Farmaci e Pazienti Oncologici: La Complessità Nascosta della Terapia che Dobbiamo Affrontare
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che, troppo spesso, passa in secondo piano quando si discute di cure oncologiche: la complessità del regime farmacologico. Quando pensiamo alla lotta contro il cancro, la nostra mente corre subito alla chemioterapia, alla radioterapia, agli interventi chirurgici. Ma c’è un aspetto quotidiano, spesso silenzioso e decisamente sottovalutato, che può fare una differenza enorme nella vita dei pazienti e nell’efficacia stessa delle cure: la gestione dei farmaci.
Parliamoci chiaro: non si tratta solo del *numero* di pillole da prendere. La vera sfida, per molti pazienti oncologici, risiede nella complessità intrinseca della loro terapia farmacologica. E questa complessità, come vedremo, ha implicazioni molto concrete.
Ma cosa intendiamo esattamente per ‘complessità’?
Non è solo una questione di polifarmacia (prendere tanti farmaci diversi), anche se quella è certamente una parte del problema. La complessità di un regime terapeutico dipende da tanti fattori:
- Forma farmaceutica: Si tratta di pillole, capsule, fiale da iniettare, cerotti transdermici, sciroppi, sospensioni?
- Frequenza di dosaggio: Una volta al giorno? Due? Tre? A orari specifici?
- Istruzioni aggiuntive: Il farmaco va preso a stomaco pieno o vuoto? Lontano da altri farmaci? Bisogna evitare certi cibi? Il cerotto va cambiato ogni 48 ore?
Tutti questi elementi contribuiscono a rendere l’assunzione dei farmaci un vero e proprio “lavoro” per il paziente. Per cercare di misurare oggettivamente questo groviglio, è stato sviluppato uno strumento chiamato Medication Regimen Complexity Index (MRCI). Questo indice assegna un punteggio basato proprio su forma, frequenza e istruzioni speciali di ogni farmaco prescritto. Più alto è il punteggio, più complessa è la terapia.
Cosa ci dice uno studio recente?
Ho letto di recente uno studio molto interessante (pubblicato su Springer, trovate il link alla fine) che ha indagato proprio la complessità terapeutica in un gruppo di 147 pazienti oncologici ricoverati in un ospedale terziario. E i risultati fanno riflettere.
La prima scoperta, forse un po’ sorprendente, è che la complessità della terapia (misurata con l’MRCI) aumenta significativamente dal momento del ricovero a quello della dimissione. Il punteggio mediano MRCI all’ammissione era 11.0, mentre alla dimissione saliva a 15.0. Questo accade perché durante il ricovero spesso si aggiungono farmaci per nuove diagnosi, si modificano terapie esistenti (magari passando da una formulazione orale a una transdermica per gli oppioidi) o si introducono trattamenti di supporto (come eparina a basso peso molecolare per il rischio tromboembolico o sospensioni orali per la mucosite).
E qui arriva un punto cruciale: una maggiore complessità al momento della dimissione è risultata collegata a un rischio più alto di ricoveri non programmati entro 30 giorni. I pazienti che hanno avuto un ricovero non pianificato avevano un punteggio MRCI mediano alla dimissione significativamente più alto (24.0) rispetto a quelli che non sono stati ricoverati (12.25). Questo suggerisce che l’MRCI potrebbe essere un utile campanello d’allarme per identificare i pazienti più a rischio.
Lo studio ha anche esplorato come i pazienti *percepiscono* questo carico terapeutico, usando un questionario sviluppato ad hoc (MCQPP). È emerso chiaramente che i pazienti con regimi più complessi percepivano:
- Un maggior peso generale legato ai farmaci.
- Maggiori difficoltà pratiche nel seguire la terapia.
- Un impatto più significativo sulla loro vita quotidiana e sociale.
Insomma, la complessità non è solo un numero, ma un fardello reale che i pazienti si portano addosso.
Il Farmacista Clinico: Un Alleato Prezioso nel Team
Ma c’è una buona notizia! Nonostante l’aumento della complessità, l’aderenza alla terapia (cioè quanto i pazienti seguono effettivamente le prescrizioni), misurata con la scala MARS, è migliorata tra il momento del ricovero e la visita di controllo successiva alla dimissione. Il punteggio MARS mediano è passato da 19 a 20. Come è possibile?
Lo studio attribuisce questo risultato positivo all’educazione fornita al paziente al momento della dimissione da parte del team multidisciplinare, che includeva un farmacista clinico. Questo sottolinea un aspetto fondamentale: il ruolo chiave del farmacista clinico. Durante il ricovero, il farmacista nello studio ha identificato una media di un problema correlato ai farmaci (DRP – Drug-Related Problem) per paziente. Questi problemi riguardavano la sicurezza (es. dosi troppo alte), l’efficacia (es. indicazioni non trattate) o altro (es. regime di dosaggio troppo frequente).
Il farmacista ha fatto raccomandazioni per risolvere questi problemi (cambi di dosaggio, sospensione o inizio di farmaci, istruzioni modificate, ecc.) e ben l’83.3% di queste raccomandazioni sono state accettate e implementate dai medici e dai pazienti! Questo dimostra come la collaborazione tra medico e farmacista possa davvero ottimizzare la terapia e aumentare la sicurezza.
Perché tutto questo è importante per noi?
Capire e misurare la complessità della terapia farmacologica nei pazienti oncologici non è un mero esercizio accademico. Ha implicazioni pratiche enormi. Integrare strumenti come l’MRCI nella pratica clinica e coinvolgere attivamente i farmacisti clinici nel team di cura può permetterci di:
- Identificare precocemente i pazienti ad alto rischio di scarsa aderenza, eventi avversi o ricoveri ripetuti.
- Dare priorità agli interventi di supporto per questi pazienti.
- Personalizzare maggiormente le terapie, cercando, ove possibile, di semplificarle senza comprometterne l’efficacia.
- Migliorare la comunicazione con il paziente riguardo ai suoi farmaci, affrontando le sue preoccupazioni e difficoltà.
- Ottimizzare l’intero percorso terapeutico, migliorando potenzialmente gli esiti clinici e la qualità di vita.
Uno Sguardo al Futuro
Certo, come ogni ricerca, anche questo studio ha i suoi limiti. È stato condotto in un unico centro, il follow-up sull’aderenza era relativamente breve e il questionario sulla percezione del paziente (MCQPP) necessita ancora di validazione. Tuttavia, apre una strada importantissima.
Serviranno studi futuri su scala più ampia, magari multicentrici, con follow-up più lunghi e idealmente con un gruppo di controllo, per confermare questi risultati e valutare in modo ancora più robusto l’impatto degli interventi mirati a ridurre la complessità o a gestirla meglio (come quelli del farmacista clinico). Sarebbe anche fondamentale validare strumenti che catturino la percezione del paziente riguardo al carico farmacologico.
La conclusione che mi sento di trarre è questa: la complessità dei regimi farmacologici nei pazienti oncologici è un fattore reale, tangibile, che impatta sulla loro vita e sulla loro salute. Ignorarla non è un’opzione. Dobbiamo riconoscerla, misurarla e affrontarla attivamente come parte integrante della cura oncologica. L’approccio multidisciplinare, con il farmacista clinico come figura chiave per la gestione della terapia farmacologica, sembra essere la strada maestra per supportare al meglio i nostri pazienti in questo aspetto così delicato del loro percorso. È un invito a tutti noi operatori sanitari a tenere gli occhi ben aperti su questa “complessità nascosta” e a lavorare insieme per renderla più gestibile.
Fonte: Springer