oggetto la cui ombra si adatti esattamente a questo contorno” (proiettato su una parete con una lavagna luminosa).
Due bambini, S#1 e S#2, provano con vari solidi di legno. Niente, l’ombra non corrisponde. Sono concentrati, pazienti, discutono tra loro. L’insegnante (LP) li osserva da lontano, sorridendo. Tutto tranquillo, no? Finché S#1 non ha un’idea: “E se provassimo con un bicchiere pieno d’acqua?”.
Apriti cielo! L’insegnante scatta in piedi, si precipita al loro tavolo e vi si appoggia con entrambe le mani. S#1, un po’ preso alla sprovvista, spiega la sua idea. E qui arriva il bello (o il brutto, a seconda dei punti di vista):
- L’insegnante aggrotta le sopracciglia.
- Arriccia il naso.
- Fa un respiro profondo e udibile.
- Poi, finalmente, dice: “Mhm. Okay.“
I bambini si guardano, sembrano insicuri. L’insegnante si allontana. E cosa fanno S#1 e S#2? Abbandonano l’idea del bicchiere d’acqua, riprovano con un paio di solidi già usati, e poi passano a un altro esperimento. Fine della storia (per quell’esperimento).
L’Analisi: Decifrare il Messaggio Nascosto
Analizziamo un attimo. L’insegnante era stata informata sugli obiettivi del gofex, sulla libertà da lasciare ai bambini. Eppure, interviene. Il suo appoggiarsi al tavolo è già un’invasione del loro spazio, un modo per bloccare, anche fisicamente, la loro iniziativa. Non dice una parola, ma il messaggio è chiaro: “Fermi tutti”.
Quando S#1 spiega la sua idea (che, tra l’altro, non era affatto campata in aria), la reazione non verbale dell’insegnante è un concentrato di scetticismo e disapprovazione: sopracciglia aggrottate (dubbio forte), naso arricciato (dispiacere), respiro profondo (quasi un sospiro di rassegnazione o preoccupazione – magari per la combinazione acqua/elettricità della lavagna luminosa?).
E poi arriva quel “Mhm. Okay.” A parole, sembra un via libera. “Okay” vuol dire “va bene”, “in ordine”. Ma questo “okay” verbale è in netto contrasto con tutto il resto! È quella che gli esperti chiamano “incongruenza”: quando le intenzioni o i bisogni di una persona sono contraddittori (tipo: “vorrei lasciarli fare, ma ho paura che facciano un pasticcio/si facciano male”).
E indovinate un po’ quale messaggio recepiscono di più i bambini quando c’è incongruenza? Esatto, quello non verbale. Quel corpo che dice “no, non farlo” è molto più potente di una parola che dice “okay”. I bambini, infatti, lasciano perdere. L’autodeterminazione, in quel momento, è andata a farsi benedire, nonostante un permesso verbale.
L’Impatto della “Verhinderungskörpersprache”
I ricercatori parlano di “Verhinderungskörpersprache”, che potremmo tradurre come “linguaggio del corpo che impedisce/ostacola”. Anche se l’insegnante si trattiene verbalmente, o addirittura dà un consenso a parole, il suo corpo può comunicare aspettative, limiti, e direzionare (o bloccare) le azioni degli studenti. Questo include non solo gesti e mimica facciale, ma anche la prossemica (come ci si posiziona nello spazio), il contatto visivo (o la sua assenza), il tono della voce.
Questo studio, quindi, ci lancia un messaggio importantissimo: non possiamo limitarci ad analizzare le parole dette. Dobbiamo diventare più consapevoli di tutto l’universo non verbale che accompagna, e a volte sovrasta, la nostra comunicazione. Specialmente chi lavora nell’educazione ha una responsabilità enorme, perché questi segnali sottili possono davvero fare la differenza nel promuovere o soffocare l’autonomia e la curiosità dei ragazzi.
Pensiamoci la prossima volta che interagiamo con qualcuno, soprattutto con i più giovani. Il nostro corpo sta dicendo la stessa cosa della nostra bocca? O stiamo inviando messaggi contrastanti che potrebbero confondere, intimidire o limitare chi abbiamo di fronte?
Insomma, una bella gatta da pelare, ma fondamentale per costruire ambienti di apprendimento davvero stimolanti e rispettosi dell’individualità di ciascuno. E voi, avete mai vissuto situazioni simili, da un lato o dall’altro della cattedra (o del tavolo da esperimenti)?
Fonte: Springer