Acqua in Superficie e Sottoterra: Come Far Dialogare i Modelli Matematici (e Farli Andare Veloci!)
Ciao a tutti! Avete mai pensato a come l’acqua si muove, non solo nei fiumi e nei laghi che vediamo, ma anche sotto i nostri piedi, nel terreno? È un balletto complesso, un’interazione continua tra il mondo visibile della superficie e quello nascosto del sottosuolo. Capire e prevedere questi movimenti è fondamentale per tantissime cose: gestire le risorse idriche, prevedere le inondazioni, capire l’impatto dei cambiamenti climatici e delle nostre attività sulla falda acquifera.
Ecco, noi scienziati e ingegneri cerchiamo di simulare questo “balletto” usando modelli matematici. Immaginate di avere due “esperti” digitali: uno che simula l’acqua che scorre in superficie (pensate a fiumi, ruscelli, o anche allagamenti), usando equazioni come quelle di Saint-Venant (le “shallow water equations”), e un altro che si occupa dell’acqua che si infiltra e si muove nel terreno, descritta dalla complessa equazione di Richards. Il problema è che questi due mondi non sono separati, anzi, interagiscono continuamente! L’acqua dalla superficie si infiltra nel sottosuolo, e l’acqua dal sottosuolo può risalire in superficie.
Il Rompicapo dell’Accoppiamento
Far “parlare” questi due modelli non è banale. Usiamo un approccio chiamato “partizionato”: ogni modello gira sul suo “computer” (o parte di esso), con i suoi metodi e le sue griglie di calcolo, e poi si scambiano informazioni ai confini. Ad esempio, il modello di superficie dice a quello sotterraneo quanta acqua c’è sopra (la “pressione” o altezza dell’acqua), e quello sotterraneo risponde dicendo quanta acqua sta passando attraverso l’interfaccia (il “flusso”).
Questo scambio di informazioni non avviene una volta sola, ma in modo iterativo. È un po’ come un ping-pong: il modello A passa un’informazione a B, B la usa per fare i suoi calcoli e passa un risultato aggiornato ad A, A ricalcola, e così via, finché le informazioni scambiate non si stabilizzano, cioè non cambiano più significativamente da un’iterazione all’altra. Questo processo si chiama convergenza.
Il punto è: quanto velocemente converge questo ping-pong? A volte è veloce, altre volte può essere lentissimo, rendendo le simulazioni eterne e costose. E se potessimo accelerarlo? Qui entra in gioco un trucchetto chiamato “rilassamento” (relaxation): invece di usare direttamente l’informazione ricevuta dall’altro modello, ne usiamo una versione “smorzata”, una media ponderata tra il valore vecchio e quello nuovo. Ma qual è il fattore di smorzamento ottimale (il famoso parametro di rilassamento, ω)?
Semplificare per Capire: L’Analisi Lineare
Per capirci qualcosa di più, abbiamo deciso di fare un passo indietro e semplificare il problema. Abbiamo preso il nostro complesso sistema 2D-1D (sottosuolo bidimensionale, superficie unidimensionale) e lo abbiamo ridotto a una versione super-semplificata: 1D-0D (una colonna verticale di suolo e un singolo punto per l’acqua in superficie) e, soprattutto, abbiamo linearizzato le equazioni. In pratica, abbiamo trasformato le complicate equazioni non lineari in versioni lineari, più facili da trattare matematicamente, assumendo che alcune proprietà del suolo (come la conducibilità idraulica K e la capacità idrica c) siano costanti.

Usando tecniche di analisi matematica (sia continue, basate sulla trasformata di Laplace, sia discrete, che tengono conto della griglia di calcolo e del passo temporale), siamo riusciti a fare qualcosa di notevole: abbiamo derivato delle formule esplicite! Queste formule ci dicono esattamente quanto velocemente ci aspettiamo che le iterazioni convergano (il “fattore di convergenza”) e quale sia il valore ottimale del parametro di rilassamento ω. E la cosa interessante è che questi valori dipendono proprio dalle proprietà del suolo (K e c) e dai parametri della nostra simulazione (la dimensione della griglia, Δz, e il passo temporale, Δt).
In particolare, l’analisi ci dice che la convergenza è più veloce quando la capacità idrica c o la conducibilità idraulica K sono piccole. Questo già ci dà un indizio importante sul perché, in pratica, molte simulazioni convergano abbastanza in fretta.
Dalla Teoria alla Pratica: Le Simulazioni “Vere”
Ma la teoria semplificata regge il confronto con la complessità del mondo reale (o almeno, delle simulazioni non lineari più realistiche)? Per verificarlo, siamo tornati al nostro modello 2D-1D completo, con tutte le sue non linearità, usando software potenti come DUNE per risolvere le equazioni e preCICE per gestire l’accoppiamento tra i modelli.
Abbiamo simulato due scenari “benchmark”, cioè casi di studio ben noti nella comunità scientifica, basati su problemi reali:
- Un caso di drenaggio: immaginate un terreno inizialmente saturo che viene drenato da un fosso. Abbiamo testato diversi tipi di suolo: limo sabbioso (silt loam), argilla (Beit-Netofa clay) e un caso eterogeneo (metà limo e metà argilla).
- Un caso di versante collinare (hillslope): abbiamo simulato la pioggia che cade su un pendio e osservato come l’acqua scorre in superficie e si infiltra. Anche qui abbiamo usato materiali realistici come il limo sabbioso (sandy loam).
In queste simulazioni, abbiamo misurato “sul campo” quanto velocemente le iterazioni convergevano (il nostro “fattore di convergenza sperimentale”, CRn) e l’abbiamo confrontato con le previsioni della nostra analisi lineare (calcolate usando i valori medi di c e K osservati nella simulazione).

Cosa Abbiamo Scoperto? La Teoria Funziona (in Parte!)
La buona notizia è che la nostra analisi lineare semplificata ci ha azzeccato su alcuni punti chiave:
- Spiega la velocità: L’analisi ha predetto correttamente che, per i materiali realistici che abbiamo usato (che spesso hanno valori di c e K relativamente piccoli, specialmente vicino alla saturazione), la convergenza sarebbe stata molto veloce. E infatti, nelle nostre simulazioni 2D-1D, abbiamo osservato fattori di convergenza bassissimi (tra 10⁻⁶ e 10⁻³). Questo significa che bastavano pochissime iterazioni (spesso solo 2 o 3) per raggiungere la stabilità ad ogni passo temporale.
- Identifica i fattori chiave: L’analisi ha correttamente identificato che le proprietà del suolo (c e K) sono cruciali. Abbiamo visto che cambiando tipo di suolo (es. da limo ad argilla) la velocità di convergenza cambiava, e l’analisi riusciva a prevedere qualitativamente questa differenza. Anche le variazioni di c e K durante la simulazione (dovute al cambiamento dello stato di saturazione) influenzavano la convergenza in modo simile a quanto previsto dalla teoria.
- Conferma il ruolo della verticalità: L’analisi si basava sull’idea che i processi verticali fossero dominanti. Le nostre simulazioni 2D-1D lo hanno confermato: cambiare la risoluzione orizzontale (Δx) non aveva quasi nessun impatto sulla velocità di convergenza.
I Limiti dell’Analisi Lineare
Certo, non è tutto oro quello che luccica. La nostra “sfera di cristallo” lineare ha mostrato i suoi limiti:
- Sovrastima la lentezza: In generale, l’analisi lineare tendeva a prevedere una convergenza leggermente più lenta di quella che osservavamo realmente nelle simulazioni non lineari. È come se la non linearità, in qualche modo, aiutasse il sistema a stabilizzarsi più in fretta.
- Manca effetti non lineari: Ovviamente, l’analisi lineare non poteva catturare effetti puramente non lineari, come l’impatto preciso di sorgenti esterne (la pioggia nel caso del versante) o la variabilità spaziale molto complessa. Ad esempio, abbiamo visto dei “salti” nella velocità di convergenza quando la pioggia iniziava o finiva, cosa che la teoria lineare non prevedeva.
- Dipendenza dalla discretizzazione: Qui c’è stata una sorpresa. La teoria prevedeva che la convergenza migliorasse (fattore più piccolo) diminuendo il passo temporale Δt (con una dipendenza tipo radice quadrata) e la dimensione della griglia verticale Δz. Nelle simulazioni 2D-1D, abbiamo visto che diminuendo Δt la convergenza migliorava sì, ma in modo lineare. E, ancora più strano, diminuendo Δz (cioè aumentando la risoluzione verticale), la convergenza peggiorava leggermente! Questo è un comportamento che la nostra analisi 1D-0D lineare non riesce a spiegare e probabilmente dipende da interazioni più complesse nel modello non lineare completo.

Cosa Significa in Pratica?
Morale della favola? Per i tipi di problemi e materiali che abbiamo studiato, che sono abbastanza comuni in idrologia, l’accoppiamento iterativo tra modelli di superficie e sottosuolo è intrinsecamente veloce. I fattori di convergenza sono così bassi che non c’è praticamente bisogno di usare tecniche di accelerazione come il rilassamento (il nostro ω ottimale era quasi sempre vicinissimo a 1).
Questo è importante perché ci dice che, almeno per questo aspetto, possiamo essere abbastanza fiduciosi nella robustezza dell’approccio partizionato. Possiamo concentrarci su altri aspetti, come migliorare l’efficienza dei singoli solutori o gestire situazioni più complesse (come il passaggio da terreno asciutto a bagnato e viceversa).

In Conclusione
Il nostro viaggio nell’analisi della convergenza di questi modelli accoppiati ci ha mostrato la potenza, ma anche i limiti, dell’usare analisi lineari per capire sistemi complessi e non lineari. Siamo stati i primi, per quanto ne sappiamo, ad applicare queste tecniche specifiche (analisi continua e discreta tipo Gander et al. e Monge e Birken) a questo particolare problema di accoppiamento superficie-sottosuolo in idrologia.
Abbiamo ottenuto formule utili, confermato che la convergenza è spesso rapida grazie alle proprietà intrinseche dei materiali, e capito che i processi verticali sono dominanti. Anche se la teoria non cattura ogni dettaglio non lineare, ci fornisce una comprensione fondamentale del perché queste simulazioni funzionano e di quali parametri fisici e numerici influenzano maggiormente la loro efficienza. È un passo avanti per costruire modelli idrologici sempre più affidabili e veloci per affrontare le sfide legate all’acqua nel nostro pianeta.
Fonte: Springer
