Immagine concettuale di due frecce colorate che rappresentano blocchi politici, una si divide per la competizione del primo turno e poi tenta di ricongiungersi, con qualche perdita, per il secondo turno, simboleggiando il trasferimento di voti in elezioni a doppio turno. Illuminazione drammatica, obiettivo 50mm, effetto duotone blu e rosso per evidenziare la divisione e la potenziale unione.

Senza Rancore? Come la Competizione Elettorale Influenza il Trasferimento dei Voti

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un tema che mi affascina da sempre: cosa succede davvero nella testa degli elettori e nelle strategie dei partiti quando ci sono di mezzo le elezioni a doppio turno? Sapete, quel meccanismo che dovrebbe aiutarci a fare chiarezza, ma che a volte sembra complicare le cose in modi inaspettati. Immaginate la scena: al primo turno, una miriade di candidati, spesso anche dello stesso “colore” politico, che si danno battaglia. Poi, al secondo turno, si spera che i sostenitori dei candidati “amici” esclusi facciano confluire i loro voti su chi è rimasto in lizza per quel blocco. Ma è davvero così semplice? Davvero non resta nessun “rancore” dopo una campagna elettorale magari un po’ troppo accesa contro un vicino di casa ideologico?

Il Dilemma del Doppio Turno: Amici-Nemici al Primo Round

Nelle elezioni a doppio turno, specialmente quelle con collegi uninominali, l’obiettivo è chiaro: far convergere i voti su un unico candidato per massimizzare le chance di vittoria. Sembra un sistema furbo per risolvere i problemi di coordinamento tra partiti ideologicamente simili, no? Peccato che questo meccanismo metta proprio questi “vicini” ideologici in competizione diretta al primo turno. E qui casca l’asino, o meglio, qui inizia il bello (o il brutto, a seconda dei punti di vista).

Per conquistare un posto al ballottaggio, i candidati tirano fuori l’artiglieria pesante: aggiustano i programmi, enfatizzano certi temi, si lanciano in campagne pubblicitarie positive e, ahimè, anche negative. L’importante è distinguersi, far capire agli elettori perché proprio loro sono la scelta migliore. Il problema è che, nel tentativo di differenziarsi, si rischia di pestare i piedi proprio a quei candidati i cui elettori potrebbero essere fondamentali al secondo turno. Se un candidato è stato troppo aggressivo con un “alleato” al primo turno, come può sperare che i sostenitori di quest’ultimo lo votino compatti al ballottaggio? È un bel dilemma: se non attacchi, rischi di non passare il primo turno; se attacchi troppo, rischi di giocarti il secondo.

Pensiamoci un attimo con un modello semplice, quasi da manuale. Prendiamo, ad esempio, la storica competizione tra Comunisti e Socialisti in Francia. Per i Comunisti, i principali rivali per accaparrarsi voti al primo turno sono i Socialisti. Adottando una piattaforma più centrista, i Comunisti potrebbero guadagnare voti, ma sarebbero voti “rubati” ai Socialisti. Certo, potrebbero anche provare a sottrarre voti ai Conservatori con campagne su temi trasversali o attacchi diretti, ma chi ne beneficerebbe di più? Probabilmente i Socialisti! Quindi, la tentazione più forte per i Comunisti è quella di mirare direttamente ai Socialisti. Insomma, la competizione più accesa al primo turno rischia di essere proprio tra coloro che dovrebbero poi marciare uniti al secondo.

L’Intuizione di Tsebelis e i Suoi Limiti

Questa dinamica non è certo una novità. Già negli anni ’80, uno studioso di nome George Tsebelis aveva messo il dito nella piaga, analizzando le elezioni francesi. Lui sosteneva, e i suoi studi sembravano confermarlo, che due fattori principali influenzassero l’efficacia degli accordi per il secondo turno, specialmente tra Socialisti e Comunisti dell’epoca.

  • Il primo fattore è la competitività della sfida tra il blocco di sinistra e quello di destra (chiamiamola “Victory”, per usare i suoi termini). Se la partita è aperta e ogni voto conta, i partiti dello stesso blocco avranno più incentivo a moderare le critiche reciproche per non regalare la vittoria agli avversari.
  • Il secondo fattore è la competitività interna al blocco (la “Proximity”). Quanto più Socialisti e Comunisti sono vicini in termini di consensi, tanto più intensa sarà la loro competizione. E se la competizione è feroce, è meno probabile che trattengano le critiche, con la conseguenza che gli elettori del partito perdente dell’alleanza saranno meno disposti a trasferire il loro voto al vincitore del blocco al secondo turno.

Tsebelis, analizzando i dati delle elezioni legislative francesi del 1978, trovò supporto per entrambe le ipotesi. I trasferimenti di voti funzionavano meglio quando i blocchi destra-sinistra erano più equilibrati e quando il supporto ai partiti all’interno del blocco di sinistra era più asimmetrico (cioè, uno dei due era nettamente più forte). Il 1978 era un caso di studio ideale, perché Comunisti e Socialisti erano abbastanza vicini in termini di forza elettorale. Ma da allora, come sappiamo, il panorama politico francese è cambiato parecchio. Il supporto ai Comunisti, ad esempio, è crollato. Quindi, la domanda sorge spontanea: le intuizioni di Tsebelis reggono ancora nel tempo? E valgono anche per il blocco di destra?

Fotografia realistica di un'urna elettorale trasparente semi-piena di schede, con due mani che stanno per inserire altre due schede di colori diversi, simboleggiando la scelta e la competizione. Luce da studio controllata, obiettivo macro 60mm per dettaglio sulle schede e le mani, sfondo leggermente sfocato per concentrarsi sull'azione.

Oltre Tsebelis: Nuove Ipotesi e un’Analisi Più Ampia

Ed è qui che entriamo in gioco noi, o meglio, la ricerca che sto esplorando. L’idea è stata quella di rivisitare il lavoro di Tsebelis, non per sminuirlo, ci mancherebbe, ma per vedere se potevamo affinare la teoria e testarla su un periodo più lungo, dal 1958 al 2012. Abbiamo pensato che forse la faccenda fosse un po’ più complessa. Per esempio, l’incentivo a “fare i cattivi” con i propri alleati al primo turno non dipende solo da quanto si è vicini a loro o da quanto è aperta la sfida con l’altro blocco, ma probabilmente dall’interazione tra questi due fattori. Ha senso scannarsi con il proprio alleato se le chance del blocco di vincere al secondo turno sono comunque bassissime? Forse no.

Abbiamo quindi riformulato leggermente il modello. Immaginate che un partito debba decidere se “cooperare” (cioè non attaccare l’alleato al primo turno per massimizzare il trasferimento di voti al secondo) o “defezionare” (cioè criticare l’alleato sperando di superarlo al primo turno). La “defezione” può aumentare le chance di essere il candidato di punta del blocco, ma rischia di diminuire le chance che il blocco vinca il seggio. Intuitivamente, ci si aspetterebbe che i partiti “defezionino” solo quando la probabilità che il blocco vinca il seggio è alta E i due alleati sono molto vicini in termini di forza. Se il tuo blocco è destinato a perdere comunque, che senso ha litigare furiosamente con il tuo compagno di sventura?

Un altro aspetto che abbiamo considerato è come misurare il “successo” del trasferimento di voti. Tsebelis guardava alla variazione assoluta dei voti. Ma se un partito al primo turno ha pochissimi voti “disponibili” da altri alleati del blocco, anche un piccolo aumento percentuale può essere un grande successo in termini relativi. Per questo, abbiamo operazionalizzato la nostra variabile dipendente come la quota di voti disponibili del blocco che vengono effettivamente trasferiti. Cioè, quanti degli elettori degli altri partiti del tuo blocco (che non sono passati al secondo turno) effettivamente ti votano? Questo ci sembra un modo più preciso per cogliere l’efficacia delle strategie.

Infine, abbiamo distinto tra situazioni in cui il blocco di un partito è in testa dopo il primo turno e situazioni in cui è in svantaggio. Essere avanti di 5 punti o sotto di 5 punti può non cambiare molto la competitività generale della sfida, ma potrebbe influenzare parecchio le dinamiche interne al blocco. Se sei avanti, la tentazione di “finire” il rivale interno per assicurarti la candidatura vincente potrebbe essere più forte.

Cosa Abbiamo Scoperto: Risultati Sorprendenti (e Non)

Analizzando tutte le elezioni legislative francesi dal 1958 al 2012 (escludendo un paio di elezioni anomale), cosa è emerso? Beh, alcune cose confermano le intuizioni, altre le sfumano parecchio.

  • La competizione interna al blocco conta, eccome: In generale, una maggiore competizione all’interno dello stesso blocco tende a ridurre i trasferimenti di voti al partito che accede al secondo turno. Questo non sorprende: se te le sei date di santa ragione con il tuo “cugino” politico, è più difficile che i suoi elettori ti diano una mano.
  • L’interazione è la chiave: L’effetto della competizione interna sembra essere più marcato quando anche la sfida tra i due blocchi principali (destra e sinistra) è molto competitiva. E, cosa interessante, i trasferimenti di voti tendono ad aumentare se la gara tra i blocchi è abbastanza serrata, ma questo effetto emerge chiaramente solo quando il blocco era già in testa al primo turno.
  • Essere in testa o in svantaggio fa la differenza: Se il blocco di un partito è in testa dopo il primo turno, una maggiore competitività tra destra e sinistra porta a più trasferimenti di voti. L’entità di questi trasferimenti, però, dipende da quanto è stata accesa la lotta interna al blocco: se c’era un chiaro vincitore nel blocco al primo turno, l’effetto positivo è sostanziale, ma diminuisce se la gara interna è stata più tirata. Al contrario, se il blocco era in svantaggio al primo turno, un aumento della competizione tra i blocchi principali riduce i trasferimenti di voti quando i partiti del blocco sono diseguali in forza. Sorprendentemente, se c’è forte competizione per rappresentare il blocco al secondo turno, questo effetto negativo scompare.

Nel complesso, i risultati indicano chiaramente che la competizione influenza il trasferimento dei voti. La dinamica più evidente è quella della competizione interna al blocco: gare più competitive internamente portano a meno voti trasferiti. Per quanto riguarda la competizione tra blocchi (destra-sinistra), la faccenda è più sfumata. Sembra che gli effetti della competizione interna tendano a dominare quelli della competizione esterna. La competizione tra blocchi diventa rilevante soprattutto quando è chiaro chi rappresenterà il blocco al secondo turno. E anche qui, dipende se il blocco partiva da una posizione di forza o di debolezza dopo il primo round.

Ritratto di gruppo di politici, alcuni sorridenti e altri tesi, attorno a un tavolo di strategia con mappe elettorali e grafici. Stile film noir, bianco e nero, obiettivo 35mm con profondità di campo per includere più figure e dettagli ambientali.

Quindi, ‘Senza Rancore’ è Possibile?

Tornando alla nostra domanda iniziale: è possibile competere aspramente con un alleato ideologico al primo turno e poi sperare in un sereno “volemose bene” al secondo? La risposta, come spesso accade in politica, è “dipende”. I dati suggeriscono che un po’ di rancore, o almeno una minore propensione al trasferimento del voto, rimane eccome, specialmente se la battaglia interna è stata dura.

Le elezioni a doppio turno, quindi, non risolvono automaticamente i problemi di coordinamento. Anzi, introducono una dinamica perversa in cui proprio i partiti che dovrebbero collaborare sono incentivati a combattersi per assicurarsi di essere loro il “campione” del proprio blocco. E questa lotta intestina può avere conseguenze negative per il risultato complessivo del blocco.

Capire queste dinamiche è fondamentale, non solo per gli studiosi di politica, ma anche per i partiti stessi. Forse, a volte, un po’ meno aggressività verso i “vicini” al primo turno potrebbe pagare di più al secondo. Ma si sa, la tentazione di primeggiare è forte, anche a costo di qualche “danno collaterale” all’interno della propria famiglia politica. Una bella sfida strategica, non c’è che dire!

Fonte: Springer

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