Primo piano di un pipistrello vespertilio bruno (Myotis lucifugus) appeso in letargo in una grotta umida, fotografia naturalistica con obiettivo macro 60mm, alta definizione dei dettagli del pelo bruno e delle goccioline di condensa sulle ali chiuse, illuminazione soffusa e controllata per non disturbare l'animale.

Coronavirus nei Pipistrelli: Scoperta in Canada una Sorprendente Fedeltà all’Ospite!

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo un po’ misterioso dei pipistrelli e dei virus che ospitano. Sì, lo so, quando sentiamo “pipistrelli” e “coronavirus” insieme, la mente corre subito a scenari poco rassicuranti. Ma aspettate un attimo! Il mondo della scienza è pieno di sorprese e quello che abbiamo scoperto recentemente in Canada getta una luce nuova e intrigante su questi piccoli mammiferi volanti e i loro “coinquilini” virali.

I pipistrelli, con oltre 1470 specie conosciute, sono creature incredibili. Svolgono ruoli ecologici fondamentali: impollinano fiori, disperdono semi e, cosa che forse apprezzerete di più, divorano tonnellate di insetti fastidiosi. Ma è anche vero che sono serbatoi naturali per una vasta gamma di virus, inclusi i coronavirus. Pensate che si stima esistano oltre 4800 sequenze di coronavirus identificate in poco più di 500 specie di pipistrelli! La maggior parte di questi virus se ne sta buona buona nel suo ospite naturale, senza creare problemi a noi o al bestiame. Tuttavia, alcuni parenti stretti di virus noti per aver fatto il “salto” (spillover) verso l’uomo o altri animali, come SARS-CoV, SARS-CoV-2, MERS-CoV o PEDV (il virus della diarrea epidemica suina), sono stati trovati proprio nei pipistrelli.

Gran parte della ricerca si è concentrata su Asia, Europa e Africa. Ma che dire del Nord America, e in particolare del Canada? Qui le conoscenze erano piuttosto limitate. Ecco perché abbiamo deciso di ficcare il naso (scientificamente parlando, ovvio!) per capire meglio quali coronavirus circolassero nei pipistrelli dell’Ontario.

La nostra caccia ai virus: dove e come

Ci siamo concentrati su cinque specie di pipistrelli insettivori comuni nell’Ontario orientale: il pipistrello bruno maggiore (Eptesicus fuscus), il vespertilio bruno (Myotis lucifugus), il vespertilio di Leib (Myotis leibii), il pipistrello nordico (Myotis septentrionalis) e il pipistrello tricolore (Perimyotis subflavus). Tutte specie che condividono abitudini simili: migrano tra i rifugi estivi e quelli invernali (spesso grotte o miniere abbandonate) dove vanno in letargo per superare il freddo.

Tra il 2020 e il 2023, abbiamo campionato 390 pipistrelli in cinque diverse località. Poiché molte di queste specie sono considerate a rischio (Endangered) in Ontario, soprattutto a causa della devastante sindrome del naso bianco (WNS), abbiamo usato metodi non invasivi: dei semplici tamponi orali. Niente stress eccessivo o danni per i nostri piccoli amici volanti! Abbiamo raccolto i campioni, li abbiamo messi al sicuro e poi via in laboratorio, in un ambiente di massima sicurezza (livello di contenimento 3), per l’analisi.

Abbiamo raggruppato i campioni e usato una tecnica chiamata RT-PCR (una specie di “scansione” molecolare) per cercare il materiale genetico dei coronavirus. Su 131 pool analizzati, 8 sono risultati positivi. Alcuni segnali erano deboli e non siamo riusciti a risalire ai singoli individui, probabilmente perché il materiale genetico era un po’ degradato. Ma da altri pool siamo riusciti a isolare i campioni positivi: due provenivano da Eptesicus fuscus (circa l’1.9% di quelli campionati) e tre da Myotis lucifugus (il 2.0%).

Ecco i nuovi arrivati: EfONCAN e MlONCAN

Grazie al sequenziamento dell’intero genoma (o quasi!), siamo riusciti a identificare e caratterizzare due distinti alphacoronavirus. Li abbiamo chiamati, con poca fantasia ma molta praticità, EfONCAN (per Eptesicus fuscus Ontario Canada) e MlONCAN (per Myotis lucifugus Ontario Canada).

E qui viene il bello: analizzando il loro “codice genetico”, abbiamo visto che questi virus sono strettamente imparentati con altri coronavirus già noti per circolare nelle stesse specie di pipistrelli in Nord America. L’EfONCAN è molto simile all’EbCoV (Eptesicus bat coronavirus) trovato in South Dakota (USA), mentre l’MlONCAN è un parente stretto del MylCoV (Myotis lucifugus coronavirus) trovato in Manitoba (Canada) e Colorado (USA). Curiosamente, l’EbCoV canadese mostra anche una notevole somiglianza con alphacoronavirus trovati in specie di pipistrelli imparentate (Eptesicus serotinus e Pipistrellus spp.) ma geograficamente molto distanti, come in Corea del Sud, Cina e Pakistan! Questo suggerisce storie evolutive complesse e forse antiche tra questi virus e i loro ospiti.

Un pipistrello bruno maggiore (Eptesicus fuscus) appeso a testa in giù nella penombra di una miniera abbandonata, fotografia naturalistica scattata con obiettivo macro 100mm, alta definizione dei dettagli del pelo umido e delle membrane alari, illuminazione laterale controllata per creare ombre suggestive.

Una fedeltà sorprendente: ogni pipistrello ha il suo virus?

Una delle scoperte più affascinanti è stata l’elevata specificità d’ospite. In pratica, i virus trovati negli Eptesicus fuscus erano molto simili tra loro, ma decisamente diversi da quelli trovati nei Myotis lucifugus, e viceversa. Questo è interessante perché queste due specie di pipistrelli spesso condividono gli stessi rifugi invernali (hibernacula), magari appendendosi a pochi metri di distanza! Eppure, sembra che i loro specifici alphacoronavirus non facciano facilmente il “salto” da una specie all’altra.

Come mai? La chiave sembra risiedere in una parte specifica del virus: la famosa proteina Spike (S). Questa proteina è quella che il virus usa per agganciarsi alle cellule dell’ospite ed entrare. È un po’ come una chiave che deve adattarsi a una serratura specifica. In particolare, una regione della proteina Spike chiamata dominio di legame al recettore (RBD) è cruciale per determinare a quale “serratura” (cioè, a quale recettore cellulare di quale specie) la chiave virale può adattarsi.

Abbiamo confrontato le sequenze della proteina Spike dei nostri virus. Mentre la parte “strutturale” della proteina (la subunità S2) era abbastanza simile tra i vari virus, la parte responsabile del riconoscimento dell’ospite (la subunità S1, che contiene l’RBD) mostrava molta più variabilità tra virus di specie diverse. Ma, cosa fondamentale, l’RBD dei virus provenienti dalla stessa specie di pipistrello (ad esempio, tutti gli EfONCAN tra loro) era incredibilmente simile! Fa eccezione un MylCoV trovato in Colorado anni fa, che mostra un RBD un po’ diverso, ma nel complesso il quadro è chiaro: alta somiglianza dell’RBD nei virus della stessa specie ospite, bassa somiglianza con quelli di altre specie. Questa è una forte indicazione che questi virus sono molto “fedeli” al loro ospite specifico. Abbiamo anche trovato alcuni indizi di “pressione selettiva positiva” su alcuni siti della proteina Spike, soprattutto nell’EbCoV, suggerendo che questa proteina è in continua evoluzione, forse proprio per mantenere questa specificità o adattarsi ai piccoli cambiamenti nell’ospite.

Non solo la chiave: l’importanza delle proteine “accessorie”

Ma la storia non finisce con la proteina Spike. I coronavirus hanno anche altre armi nel loro arsenale: le proteine accessorie. Non sono strettamente necessarie per la replicazione del virus, ma sono fondamentali per manipolare le difese dell’ospite e favorire l’infezione. Una di queste è la proteina ORF3. Negli alphacoronavirus umani e suini, si sa che ORF3 aiuta il virus a sopprimere la risposta immunitaria dell’ospite, in particolare la produzione di interferone di tipo I (IFN), una delle prime linee di difesa cellulare contro le infezioni virali.

Ci siamo chiesti: cosa fa l’ORF3 dei nostri virus di pipistrello? Per scoprirlo, abbiamo condotto esperimenti in vitro, usando cellule umane (HEK293T) in laboratorio. Abbiamo inserito il gene ORF3 dei nostri EfONCAN e MlONCAN (e, come controllo, quello del PEDV suino) in queste cellule e poi abbiamo stimolato una risposta immunitaria antivirale. Il risultato? Sorprendente! Sia l’ORF3 dell’EfONCAN che quello dell’MlONCAN sono stati in grado di inibire significativamente la risposta all’interferone nelle cellule umane. In particolare, l’ORF3 di EbCoV sembrava più potente nel bloccare la produzione di IFNβ, mentre quello di MylCoV era leggermente più efficace nel bloccare la segnalazione a valle dell’IFNβ.

Attenzione: questo NON significa automaticamente che questi virus siano pronti a infettare l’uomo! La capacità di infettare una nuova specie dipende da molti fattori, primo fra tutti la compatibilità della proteina Spike con i recettori cellulari. Tuttavia, questa scoperta è importante. Ci dice che, se mai uno di questi virus dovesse riuscire a superare la barriera di specie (magari attraverso mutazioni della Spike o un ospite intermedio), possiede già uno strumento (l’ORF3) che potrebbe aiutarlo a contrastare le nostre difese immunitarie iniziali. È un pezzo del puzzle da tenere in considerazione nelle valutazioni del rischio.

Micrografia ad alta risoluzione di cellule umane HEK293T in coltura su una piastra da laboratorio, alcune cellule mostrano una debole fluorescenza verde indicativa di un test reporter per l'attività del promotore dell'interferone, obiettivo macro 105mm, illuminazione da microscopia a fluorescenza, messa a fuoco precisa sui dettagli cellulari.

Cosa ci insegna tutto questo?

Questo studio è il primo a indagare così a fondo i coronavirus nei pipistrelli dell’Ontario. Abbiamo scoperto due nuovi alphacoronavirus (EfONCAN e MlONCAN) e confermato la loro stretta parentela con altri virus simili nordamericani, evidenziando una notevole specificità per il loro ospite pipistrello. La somiglianza con virus asiatici lontani apre questioni affascinanti sull’evoluzione e la diffusione di questi virus su scala globale e nel tempo profondo.

Abbiamo anche dimostrato che, nonostante la specificità d’ospite dettata dalla Spike, la proteina accessoria ORF3 di entrambi i virus ha conservato la capacità di interferire con la risposta immunitaria umana (almeno in laboratorio). Questo sottolinea l’importanza di studiare non solo le proteine di ingresso, ma anche le altre armi virali per comprendere appieno il potenziale zoonotico.

Certo, il nostro studio ha dei limiti. L’uso di tamponi orali, necessario per proteggere pipistrelli a rischio, potrebbe aver sottostimato la reale prevalenza dei virus, che spesso si concentrano nel tratto gastrointestinale. Serviranno studi futuri, magari longitudinali e con campionamenti più ampi (se possibile anche dalle feci), per capire meglio la dinamica di trasmissione di questi virus endemici, soprattutto in popolazioni di pipistrelli già fragili.

Il nostro lavoro fornisce una base di partenza cruciale. Ora sappiamo un po’ di più sulla diversità dei coronavirus in questa regione poco campionata e abbiamo nuovi indizi sulle complesse relazioni evolutive tra virus e ospiti. Continuare a monitorare questi virus, capire quali recettori usano per entrare nelle cellule e come interagiscono con il sistema immunitario dei pipistrelli (e potenzialmente di altri animali) è fondamentale, non solo per la salute pubblica e animale, ma anche per la conservazione di questi straordinari e importantissimi mammiferi volanti. La ricerca continua!

Fonte: Springer

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