Visualizzazione artistica astratta del contatto tra due superfici metalliche separate da un sottile strato di tribofilm ZDDP luminescente, con linee che indicano flusso e stress. Una parte mostra un comportamento più fluido (viscoso) a bassa velocità, l'altra un comportamento più solido (elastico) ad alta velocità. Illuminazione drammatica, stile high-tech, obiettivo grandangolare 24mm per dare un senso di scala microscopica ma dinamica.

Il Tribofilm ZDDP: Solido Roccioso o Miele Lento? Sveliamo il suo Comportamento nel Tempo!

Ciao a tutti, appassionati di scienza e motori! Avete mai pensato a cosa succede davvero a livello microscopico quando due superfici metalliche sfregano tra loro, ad esempio dentro un motore o un ingranaggio? C’è un mondo affascinante lì sotto, fatto di forze, attriti e… strati protettivi quasi magici! Oggi voglio parlarvi di uno di questi “supereroi” della lubrificazione: il tribofilm derivato dallo ZDDP.

Lo ZDDP (zinco dialchilditiofosfato, un nome complicato, lo so!) è da decenni l’additivo anti-usura per eccellenza negli oli motore. Pensatelo come una sorta di “cerotto” chimico che si forma proprio dove serve, sulle superfici metalliche a contatto, proteggendole dall’usura. Non solo, fa anche da antiossidante e anticorrosivo. Un vero portento!

Ma c’è un “ma”… Anzi, più di uno!

Questo fantastico ZDDP, però, ha anche i suoi lati oscuri. Si è scoperto che, in certe condizioni, può favorire un tipo di danneggiamento chiamato “micropitting” (micro-vaiolatura) negli ingranaggi e nei cuscinetti, proprio a causa dell’alto attrito e della bassa usura che genera. Sembra un controsenso, vero? Protegge dall’usura ma può causare un altro tipo di danno! Inoltre, la sua presenza può ostacolare il “rodaggio” delle superfici ruvide, portando a concentrazioni di stress che aumentano il rischio di fatica superficiale.

E non finisce qui. Lo ZDDP contiene zolfo e fosforo, elementi che sono un veleno per i catalizzatori dei sistemi di scarico moderni, contribuendo all’inquinamento. Come se non bastasse, con l’avvento delle auto elettriche (EV) e ibride, sono emersi nuovi problemi. Lo zolfo può corrodere i componenti in rame dei motori elettrici, e i tribofilm stessi possono aumentare la resistenza elettrica nei punti di contatto, causando surriscaldamenti e problemi legati alle correnti disperse nei cuscinetti. Insomma, un eroe con qualche difetto di troppo per il futuro “elettrico”.

Ecco perché è fondamentale capire esattamente come funzionano questi tribofilm. Dobbiamo conoscerne le proprietà meccaniche, la struttura, come si formano e come si comportano nel tempo (la loro reologia, per usare un termine tecnico) per poter sviluppare alternative più ecologiche ed efficienti, soprattutto per i veicoli elettrici.

La Sorpresa: Non Solo Solido, Ma Anche “Viscoso”!

Per tantissimo tempo, abbiamo pensato al tribofilm ZDDP come a uno strato solido, che reagisce elasticamente (come una molla) quando viene premuto. Ma la realtà, come spesso accade nella scienza, è più complessa e affascinante. Già tempo fa, qualcuno ipotizzò che all’interno del contatto tribologico il film potesse essere in uno stato quasi liquido, simile a magma o plasma ad alta temperatura.

Poi, studi più recenti hanno iniziato a mostrare qualcosa di diverso. Si è scoperto che sopra lo strato più solido c’è un “overlayer” più morbido e viscoso. Addirittura, esperimenti hanno mostrato che “pad” di tribofilm si allungano nella direzione dello scorrimento, quasi come se fluissero! E analisi chimiche hanno confermato la presenza di gradienti di composizione: più solido vicino al metallo, più fluido verso l’esterno.

La svolta è arrivata con il lavoro di Dorgham e colleghi. Hanno dimostrato sperimentalmente, usando tecniche sofisticate come l’AFM (Microscopia a Forza Atomica) in condizioni operative, che i tribofilm ZDDP si comportano come interfacce viscoelastiche. Cosa significa? Immaginate un materiale che è un po’ come una molla (elastico) e un po’ come del miele denso (viscoso). Reagisce istantaneamente a una forza, ma poi continua a deformarsi lentamente nel tempo (creep) o la sua tensione interna diminuisce anche se la deformazione è mantenuta costante (rilassamento). Hanno scoperto che questa natura “fluida” permette al film di formarsi, adattarsi e auto-ripararsi durante lo sfregamento, contribuendo alla sua efficacia anti-usura. Hanno persino quantificato questa viscoelasticità, scoprendo che il suo comportamento nel tempo può essere descritto da un modello matematico chiamato “modello di Burgers”.

Immagine macro ad alta definizione di gocce di olio motore dorato su una superficie metallica lucida e scura, con riflessi che suggeriscono movimento e lubrificazione, illuminazione controllata laterale per enfatizzare la texture, obiettivo macro 100mm, alta definizione.

Il Nostro Approccio: Un Modello a Strati per Capire Meglio

Qui entriamo in gioco noi (idealmente, il team di ricerca dietro l’articolo originale). I modelli classici di contatto spesso assumono che i corpi siano “semi-spazi infiniti”, cioè molto spessi rispetto all’area di contatto. Ma un tribofilm è sottilissimo, parliamo di nanometri! È uno strato su un substrato (il metallo sottostante). Questo cambia tutto.

Per studiare il comportamento viscoelastico di questi film sottili, abbiamo sviluppato un modello di contatto per materiali a strati. Siamo partiti da modelli esistenti per il contatto elastico a strati e li abbiamo “convertiti” per materiali viscoelastici usando un potente strumento matematico chiamato “principio di corrispondenza elasto-viscoelastico”. In pratica, abbiamo trasformato le equazioni che descrivono come uno strato elastico risponde a una forza in equazioni che descrivono come uno strato viscoelastico risponde nel tempo.

Abbiamo usato le funzioni di risposta in frequenza (ottenute con trasformate di Fourier, un altro trucco matematico) per calcolare i “coefficienti di influenza”, che ci dicono come la pressione in un punto influenza la deformazione in un altro punto, tenendo conto sia dello strato che del substrato e, soprattutto, del tempo! Per descrivere il tribofilm ZDDP, abbiamo usato proprio il modello di Burgers, “tarandolo” sui dati sperimentali di Dorgham.

Abbiamo dovuto fare delle semplificazioni, ovviamente. Abbiamo assunto che il tribofilm fosse uno strato uniforme, liscio e omogeneo. Sappiamo che nella realtà è più complesso, “a chiazze” e con proprietà variabili lungo lo spessore (come si vede nella Figura 1 dell’articolo originale). Inoltre, non abbiamo considerato gli effetti della temperatura e della tribochimica (le reazioni chimiche indotte dallo sfregamento), che sono cruciali per la formazione del film. Ma il nostro obiettivo era isolare e capire l’effetto della viscoelasticità intrinseca del film una volta formato.

Cosa Abbiamo Scoperto: Indentazione e Scorrimento

Allora, cosa ci ha detto il nostro modello?

1. Se il tribofilm fosse un blocco infinito (half-space):
Abbiamo prima simulato cosa succederebbe se il tribofilm fosse infinitamente spesso. Il risultato? Si comporterebbe in modo estremamente fluido. Sotto carico costante (indentazione), l’area di contatto continuerebbe ad aumentare e la pressione si concentrerebbe sui bordi, creando picchi notevoli. Sotto deformazione costante, la pressione diminuirebbe drasticamente nel tempo (rilassamento). Questo conferma la sua natura intrinsecamente viscoelastica e “quasi liquida” trovata sperimentalmente.

2. Il tribofilm come strato sottile su acciaio (layered):
Qui le cose si fanno interessanti e più realistiche. Abbiamo simulato una sfera d’acciaio che preme o scivola su un tribofilm di 150 nm (uno spessore tipico) depositato su un substrato d’acciaio.

  • Indentazione (pressione): Anche come strato sottile, il tribofilm mostra effetti viscoelastici. Sotto carico costante, si osserva ancora il “creep” (l’area di contatto aumenta e la pressione diminuisce nel tempo), soprattutto a bassi carichi. A carichi elevati, l’effetto è meno marcato perché il substrato rigido “sente” di più. Non ci sono più i picchi di pressione estremi visti nel caso half-space; il sistema combinato strato+substrato è più “solido”. Curiosamente, sotto deformazione costante, abbiamo visto che l’area di contatto può addirittura aumentare nel tempo! Questo perché il substrato rigido limita la deformazione verticale, “costringendo” il materiale viscoelastico a fluire lateralmente. Un comportamento unico di questo sistema a strati!
  • Scorrimento (sliding): Questa è la condizione più comune nelle applicazioni reali. Qui la velocità di scorrimento gioca un ruolo fondamentale.
    • A velocità estremamente basse (meno di 1 micrometro al secondo, molto più lente di quelle tipiche in un motore), gli effetti viscoelastici sono ancora evidenti. La distribuzione della pressione cambia nel tempo, l’area di contatto può spostarsi. L’effetto è più pronunciato a carichi elevati.
    • Ma… appena aumentiamo la velocità a valori più moderati (da millimetri a metri al secondo, le velocità tipiche in motori, ingranaggi, cuscinetti), gli effetti tempo-dipendenti diventano trascurabili! Indipendentemente dal carico, la distribuzione della pressione si stabilizza quasi subito. Il tribofilm, in queste condizioni, si comporta essenzialmente come uno strato elastico morbido.

Visualizzazione 3D astratta di uno strato sottile viscoelastico (simile a gel trasparente con texture interna) su un substrato metallico rigido grigio scuro, con una sfera lucida che lo indenta dall'alto, frecce indicano il creep laterale, illuminazione da studio drammatica, obiettivo 35mm, profondità di campo.

Un Ponte tra Nano-Scala e Applicazioni Pratiche

Questi risultati sono entusiasmanti perché aiutano a conciliare osservazioni apparentemente contrastanti. Da un lato, abbiamo gli esperimenti su nanoscala (come quelli di Dorgham) che mostrano chiaramente la natura viscoelastica e fluida del tribofilm a basse velocità o in condizioni quasi statiche. Dall’altro, abbiamo decenni di esperienza pratica e studi su larga scala dove il tribofilm si comporta prevalentemente come uno strato protettivo solido (anche se morbido).

Il nostro modello suggerisce che entrambe le visioni sono corrette, ma dipendono dalle condizioni operative, in particolare dalla velocità di scorrimento. A basse velocità, la viscoelasticità conta e può contribuire a ridurre la pressione e assorbire energia (smorzamento), aiutando a mitigare l’usura. Ma alle alte velocità tipiche della maggior parte delle applicazioni, il tempo a disposizione è troppo breve perché gli effetti viscosi si manifestino in modo significativo. In questi casi, è la risposta elastica istantanea del film a dominare.

Questo spiega perché, nonostante la sua intrinseca viscoelasticità, in molte situazioni pratiche possiamo semplificare e considerare il tribofilm ZDDP come uno strato elastico morbido.

Cosa Significa Tutto Questo?

Capire questa dualità è cruciale.

  • Ci dice che l’efficacia del tribofilm non dipende solo dalle sue proprietà intrinseche, ma fortemente dalle condizioni di lavoro (velocità, carico).
  • Ci aiuta a interpretare correttamente i risultati sperimentali ottenuti a diverse scale e in diverse condizioni.
  • Fornisce indicazioni preziose per lo sviluppo di nuovi additivi. Se vogliamo sostituire lo ZDDP, dobbiamo capire quale comportamento (elastico, viscoelastico) è più desiderabile per una specifica applicazione e progettare molecole che lo forniscano, magari senza gli svantaggi ambientali e di compatibilità dello ZDDP.
  • Apre la strada a studi futuri: come cambiano le cose con tribofilm diversi (da altri additivi)? Come influiscono la rugosità, la temperatura, la chimica in tempo reale? Come modellare la formazione e la rimozione dinamica del film?

Simulazione grafica che mostra due superfici metalliche in scorrimento relativo ad alta velocità (effetto motion blur leggero) con un sottile strato intermedio (il tribofilm ZDDP) che appare come un layer elastico stabile, evidenziando una distribuzione della pressione quasi simmetrica e costante nel tempo, stile infografica scientifica chiara e moderna, teleobiettivo 100mm.

Insomma, il viaggio alla scoperta dei segreti del tribofilm ZDDP è tutt’altro che finito. Abbiamo aggiunto un tassello importante, mostrando come il suo comportamento dipenda dal tempo e dalla velocità, passando da “miele lento” a “gomma morbida” a seconda delle circostanze. È un esempio perfetto di come la scienza dei materiali e la tribologia continuino a svelare la complessità nascosta nel funzionamento delle macchine che usiamo ogni giorno!

Alla prossima avventura scientifica!

Fonte: Springer

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