Fotografia wide-angle, 24mm, messa a fuoco nitida, che mostra una sala d'esame oftalmologica moderna con un paziente seduto davanti a un anomaloscopio HMC collegato a un computer, mentre un oculista osserva i risultati sullo schermo. L'ambiente è luminoso e pulito.

Anomaloscopio HMC vs OT-II: Il Mio Confronto Ravvicinato per Capire la Visione dei Colori

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi affascina molto nel campo dell’oftalmologia: come facciamo a diagnosticare con precisione i difetti della visione dei colori? Sapete, quelle condizioni come il daltonismo che rendono difficile distinguere certe tonalità. Non è solo una questione di non vedere un colore “giusto”, ma può avere impatti sulla vita quotidiana e su alcune professioni.

Per anni, lo strumento principe per questo tipo di diagnosi è stato l’anomaloscopio. Immaginatelo come un investigatore super specializzato che va oltre i test più comuni, come le famose tavole di Ishihara (quelle con i numeri nascosti nei pallini colorati) o il test Panel D-15 (dove bisogna mettere in ordine delle tessere colorate). L’anomaloscopio, in particolare, ci permette di capire esattamente *come* una persona mescola la luce rossa e verde per eguagliare una luce gialla di riferimento. Questa si chiama equazione di Rayleigh ed è fondamentale per distinguere tra diversi tipi e gradi di deficit (dicromia, tricromia anomala).

Perché è importante un test accurato?

Potreste chiedervi: “Ma non bastano le tavole colorate?”. Beh, sono un ottimo strumento di screening, veloci e facili da usare. Tuttavia, per una diagnosi definitiva e per classificare correttamente il tipo di anomalia (protanopia, protanomalia, deuteranopia, deuteranomalia), l’anomaloscopio è considerato il gold standard. Il problema? Usare un anomaloscopio tradizionale, come il classico Nagel (ormai fuori produzione) o il suo successore, il NEITZ OT-II, richiede un esaminatore esperto e un po’ di pazienza. Non è proprio uno strumento che si trova in ogni studio oculistico, proprio per questa sua “complessità” d’uso. Bisogna saper guidare il paziente, interpretare le sue risposte, gestire i tempi di adattamento alla luce… insomma, non è banale.

Entrano in gioco HMC e OT-II

Recentemente, però, è arrivato sul mercato un nuovo contendente: l’Heidelberg Multi-Color Anomaloskop (HMC). Questo strumento promette di semplificare le cose. La sua particolarità? Automatizza alcune fasi, come l’adattamento alla luce, e permette all’esaminatore di vedere su uno schermo del computer collegato esattamente ciò che vede il paziente, facilitando la registrazione dei risultati. Sembra fantastico, no? Più comodo, potenzialmente più veloce. Ma la domanda che mi sono posto, e che si sono posti i ricercatori di uno studio recente, è: i risultati ottenuti con il moderno HMC sono affidabili e concordanti con quelli del “vecchio” ma collaudato OT-II? È fondamentale saperlo, perché se vogliamo adottare una nuova tecnologia, dobbiamo essere sicuri che sia altrettanto valida di quella che sostituisce.

Fotografia macro, obiettivo 90mm, alta definizione, illuminazione controllata, che mostra i dettagli del meccanismo interno di un anomaloscopio classico come l'OT-II, con focus sulle manopole di regolazione rosso-verde e giallo.

Come è stato condotto lo studio?

Per rispondere a questa domanda, è stato condotto uno studio retrospettivo presso il Kariya Toyota General Hospital in Giappone. Hanno preso in esame 53 pazienti che si erano sottoposti a test della visione dei colori tra il 2019 e il 2022. Questo gruppo includeva persone con visione normale e diverse forme di deficit dei colori (protanopia, protanomalia, deuteranopia, deuteranomalia). A tutti sono stati fatti i test standard (Ishihara, SPP-1, Panel D-15) e, ovviamente, l’esame con entrambi gli anomaloscopi, HMC e OT-II, sullo stesso occhio ma in ordine casuale. L’obiettivo era confrontare i valori chiave ottenuti dai due strumenti: i valori minimi, mediani e massimi della miscela rosso-verde e della luce gialla monocromatica che i pazienti indicavano come “uguali”. Per analizzare l’accordo tra i due strumenti, hanno usato tecniche statistiche robuste come i coefficienti di correlazione intraclasse (ICC) e l’analisi di Bland-Altman.

I risultati: C’è accordo tra i due strumenti?

Ebbene, i risultati sono stati davvero incoraggianti! Gli indici ICC, che misurano quanto sono simili i risultati tra i due metodi, sono risultati molto alti per tutti i valori misurati (sia per la miscela rosso-verde che per il giallo monocromatico), con valori che arrivavano fino a 0.985 e statisticamente molto significativi (p < 0.0001). Questo significa che, in generale, c’è un’elevata concordanza tra HMC e OT-II. Se un paziente ottiene un certo risultato su uno strumento, è molto probabile che ottenga un risultato simile sull’altro. Questo è fondamentale per poter considerare l’HMC un’alternativa valida all’OT-II. L’accordo era particolarmente forte per i valori della miscela rosso-verde, che sono cruciali per la diagnosi.

Fotografia di un paziente, ritratto 35mm con profondità di campo, mentre guarda attraverso l'oculare di un anomaloscopio HMC, con lo schermo del computer accanto che mostra i campi colorati rosso-verde e giallo.

Ma attenzione ai dettagli: Gli errori sistematici

Tuttavia, l’analisi di Bland-Altman, che va a vedere più nel dettaglio le differenze tra le misurazioni, ha rivelato qualche piccola sfumatura. Ha mostrato che, sebbene la maggior parte delle differenze rientrasse nei limiti di accordo accettabili, esistevano alcuni errori sistematici. Cosa significa?

  • Errori fissi: Per alcuni valori (il valore massimo della miscela rosso-verde e il valore minimo del giallo monocromatico), c’era una differenza media costante, anche se piccola, tra i due strumenti. L’HMC tendeva a dare valori leggermente diversi dall’OT-II in modo consistente per questi parametri specifici. Parliamo di differenze medie inferiori a 1 unità di misura, probabilmente non problematiche dal punto di vista clinico, ma comunque presenti.
  • Errori proporzionali: Per altri valori (il valore massimo della miscela rosso-verde e il valore massimo del giallo monocromatico), la differenza tra i due strumenti non era costante, ma tendeva a variare a seconda del valore misurato. Ad esempio, per valori molto alti o molto bassi, la differenza poteva essere maggiore o minore. Questo è stato notato in particolare per il valore massimo della miscela rosso-verde, un parametro importante per distinguere certi tipi di deficit.

Questi errori sistematici, seppur piccoli, suggeriscono che i due strumenti non sono *perfettamente* intercambiabili in ogni singola misurazione, specialmente ai limiti dell’intervallo di misurazione. Il valore massimo della miscela rosso-verde, in particolare, sembra essere quello che richiede un po’ più di attenzione quando si confrontano i risultati.

HMC: Un passo avanti nella praticità?

Nonostante queste piccole differenze, lo studio sottolinea un vantaggio pratico dell’HMC. La sua capacità di automatizzare l’adattamento alla luce e di mostrare i colori sullo schermo del PC sembra rendere l’esame più semplice sia per il paziente che per l’esaminatore. Ottenere l'”equazione assoluta” (quella fatta dopo l’adattamento alla luce, che è la più diagnostica) potrebbe essere più immediato con l’HMC rispetto al processo più laborioso richiesto dall’OT-II. Questo potrebbe rendere l’anomaloscopia più accessibile anche a chi non ha una formazione ultra-specialistica.

Fotografia still life, obiettivo macro 60mm, alta definizione, illuminazione controllata, che mostra un grafico dell'analisi di Bland-Altman su uno schermo di computer, con punti dati sparsi attorno alla linea della differenza media.

Limiti dello studio e prospettive future

Come ogni ricerca scientifica, anche questa ha i suoi limiti. Il numero di partecipanti non era enorme, e c’erano meno persone con deficit del tipo “protan” rispetto a quelle con deficit “deutan” (anche se le proporzioni rispecchiavano quelle generalmente osservate nella popolazione). Inoltre, il metodo scelto per confrontare i risultati (minimo, mediano, massimo) è un approccio valido ma non l’unico possibile; altri metodi, come il quoziente anomalo (A.Q.), non sono stati usati perché problematici in casi di deficit gravi dove il range di uguaglianza è molto ampio. Serviranno quindi studi futuri, magari con più partecipanti e focalizzati su specifici tipi di deficit, per confermare e approfondire questi risultati. Sarà interessante anche valutare se il metodo di confronto utilizzato cattura tutte le sfumature della performance degli strumenti.

In conclusione, questo confronto mi ha dato una visione chiara: l’anomaloscopio HMC sembra essere un degno compagno (e potenziale successore) del fidato OT-II. Mostra un’elevata concordanza nei risultati, il che è rassicurante. Le piccole differenze sistematiche emerse ci ricordano però di essere sempre attenti nell’interpretazione dei dati, specialmente per alcuni valori specifici. La maggiore praticità dell’HMC potrebbe davvero democratizzare l’uso dell’anomaloscopia, rendendo questa diagnosi così precisa accessibile a più pazienti. E voi, cosa ne pensate di questi progressi tecnologici nella diagnosi visiva?

Fonte: Springer

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