Visualizzazione astratta e fotorealistica di una rete complessa tridimensionale, simboleggiante le interconnessioni nella comunicazione scientifica e l'eredità intellettuale di Loet Leydesdorff. Nodi luminosi collegati da linee energetiche fluttuanti in uno spazio scuro. Obiettivo grandangolare, 15mm, messa a fuoco nitida, sensazione di profondità e complessità.

Complessità al Cubo: Viaggio nel Mondo Affascinante di Loet Leydesdorff

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio intellettuale affascinante, alla scoperta di una figura che ha letteralmente plasmato il modo in cui pensiamo e misuriamo la scienza: Loet Leydesdorff. Forse il nome non vi suonerà immediatamente familiare come quello di Einstein o Marie Curie, ma credetemi, il suo impatto nel campo della scientometria e degli studi su scienza e tecnologia (STS) è stato enorme. E ve lo racconto non solo da studioso, ma da persona che ha avuto la fortuna di incrociare il suo cammino.

Un Incontro Inaspettato e un Percorso Interdisciplinare

Il mio primo “incontro” con Loet, 33 anni fa, non fu attraverso i suoi scritti, ma di persona. Stavo intervistando lo staff di Science Dynamics all’Università di Amsterdam per un paio di riviste olandesi. Fui subito catturato dall’atmosfera, dal tipo di discussioni che animavano i loro famosi seminari. C’era qualcosa di elettrizzante nell’aria, un modo nuovo di guardare alla scienza. Tanto che, spinto da un collega di Loet, Rob Hagendijk, decisi di candidarmi per un dottorato proprio lì. La posizione riguardava il ruolo degli strumenti scientifici misurato scientometricamente. Non ottenni quel posto – Loet, probabilmente a ragione, capì che non avevo ancora le competenze metodologiche necessarie – ma evidentemente, una scintilla era scoccata. Pochi mesi dopo, riuscii comunque ad entrare nel gruppo come dottorando part-time. Da allora, il lavoro teorico ed empirico di Leydesdorff non ha mai smesso di affascinarmi.

Ma chi era Loet Leydesdorff? Nato a Giacarta nel 1948, aveva una formazione iniziale che forse non ti aspetteresti: chimica (1969) e biochimica (1972), entrambe cum laude. Questo background scientifico “duro” probabilmente ha instillato in lui un’attenzione particolare per la misurazione. Ma Loet era un pensatore inquieto, un vero interdisciplinare ante litteram. Non si fermò lì: conseguì anche un master in filosofia e si immerse nelle scienze sociali, in particolare nella teoria della comunicazione. E prima ancora, negli anni ’70, fu attivissimo nel movimento olandese degli “Science Shops”, iniziative volte a mettere la conoscenza scientifica al servizio dei cittadini per questioni come l’inquinamento ambientale o le condizioni di lavoro. Questo impegno precoce per l’interazione tra scienza e società sarebbe rimasto una costante nel suo pensiero, culminando nei celebri lavori sulla Triple Helix (università-industria-governo) sviluppati con Henry Etzkowitz.

La Scienza come Comunicazione: Oltre la Semplice Misurazione

Leydesdorff ha costruito un corpus di lavori incredibilmente complesso, attingendo da tradizioni teoriche diversissime: teoria evolutiva, teoria della complessità, teoria della comunicazione, filosofia della scienza. Nel 2021 ha pubblicato la sintesi del suo pensiero in un libro open access, The Evolutionary Dynamics of Discursive Knowledge. Il sottotitolo è illuminante: sviluppò una “filosofia empirica della scienza” vista attraverso l’evoluzione dei processi comunicativi. Per lui, la scientometria era molto più che contare articoli e citazioni. Era una finestra sulla natura stessa delle società della conoscenza e sui processi di comunicazione in generale.

Un momento chiave fu la creazione, nel 1980, del Dipartimento di Science Dynamics ad Amsterdam, nato proprio per basare le politiche scientifiche su un’analisi rigorosa dello sviluppo della scienza stessa. Leydesdorff fu una delle figure centrali fin dall’inizio. Anche se ottenne il dottorato in sociologia solo nel 1984, era già un autore prolifico. È interessante notare che il suo primo articolo su Scientometrics (1981) non era un’analisi quantitativa, ma uno studio sulla socializzazione degli studenti di fisica, usando persino un quadro teorico marxista!

Macro fotografia, obiettivo 90mm, di un complesso circuito stampato con componenti elettronici interconnessi e tracce luminose, simboleggiante la struttura intricata della conoscenza scientifica e le sue misurazioni. Alta definizione, illuminazione controllata per enfatizzare i dettagli.

Questo ci porta al cuore del suo approccio, che emerse chiaramente nel suo primo articolo “hardcore” di scientometria del 1986. Fin da subito, Leydesdorff mise in chiaro alcuni punti fondamentali che avrebbero caratterizzato tutto il suo lavoro:

  • La teoria prima di tutto: Non basta avere dati. Serve un quadro teorico solido per formulare aspettative e interpretare i risultati. Buttarsi sui numeri senza teoria è fuorviante.
  • La scienza è multi-livello: Lo sviluppo della scienza avviene a livelli diversi (cognitivo, sociale, istituzionale) che non possono essere ridotti l’uno all’altro. Usare la stessa parola (es. “sviluppo cognitivo”) per livelli diversi senza distinguere è un errore concettuale.
  • Rendere misurabile il teorico: I problemi teorici possono e devono essere tradotti in dati empirici misurabili, come ad esempio i dati del Journal Citation Reports.

Decostruire le Citazioni: Significato vs. Comportamento

Questa impostazione lo portò a sviluppare una vera e propria teoria della citazione, già nel 1987, in un articolo intitolato, significativamente, “Towards a theory of citation?” (con un punto interrogativo!). Criticava la tendenza, spesso guidata da esigenze politiche o contrattuali, a produrre risultati “significativi” basati su ciò che si riusciva a misurare, senza una riflessione teorica profonda.

La sua critica si basava sulla distinzione cruciale tra la scienza come struttura cognitiva e come istituzione sociale. Sono collegate, certo, ma non vanno confuse. Le teorie sociologiche della citazione (come quelle normative di Kaplan o interpretative di Gilbert) si concentrano sul comportamento dei singoli scienziati. L’approccio simbolico di Small è più orientato al linguaggio. Per Leydesdorff, il dibattito era confuso perché non si distingueva chiaramente il livello di analisi. La citazione ha significato in almeno due contesti: quello sociale (perché uno scienziato cita?) e quello cognitivo (che ruolo gioca la citazione nella struttura argomentativa e nello sviluppo della conoscenza?).

La domanda cruciale, per Loet, non era “cosa spiega le citazioni?”, ma “cosa possiamo spiegare CON l’aiuto dei dati di citazione?“. Questo ribaltamento di prospettiva è fondamentale. La citazione non è l’oggetto finale dell’analisi, ma uno strumento, un indicatore potenziale per variabili definite all’interno di un modello teorico più ampio dello sviluppo scientifico.

Insieme a Olga Amsterdamska, un’altra figura chiave di Science Dynamics, pubblicò studi fondamentali che combinavano dati scientometrici con interviste e questionari. Dimostrarono, ad esempio, che le motivazioni dichiarate dai ricercatori per le loro citazioni non corrispondevano necessariamente alla funzione linguistica che quelle citazioni avevano nei testi. Conclusione? Le citazioni, prese da sole, non sono un indicatore valido della “qualità” al momento della pubblicazione, e usarle per mappare strutture sociali (reputazione, network) non permette automaticamente di inferire caratteristiche degli autori o delle istituzioni. Anzi, ipotizzarono che potesse essere il contrario: forse è l’organizzazione cognitiva del campo di ricerca a plasmare l’organizzazione sociale, e non viceversa.

Visualizzazione 3D astratta della Triple Helix (Università-Industria-Governo) come sfere interconnesse da flussi di dati luminosi, rappresentante l'innovazione sistemica. Teleobiettivo zoom, 200mm, sfondo scuro per enfatizzare le connessioni, effetto movimento leggero.

Dalle Parole all’Informazione: Verso una Teoria Generale della Comunicazione

Questa distinzione tra dimensione sociale e cognitiva rimase centrale. Lo portò anche a prendere le distanze da approcci costruttivisti dominanti in STS che tendevano a “appiattire” queste dimensioni. Leydesdorff era un costruttivista a suo modo, ma anti-positivista e attento alle specificità dei diversi livelli.

Un altro passaggio cruciale fu lo spostamento dal focus sulle “parole” e “co-parole” (come nell’approccio di Callon) al concetto più astratto di “informazione“, ispirato da Shannon. L’informazione, essendo priva di contenuto specifico, poteva essere misurata a diversi livelli di aggregazione e inserita in vari disegni di ricerca. Inoltre, la teoria dell’informazione, basata sulla probabilità, apriva le porte all’uso di statistiche bayesiane e all’analisi di strutture complesse e serie temporali in un unico framework.

Questo approccio metodologico sofisticato, combinato con le teorie dei sistemi auto-organizzanti (Maturana e Varela, Luhmann), divenne la base per sviluppare modelli potenti come la già citata Triple Helix e, più in generale, una teoria matematica della comunicazione e persino un “calcolo del significato” (sviluppato con Inga Ivanova). L’obiettivo era sempre capire il significato delle interazioni osservate all’interno di contesti ipotizzati (sociale, cognitivo, ecc.), riconoscendo che gli effetti su questi diversi livelli non coincidono necessariamente: l’asimmetria prevale.

Un Eredità di Collaborazione e Provocazione Intellettuale

Questa ricchezza teorica e metodologica fece di Leydesdorff un polo d’attrazione per ricercatori da tutto il mondo e dalle discipline più disparate. Era un collaboratore instancabile (ha co-firmato articoli con oltre 200 persone!) e un mentore incredibilmente generoso. Lo dico per esperienza personale. Non solo pubblicava a ritmi impressionanti, ma sviluppava anche software di analisi (come il CRExplorer, con colleghi) e li rendeva disponibili gratuitamente sul suo sito web (ancora attivo: https://www.leydesdorff.net/).

Loet era un costruttore di ponti, ma non nel senso di cercare un’armonia superficiale. Era piuttosto uno stimolante, a volte irritante, provocatore intellettuale. Sfidava le assunzioni consolidate sia nel campo quantitativo della scientometria sia in quello qualitativo degli STS. Si può dire che abbia quasi da solo impedito alla scientometria di degenerare in una mera tecnologia di governance, povera di teoria – e questo fu al centro di alcuni suoi accesi dibattiti negli anni ’80 e ’90. Allo stesso tempo, lamentava la scarsa attenzione per le potenzialità dell’analisi quantitativa da parte della maggioranza dei colleghi in STS.

Ritratto fotografico di un gruppo eterogeneo di ricercatori che discutono animatamente attorno a uno schermo olografico che mostra mappe scientometriche complesse. Obiettivo 35mm, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo per concentrarsi sul gruppo, illuminazione calda da studio, stile film noir leggero.

Nel suo contributo al più recente Handbook of Science and Technology Studies, insieme a colleghi, ribadiva la necessità di usare la scientometria con consapevolezza teorica, mettendoci in guardia dall’uso non riflessivo delle tecniche quantitative sia negli STS che nelle policy. I dati e i metodi scientometrici sono costruiti, artefatti, e vanno trattati con cura, sempre ancorati a solide basi teoriche.

Insomma, senza negare il contributo fondamentale di tanti altri studiosi, sono convinto che senza Loet Leydesdorff, il nostro campo sarebbe intellettualmente molto, molto più povero. Ci ha lasciato un’eredità complessa, sfidante, ma incredibilmente ricca, un invito costante a pensare la scienza… al cubo.

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *