Un medico e un paziente seduti uno di fronte all'altro in un moderno studio medico, impegnati in una conversazione attenta. Il medico guarda il paziente con empatia, mentre il paziente sembra esprimere le proprie preoccupazioni. L'immagine trasmette fiducia e professionalità. Prime lens, 35mm, black and white film, depth of field per un look classico e intenso.

Dottore, mi ascolti davvero? Vi svelo i segreti della comunicazione medico-paziente (e come la studiamo!)

Parliamoci chiaro: quante volte, da pazienti, ci siamo sentiti un po’ trascurati, magari non ascoltati fino in fondo dal nostro medico? E quante volte, dall’altra parte della scrivania, un medico (o un futuro medico) si è chiesto come migliorare quel dialogo così delicato e fondamentale? Beh, la comunicazione medico-paziente non è solo una questione di “buone maniere”, è una colonna portante per cure efficaci, per la fiducia e persino per l’aderenza alle terapie. Non lo dico io, lo dice la scienza!

Ecco perché, nel nostro recente studio, abbiamo voluto vederci più chiaro, cercando di capire come si evolvono le capacità comunicative degli studenti di medicina nel corso della loro formazione e, soprattutto, quali “ingredienti” non verbali rendono questa comunicazione davvero di qualità. E sì, l’abbiamo fatto in un modo un po’ speciale, usando un “approccio multi-misura”. Curiosi? Continuate a leggere!

Un’indagine “sotto copertura”: come abbiamo studiato i futuri medici

Abbiamo coinvolto 43 studenti di medicina: un gruppo era appena all’inizio, al primo semestre, mentre l’altro era già più avanti, al quinto o settimo semestre. Li abbiamo messi di fronte a una sfida: una consultazione simulata con un “paziente standardizzato” (un attore appositamente formato, per intenderci), il tutto videoregistrato. Immaginate la scena: una stanza che sembrava un vero ambulatorio, con tanto di lettino e strumenti medici, e i nostri studenti che avevano 15 minuti per leggere il caso (una paziente preoccupata per una puntura di zecca) e poi 7 minuti per parlarci, cercando di essere empatici e rassicuranti.

Ma la parte “multi-misura” dove sta? Beh, non ci siamo limitati a chiedere un parere. La qualità della comunicazione è stata valutata da due figure chiave, entrambe “alla cieca” (cioè non sapevano a che semestre appartenesse lo studente):

  • Un esperto di comunicazione, una psicoterapeuta con anni di esperienza nella formazione dei docenti di comunicazione medica, che ha usato una scala standardizzata (la Berliner Global Rating Scale).
  • Il paziente standardizzato stesso, che ha espresso la sua soddisfazione tramite un altro questionario (la Medical Interview Satisfaction Scale).

E non è finita qui! Abbiamo analizzato una marea di parametri non verbali. Perché, diciamocelo, spesso un gesto, un’espressione o un “uhm” al momento giusto dicono più di mille parole. Nello specifico, abbiamo misurato:

  • Il back-channeling: sono quei segnali verbali tipo “hmm”, “capisco”, “ok” che l’ascoltatore emette per far capire che sta seguendo. Essenziali per l’ascolto attivo!
  • Il turn-taking: quante volte il “turno di parola” è passato dallo studente al paziente e viceversa. Un buon equilibrio è fondamentale.
  • La dominanza verbale: chi ha parlato di più? Abbiamo calcolato il rapporto tra il tempo di parola dello studente e quello del paziente.
  • Le espressioni facciali emotive: grazie a un software super tecnologico (FaceReader), abbiamo analizzato automaticamente le espressioni di felicità, tristezza, rabbia, sorpresa, paura, disgusto e lo stato neutro.
  • Il livello di conduttanza cutanea (SCL): detta in parole povere, misura l’attivazione del sistema nervoso simpatico, una sorta di “termometro” del coinvolgimento e dell’arousal fisiologico.

Abbiamo anche raccolto dati sulla personalità degli studenti e sull’ansia sociale, per avere un quadro ancora più completo.

Cosa abbiamo scoperto? I risultati parlano (e sorridono!)

Come forse era lecito aspettarsi, sia l’esperto che il paziente standardizzato hanno valutato significativamente migliore la comunicazione degli studenti più avanzati (quelli del 5°/7° semestre) rispetto ai “novellini” del 1° semestre. Questo ci conferma che i corsi di comunicazione, come quello che abbiamo sviluppato qui all’Università di Augsburg (il KomCuA), funzionano e portano a un miglioramento tangibile. E non è poco, considerando che studi precedenti si basavano spesso su auto-valutazioni (che possono essere influenzate dalla desiderabilità sociale) o su voti presi in esami (OSCE), che però possono variare in difficoltà e essere influenzati dallo stress dell’esame stesso. Noi, invece, abbiamo creato un ambiente standardizzato e “fuori dall’esame”, con un unico paziente e un unico esperto valutatore per tutti.

Un giovane studente di medicina in un ambiente simulato di consultazione, seduto di fronte a un paziente standardizzato (attore), entrambi impegnati in una conversazione. Lo studente appare attento e leggermente teso. L'ambiente è una stanza d'ospedale realistica ma controllata, con telecamere discrete. Prime lens, 35mm, depth of field, illuminazione controllata per un aspetto professionale.

Ma la vera chicca arriva dai dati non verbali. Gli studenti più esperti hanno mostrato:

  • Più back-channeling: segno di un ascolto più attivo e incoraggiante.
  • Più espressioni facciali di felicità: un sorriso al momento giusto può fare miracoli! Di contro, i principianti mostravano più espressioni neutre.
  • Livelli di conduttanza cutanea più elevati: questo è interessante! Potrebbe indicare un maggiore coinvolgimento emotivo e mentale nella conversazione. Non necessariamente stress negativo, ma piuttosto un’attivazione positiva, un “esserci” pienamente.

E la cosa ancora più affascinante è che questi parametri non verbali sono stati in grado di predire significativamente la valutazione della qualità comunicativa data dall’esperto, spiegando ben il 31% della varianza! In particolare, è emerso che un maggiore arousal fisiologico (la conduttanza cutanea) era associato a una migliore qualità della comunicazione. Sembra quasi che “sentire” di più la conversazione aiuti a comunicare meglio.

Sorprese e conferme: il “non detto” che conta

C’è da dire che non tutto è andato come ci aspettavamo. Ad esempio, non abbiamo trovato differenze significative nel turn-taking (il cambio di turno nel parlare) o nella dominanza verbale tra i due gruppi di studenti. Forse la durata relativamente breve della consultazione (7 minuti) non ha permesso a queste variabili di emergere con chiarezza. O forse, in contesti simulati, la dominanza verbale tende ad essere meno variabile. È un aspetto che merita ulteriori indagini.

Nel complesso, però, i nostri risultati sottolineano quanto sia cruciale l’insegnamento delle abilità comunicative non verbali. Tecniche come l’ascolto attivo, che include il back-channeling e un linguaggio del corpo aperto (come il contatto visivo, che non abbiamo misurato specificamente qui ma è parte del training), sono fondamentali e, come abbiamo visto, migliorano con la formazione. Il fatto che gli studenti più avanzati mostrino più espressioni di felicità e un maggiore coinvolgimento fisiologico suggerisce che non si tratta solo di imparare “trucchi” comunicativi, ma di sviluppare un autentico coinvolgimento nella relazione con il paziente.

Certo, il nostro è uno studio trasversale (abbiamo confrontato gruppi diversi in un unico momento) e sarebbe fantastico, in futuro, seguire gli stessi studenti nel tempo con un design longitudinale. E sì, ci sono tantissimi altri parametri non verbali e fisiologici che si potrebbero esplorare! Ma per ora, siamo entusiasti di aver dimostrato che un approccio multi-misura può svelare dettagli preziosi sulla comunicazione medica.

Primo piano sulle espressioni facciali di uno studente di medicina durante una consultazione, con sovrapposizioni grafiche astratte che indicano l'analisi delle emozioni (felicità, neutralità). Accanto, un grafico stilizzato che mostra i livelli di conduttanza cutanea. Macro lens, 85mm, high detail, luce soffusa per evidenziare le espressioni.

In conclusione: comunicare è un’arte (e una scienza!) che si impara

Quindi, la prossima volta che parlerete con un medico (o se siete voi i futuri medici), ricordatevi che dietro a una buona comunicazione c’è tanto studio, tanta pratica e un sacco di “segnali nascosti” che il nostro corpo invia. Il nostro studio aggiunge un piccolo tassello a questo affascinante puzzle, mostrando che la comunicazione efficace si manifesta su più canali e che un sincero coinvolgimento nella conversazione potrebbe essere il vero segreto per un dialogo medico-paziente di successo. E questo, credetemi, fa una differenza enorme per la salute e il benessere di tutti.

Fonte: Springer

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