Diventare Generosi: Come l’Infanzia Plasma il Nostro Altruismo da Adulti (Studio Globale)
Vi siete mai chiesti da dove nasca la nostra spinta ad aiutare gli altri o a fare donazioni? È qualcosa con cui nasciamo, o è più un bagaglio che ci portiamo dietro dall’infanzia? Beh, tenetevi forte, perché sto per raccontarvi di una ricerca pazzesca che ha provato a rispondere proprio a queste domande, e i risultati sono, a dir poco, affascinanti!
Parliamo del Global Flourishing Study, uno studio colossale che ha coinvolto oltre 200.000 persone in ben 22 paesi diversi, dall’Argentina al Giappone, dal Kenya alla Svezia. L’obiettivo? Capire se e come le nostre esperienze da bambini – le cose belle e quelle meno belle – influenzino due comportamenti specifici da adulti: fare donazioni a enti di beneficenza e aiutare sconosciuti bisognosi. Questi sono atti che chiamiamo “prosociali”, gesti volontari fatti per il bene altrui, che non solo fanno bene alla società, ma sembrano far bene anche a noi stessi, migliorando il nostro benessere psicofisico e persino riducendo il rischio di mortalità. Mica male, eh?
Le Radici della Generosità: Cosa Dice la Scienza?
Sappiamo già abbastanza su cosa spinge gli adulti, specialmente quelli più avanti con gli anni, a essere prosociali. Fattori come l’attività fisica, certe condizioni di salute, o avere uno scopo nella vita giocano un ruolo. Ma l’infanzia? Quel periodo critico in cui formiamo credenze, valori e norme sociali? Sorprendentemente, c’era ancora molto da scoprire, soprattutto su scala globale e non limitandosi solo al Nord America o all’Europa.
Questo studio ha preso in esame ben 11 potenziali “predittori” infantili:
- Il rapporto con la mamma
- Il rapporto con il papà
- Lo stato civile dei genitori (sposati, divorziati, ecc.)
- La situazione economica familiare percepita intorno ai 12 anni
- L’aver subito abusi fisici o sessuali
- Il sentirsi un “outsider” in famiglia
- Lo stato di salute generale durante l’infanzia
- L’essere immigrati o nati nel paese
- La frequenza con cui si partecipava a funzioni religiose a 12 anni
- Il genere
- L’età (ovviamente riferita al momento dello studio, ma per capire le differenze tra generazioni)
L’idea era esplorare, senza troppe ipotesi preconcette, quali di questi fattori avessero un legame significativo con la tendenza a donare e aiutare da adulti, e se questi legami cambiassero da paese a paese. Perché, diciamocelo, le culture e i contesti nazionali possono influenzare parecchio questi comportamenti.
Risultati Sorprendenti: Non Solo Rose e Fiori
E qui arriva il bello. Mettendo insieme i dati di tutti i 22 paesi, sono emerse alcune tendenze generali. Ad esempio, avere avuto un buon rapporto con il padre, provenire da una famiglia percepita come economicamente agiata (“vivevamo comodamente”) durante l’infanzia, e aver avuto una salute eccellente o molto buona da piccoli sembrano associati a una maggiore probabilità di fare donazioni da adulti.
Anche la frequenza religiosa a 12 anni gioca un ruolo notevole: chi frequentava servizi religiosi, anche solo poche volte al mese, tende a donare e aiutare di più rispetto a chi non li frequentava mai. E più si frequentava, più forte era l’associazione. Questo conferma ricerche precedenti, suggerendo che la religione possa instillare valori o norme prosociali, o che semplicemente continui a influenzare le pratiche anche in età adulta.
L’età ha mostrato un andamento interessante: la tendenza a donare cresce con l’età (forse per maggiore stabilità economica o senso di responsabilità), mentre quella ad aiutare sconosciuti tende a diminuire dopo i 60 anni (magari per limitazioni fisiche o minori contatti sociali).

Ma la vera sorpresa, almeno per me, riguarda le esperienze negative. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, aver subito abusi fisici o sessuali durante l’infanzia e essersi sentiti degli “outsider” in famiglia sono risultati associati a una maggiore probabilità sia di fare donazioni che di aiutare sconosciuti da adulti! Sembra quasi un paradosso, vero? Una possibile spiegazione è quella che viene chiamata “altruismo nato dalla sofferenza” o crescita post-traumatica. Forse, chi ha vissuto difficoltà sviluppa un’empatia particolare o un desiderio di compensare aiutando gli altri, trasformando il dolore in una spinta positiva. Certo, sono speculazioni, e serviranno altre ricerche per capirlo meglio.
Anche avere avuto genitori divorziati o mai sposati (rispetto a genitori sposati) è risultato associato a una maggiore tendenza ad aiutare gli altri. Questo contrasta con alcuni studi precedenti, prevalentemente americani, ma evidenzia come il contesto culturale possa fare la differenza.
Un Mondo di Differenze: L’Importanza del Contesto
E qui tocchiamo un altro punto cruciale: le differenze tra paesi. Ciò che vale in un posto, non necessariamente vale in un altro. L’associazione tra un buon rapporto col padre e le donazioni era forte in Nigeria e Svezia, ma non altrove. L’aver subito abusi aumentava la probabilità di donare in otto paesi, con effetti particolarmente marcati in Giappone, ma non c’era quasi nessuna prova che la diminuisse da qualche parte. Sentirsi un outsider aumentava le donazioni in nove paesi (soprattutto Sudafrica e Giappone) ma le diminuiva in Australia.
Anche la salute infantile ha mostrato pattern complessi: in alcuni paesi una salute eccellente prediceva più generosità, in altri (come Spagna per le donazioni, o Polonia per l’aiuto) sembrava il contrario. Addirittura, in India e Polonia, una salute percepita come “scarsa” era legata a più donazioni. Un andamento a “U”, forse: sia una buona salute (che dà basi solide) sia una salute difficile (che aumenta l’empatia) potrebbero favorire la prosocialità, a seconda del contesto.
La frequenza religiosa a 12 anni era un predittore forte quasi ovunque per entrambe le forme di prosocialità, ma l’intensità variava: fortissima in Giappone e Israele, più debole in Spagna. E mentre in quasi tutti i paesi più frequenza significava più generosità, in Nigeria la relazione sembrava curvilinea.

Il genere ha dato risultati misti: in molti paesi (Germania, Kenya, Messico, Filippine, Spagna, Tanzania) essere donna era associato a una minore probabilità di donare e aiutare sconosciuti (forse per questioni di risorse, sicurezza o norme sociali), ma in altri (Australia, Polonia) era il contrario.
Anche lo status di immigrato ha mostrato associazioni diverse: più donazioni in Egitto e Tanzania, meno in Israele, Spagna e Regno Unito. Più aiuto in Egitto, Spagna e Regno Unito, meno in Israele.
Cosa Ci Portiamo a Casa?
Questo studio, pur con i suoi limiti (i dati sull’infanzia sono retrospettivi, quindi soggetti a bias di memoria, e non si sono potuti analizzare tutti i possibili fattori), ci offre una panoramica incredibilmente ricca e sfumata. Ci dice che sì, l’infanzia conta, eccome, nel plasmare la nostra generosità da adulti. Ma non è una storia semplice.
Fattori positivi come buoni rapporti familiari (soprattutto col padre per le donazioni), un certo benessere economico, una buona salute e un coinvolgimento religioso sembrano gettare basi solide per un futuro altruista. Ma, sorprendentemente, anche esperienze avverse come l’abuso o il sentirsi esclusi possono, in certi contesti e per certi individui, trasformarsi in una spinta verso l’aiuto e la donazione. È come se la sofferenza, a volte, potesse aprire il cuore invece di chiuderlo.
La grande variabilità tra paesi ci ricorda che non esiste una ricetta unica per “coltivare” la prosocialità. Culture, economie, sistemi sociali diversi creano contesti diversi in cui le esperienze infantili assumono significati e conseguenze differenti.

Capire meglio queste dinamiche complesse è fondamentale. Se vogliamo promuovere società più solidali e individui più felici (perché aiutare fa bene anche a chi aiuta!), dobbiamo guardare alle radici, all’infanzia, tenendo conto delle mille sfumature che caratterizzano le diverse culture del nostro pianeta. Questa ricerca è un passo importante in quella direzione, aprendo la strada a futuri studi che potranno approfondire questi legami e, speriamo, informare politiche e interventi mirati a far fiorire la generosità nel mondo.
Fonte: Springer
