Immagine fotorealistica di una mano umana che indossa un data glove high-tech nero, con fili sottili e sensori visibili. La mano è sospesa sopra una superficie liscia e scura, e le dita sono leggermente flesse come se stessero interagendo con un'interfaccia invisibile. Sullo sfondo, uno schermo di computer mostra un cursore astratto e linee di dati, leggermente sfocato per mantenere il focus sulla mano. L'illuminazione è drammatica, quasi da studio, con un obiettivo prime 35mm che crea una leggera profondità di campo, enfatizzando la connessione tra l'azione umana e la tecnologia.

Quel Click Magico: Come il Cervello Impara a Sentirsi “al Comando” Quando si Apprende Qualcosa di Nuovo

Avete presente quella sensazione? Quella di muovere un dito e *sapere* che siete stati voi a far accadere qualcosa, che sia premere un tasto o spostare un oggetto? È una sensazione fondamentale, quasi scontata nella vita di tutti i giorni. Gli scienziati la chiamano Senso di Agentività (SoA, dall’inglese Sense of Agency), ed è la percezione di avere il controllo sul nostro corpo e su ciò che ci circonda. È importantissima: guida le nostre azioni, ci fa sentire protagonisti della nostra vita e, quando manca o si altera, può essere un campanello d’allarme per alcuni disturbi psicologici.

Ma come nasce questa sensazione, specialmente quando ci troviamo di fronte a qualcosa di completamente nuovo? Pensate a imparare ad andare in bicicletta, a usare un nuovo strumento musicale o persino a controllare un braccio robotico con la mente. All’inizio, siamo goffi, non sappiamo bene cosa aspettarci. Come fa il nostro cervello a sviluppare quel “senso di comando”?

Il Modello Classico: Il Comparatore Interno

La teoria più gettonata si chiama Modello Comparatore. In pratica, dice questo: ogni volta che decidiamo di fare un’azione (tipo muovere il mouse), il nostro cervello crea una previsione di cosa dovrebbe succedere (il cursore si sposterà in quella direzione). Questo si basa su un “modello interno”, una sorta di mappa mentale che collega le nostre azioni ai loro risultati, costruita con l’esperienza. Se quello che vediamo (il feedback sensoriale) corrisponde alla previsione, voilà! Sentiamo quel piacevole senso di controllo. Se invece c’è una discrepanza (il cursore va da un’altra parte o si muove in ritardo), il senso di agentività diminuisce. Funziona bene per spiegare situazioni familiari, ma…

La Sfida: Imparare da Zero

…cosa succede quando la mappa mentale non c’è ancora? Quando impariamo una nuova abilità motoria, all’inizio non abbiamo previsioni affidabili. Brancoliamo nel buio, provando diverse azioni e osservando cosa succede. Questo processo di tentativi ed errori si chiama esplorazione motoria. È fondamentale: ci permette di capire come funzionano le cose, di costruire quella mappa interna che poi ci servirà per agire con precisione e anticipare i risultati. Ma se il modello comparatore si basa sulle previsioni, e all’inizio non ne abbiamo, come si forma il senso di agentività durante questa fase di esplorazione? E poi, il senso di controllo *aumenta* quando la previsione è giusta, o *diminuisce* quando è sbagliata, o entrambe le cose? Per capirlo, bisognava partire da zero.

L’Esperimento: Un Guanto Magico per Controllare un Cursore

Ed è qui che entriamo in gioco noi, con un esperimento affascinante. Abbiamo chiesto a delle persone, che non avevano mai fatto nulla di simile prima, di imparare a controllare un cursore su uno schermo usando… i movimenti delle dita, rilevati da un data glove (un guanto pieno di sensori). Una cosa completamente nuova! Dovevano capire da soli la mappatura tra le configurazioni delle loro dita e la posizione del cursore.

Nell’Esperimento 1, i partecipanti dovevano proprio imparare questa mappatura spaziale da zero, attraverso l’esplorazione motoria. In diverse fasi dell’apprendimento, abbiamo misurato il loro senso di agentività. Come? Mostravamo loro un cursore muoversi e dovevano giudicare su una scala da 1 a 8 quanto sentissero che quel movimento fosse il *loro*. Il trucco era che a volte il cursore seguiva esattamente la mappatura che stavano imparando (condizione “no bias”), altre volte aveva un bias spaziale (ruotato di 90°, quindi diverso da quello che si aspettavano una volta imparato), e altre volte aveva un bias temporale (un ritardo di 180 millisecondi).

Immagine fotorealistica di una mano che indossa un data glove nero high-tech, con sensori visibili sui nodi delle dita, mentre si muove sopra una superficie neutra. L'illuminazione è controllata e precisa, stile macro con obiettivo 100mm, per evidenziare i dettagli tecnologici del guanto. Sullo sfondo, sfocato ma riconoscibile, uno schermo di computer mostra un semplice cursore bianco su sfondo nero.

I Risultati dell’Esplorazione: Prima il Tempo, Poi lo Spazio

I risultati sono stati illuminanti! All’inizio, prima che i partecipanti avessero capito bene la mappatura spaziale, l’unica cosa che influenzava il loro senso di agentività era il ritardo temporale. Non importava se il cursore si muoveva in modo spazialmente “strano” rispetto ai loro gesti (dato che non avevano ancora una regola in testa); la differenza tra la condizione “no bias” e quella “spatial bias” era minima. Ma se il cursore si muoveva in ritardo (“temporal bias”), il senso di controllo crollava. Questo conferma la nostra prima ipotesi: all’inizio, ci affidiamo a una previsione universale e fondamentale, quella della contiguità temporale – ci aspettiamo che l’effetto segua immediatamente la causa.

Man mano che l’apprendimento progrediva, però, le cose cambiavano. I partecipanti diventavano più bravi a controllare il cursore, anche in compiti di “generalizzazione” dove dovevano raggiungere punti nuovi senza vedere il cursore (segno che stavano costruendo un modello interno!). E cosa succedeva al senso di agentività? La differenza tra la condizione “no bias” e quella “spatial bias” diventava significativa! Il cursore che seguiva la mappatura imparata veniva giudicato molto più “proprio” rispetto a quello spazialmente deviato. Anzi, il giudizio per la condizione “no bias” aumentava rispetto all’inizio. Il ritardo temporale continuava a ridurre l’agentività, ma ora anche la coerenza spaziale aveva il suo peso. Questo supporta la seconda ipotesi: l’apprendimento della mappatura spaziale, la formazione del modello interno, permette al cervello di usare anche le previsioni spaziali per giudicare l’agentività. Non solo: abbiamo visto che l’agentività per il feedback corretto *aumenta* con l’apprendimento (match con la previsione), non solo quella per il feedback errato diminuisce (mismatch).

Ma Che Tipo di Apprendimento Conta? Strutturale vs. Tabellare

C’era un’altra domanda: che tipo di modello interno stavano costruendo? Ne esistono principalmente due tipi:

  • Una rappresentazione strutturale: è come imparare una regola generale, una funzione continua che ti permette di capire la relazione tra movimenti ed esiti in tutto lo spazio, anche in zone non esplorate direttamente. È flessibile e generalizzabile (es: “piegare l’indice sposta il cursore a destra”).
  • Una rappresentazione tabellare: è più simile a memorizzare coppie specifiche azione-risultato (es: “questo gesto porta il cursore lì”, “quell’altro gesto lo porta laggiù”). È più facile da acquisire ma meno generalizzabile.

L’esplorazione motoria dell’Esperimento 1, con la sua ridondanza (diversi movimenti potevano portare allo stesso risultato), probabilmente favoriva la formazione di un modello strutturale. Ma era proprio questo tipo di modello, nato dall’esplorazione, a essere cruciale per i cambiamenti nell’agentività?

L’Esperimento 2: Imparare Imitando

Per verificarlo, abbiamo fatto l’Esperimento 2. Stesso setup, ma abbiamo sostituito l’esplorazione motoria con un compito di imitazione di gesti. Ai partecipanti veniva mostrato il gesto corretto da fare per raggiungere ogni target. Dovevano imitarlo e memorizzare l’associazione gesto-posizione. Niente più bisogno di esplorare a caso. Questo metodo dovrebbe favorire una rappresentazione tabellare. La nostra ipotesi: se è il modello *strutturale* nato dall’esplorazione a guidare i cambiamenti nell’agentività basata sulla predizione, allora nell’Esperimento 2 questi cambiamenti non dovrebbero esserci.

Visualizzazione concettuale astratta che confronta due tipi di apprendimento. A sinistra, una rete neurale luminosa, flessibile e interconnessa su sfondo scuro, simboleggia un modello interno strutturale. A destra, una griglia rigida con punti luminosi discreti collegati da linee rette, simboleggia un modello tabellare. Stile high-tech, illuminazione d'effetto, dettagli precisi tipo macro 60mm.

I Risultati dell’Imitazione: Manca Qualcosa…

E così è stato! I partecipanti all’Esperimento 2 imparavano comunque a eseguire il compito, riuscivano persino a generalizzare (probabilmente usando il punto memorizzato più vicino come riferimento), ma il loro senso di agentività *non* cambiava come nell’Esperimento 1. Per tutta la durata dell’esperimento, l’unica cosa che riduceva significativamente l’agentività era il ritardo temporale. La differenza tra feedback spazialmente corretto (“no bias”) e spazialmente deviato (“spatial bias”) rimaneva non significativa. Memorizzare le coppie gesto-posizione non era sufficiente per far emergere quella discriminazione dell’agentività basata sulla predizione spaziale che avevamo visto nascere con l’esplorazione.

Conclusioni: L’Esplorazione è la Chiave

Cosa ci dice tutto questo? Che il nostro senso di essere “al comando” quando impariamo una nuova abilità motoria non spunta fuori dal nulla. All’inizio, ci aggrappiamo a indizi basilari come la sincronia temporale. Ma è attraverso l’esplorazione attiva, il provare, sbagliare e capire le regole sottostanti, che costruiamo un modello interno strutturale. Ed è questo modello flessibile e generalizzabile che permette al nostro cervello di fare previsioni spaziali accurate e, di conseguenza, di far emergere e rafforzare quel senso di agentività specifico per l’abilità che stiamo imparando. La semplice memorizzazione di associazioni non basta.

Questi risultati non solo raffinano le teorie esistenti sul senso di agentività, mostrando come nasce il processo comparatore, ma sottolineano anche il ruolo cruciale dell’esplorazione motoria. Pensate alle implicazioni: nella riabilitazione dopo un infortunio, nello sviluppo di interfacce uomo-macchina più intuitive (come in realtà virtuale o con le interfacce cervello-computer), o semplicemente nel capire come i bambini imparano a interagire col mondo. Sembra proprio che per sentirci davvero padroni delle nostre azioni in un nuovo contesto, dobbiamo prima “giocarci” un po’.

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *