Una persona di mezza età, in un ritratto a 35mm, osserva pensierosa una serie di fotografie sparse su un tavolo, alcune a colori altre in bianco e nero, che rappresentano diverse situazioni di vita e scelte. Luci soffuse, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo, duotono seppia e grigio per un'atmosfera riflessiva.

Come Decido Cosa è Giusto? Esempi, Modelli da Ammirare o Regole Ferree?

Quante volte ci siamo trovati a un bivio, chiedendoci: qual è la cosa giusta da fare? Che si tratti di un problema tecnico o di una questione morale spinosa, la mia risposta, forse un po’ controcorrente, è che impariamo dagli esempi. Sì, avete capito bene. Guardiamo a cosa noi stessi o altri abbiamo fatto in situazioni simili e, soprattutto, a come sono andate a finire le cose. È così, attraverso un bagaglio di esperienze dirette o raccontate, che ci facciamo un’idea di cosa sia opportuno.

Questa idea, però, non mette tutti d’accordo. C’è chi sostiene, ad esempio, che per le questioni morali non bastino semplici esempi, ma servano degli esemplari: persone o azioni talmente eccellenti da suscitare la nostra ammirazione e spingerci a emularle. E poi ci sono i fautori dei principi, convinti che solo seguendo regole morali ben definite possiamo davvero capire cosa sia giusto fare in una data situazione. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capirci qualcosa di più, magari smontando qualche certezza lungo il cammino.

La Potenza degli Esempi (Quelli Semplici, Intendo)

Pensateci un attimo. Come abbiamo imparato a guidare? O a cucinare quel risotto che non si attacca mai? Osservando, provando, sbagliando e aggiustando il tiro. Gli esempi, nostri o altrui, di successi e fallimenti sono i nostri primi maestri. Attingiamo a tutta la storia del mondo a cui abbiamo accesso, comprese le storie inventate – che spesso condensano esperienze reali – per formarci un giudizio. Questo vale per risolvere problemi pratici di ogni tipo. L’esperienza ci insegna che tentare una riconciliazione è spesso più fruttuoso che continuare a litigare, o che una favola può mostrarci come superare grandi pericoli restando fedeli a chi conta su di noi.

Certo, le lezioni tratte da esperienze e racconti vanno verificate, ma lo facciamo sempre con l’aiuto di altre esperienze. È così che acquisiamo quella saggezza, seppur limitata, che ci guida nella vita. Se per le abilità tecniche questo approccio è largamente accettato, quando si parla di morale la faccenda si complica.

Ma C’è Chi Dice “No, Servono gli Esemplari!”

Qui entrano in gioco gli “esemplaristi”. Per loro, non basta vedere cosa ha funzionato o meno. Per cogliere il valore morale di un’azione, dicono, abbiamo bisogno di figure esemplari, di azioni o persone la cui eccellenza morale ci ispira ammirazione e desiderio di imitazione. È importante distinguere: un esempio è solo un caso, un membro di una categoria, né buono né cattivo in sé. Un esemplare, invece, è un modello di eccellenza, qualcosa a cui tendere. Pensate alla differenza tra “un esempio di essere umano” (qualsiasi persona) e “un essere umano esemplare” (qualcuno di eccezionale).

Linda Trinkaus Zagzebski, una delle voci più autorevoli dell’esemplarismo morale, sostiene che è proprio emulando queste figure, riconosciute attraverso il sentimento di ammirazione che suscitano, che impariamo ad agire rettamente. L’ammirazione, quindi, diventerebbe la nostra bussola morale. Ma è davvero così affidabile?

Un ritratto in bianco e nero di una persona anziana dall'aspetto saggio e sereno, che guarda intensamente l'osservatore, con una leggera profondità di campo che sfoca lo sfondo. Lente da 35mm, stile film noir, con duotono grigio e blu scuro per accentuare la profondità emotiva.

Io nutro qualche dubbio. Primo, cosa succede se si cresce in una comunità moralmente “marcia”, priva di figure esemplari? Significa che si è condannati a non sviluppare un senso morale finché non arriva qualcuno da fuori a “illuminarci”? Mi sembra una visione un po’ troppo pessimistica e, francamente, poco credibile. La capacità di vedere e fare ciò che è giusto non dovrebbe essere preclusa a nessuno in base alle circostanze.

L’Ammirazione: Una Bussola Affidabile o un Trucco da Quattro Soldi?

E poi c’è il problema dell’ammirazione stessa. Certo, è un sentimento che tutti proviamo. Ma fidarci di essa come indicatore di eccellenza morale mi pare azzardato. Quante volte i media riescono a farci ammirare personaggi o imprese di dubbia levatura? Un’emozione così facilmente manipolabile può davvero guidarci verso il bene? Zagzebski ammette che l’ammirazione a volte ci inganna, ma resta fiduciosa nella sua generale attendibilità. Una fiducia che, a mio avviso, non è ben riposta.

C’è un’altra questione, più profonda. L’ammirazione, questo “guardare in alto” verso qualcosa che trascende l’umanità comune, non sarà forse legata a una visione del mondo ormai superata? Un mondo in cui c’era un “sopra” a cui subordinarsi, fosse esso divino o politico. Nietzsche parlava delle “ombre di Dio” che persistono anche dopo la sua “morte”. Forse l’ammirazione è una di queste ombre. In un mondo che abbiamo imparato a considerare ordinario, senza “miracoli” o interventi divini, che senso ha ancora “ammirare”? Gli Stoici, con il loro “nil admirari” (non ammirare nulla), suggerivano che il saggio non si stupisce di nulla, perché tutto segue un corso razionale. Se tutto è ordinario, anche le azioni umane più notevoli non sono “miracolose”, ma espressioni della natura umana in determinate circostanze. Utili da conoscere, certo, ma non da venerare o imitare ciecamente.

Eroi, santi, saggi… figure che un tempo incarnavano ideali trascendenti. Ma l’eroismo personale ha ancora senso di fronte alle moderne macchine da guerra? Il santo, mediatore del divino, ha resistito alla disillusione dell’Illuminismo? E la saggezza, intesa come padronanza intellettuale sulla vita, non si è rivelata spesso una posa? Parliamo ancora di eroi, è vero, ma forse è solo un eco di un linguaggio passato, svuotato del suo significato originale.

E Poi Ci Sono Loro: I Sostenitori dei Principi Incrollabili

Passiamo all’altra barricata: quella di chi crede fermamente che per agire moralmente servano dei principi. È un’idea diffusa: “un uomo di principi” è affidabile, chi “non ha principi” è pronto a tutto per il proprio tornaconto. Questa convinzione, però, crea una strana spaccatura. Come mai per imparare a cucinare ci affidiamo all’esperienza e agli esempi, mentre per la morale dovremmo ricorrere a principi astratti? Non potremmo imparare cosa è moralmente giusto osservando che la pazienza porta frutti migliori dell’ira, o che l’onestà crea un clima più sereno, costruendo così un bagaglio di conoscenze pratiche?

Chi ha esperienza e la usa con saggezza non sta forse già agendo moralmente, anche senza seguire esplicitamente dei principi? Potrebbe non saperli enunciare, ma naviga “a vista”, rispondendo alla situazione specifica con l’aiuto delle esperienze passate. Perché non essere un agente morale responsabile in questo modo, senza principi rigidi ma pieno di risorse?

I fautori dei principi, spesso influenzati da Kant, ribattono che non basta fare la cosa giusta; bisogna farla per amore della legge morale. L’azione deve essere un adempimento consapevole del principio, non un caso fortuito. L’esempio classico è il droghiere onesto: se non imbroglia i clienti solo per mantenere la clientela, la sua azione, pur giusta, manca di vero valore morale. Ma perché l’intenzione di seguire la “legge” dovrebbe essere più importante del fare concretamente la cosa giusta in quella situazione? Se il droghiere non imbroglia, non è già un bene, a prescindere dalle sue motivazioni più recondite?

Una fotografia macro di antichi rotoli di pergamena e tavolette di pietra con iscrizioni simili a leggi o codici, illuminazione laterale controllata per evidenziare i dettagli del testo inciso e la texture del materiale. Lente macro da 100mm, alta definizione.

Ma Davvero Abbiamo Bisogno di Leggi Morali Scolpite nella Pietra?

L’idea di una “legge morale” ha radici antiche e profonde, il che spiega la sua persistenza. Affonda le sue radici nella tradizione giudaico-cristiana (la Legge data da Dio sul Sinai, poi la “lex moralis” di Melantone) e nello stoicismo (una legge universale della ragione che governa il cosmo). Ma queste fondamenta, a ben guardare, scricchiolano.

Non è storicamente accurato dire che Dio abbia letteralmente “dato” le leggi bibliche; è più probabile che siano state attribuite a Lui per conferire autorità a usanze preesistenti, specialmente dopo la caduta dei regni di Israele e Giuda. E se non c’è stata una promulgazione divina letterale, non c’è una “legge” in senso stretto. Analogamente, l’idea stoica di un mondo governato da una legge che è Ragione è affascinante, ma non trova riscontro nella realtà. Esistono regolarità naturali, certo, ma non sono “ragionevoli” né prescrittive; sono semplicemente fatti. Il mondo, per quanto ne sappiamo, non è una “città” ordinata per la nostra felicità; semplicemente, funziona come funziona.

Quindi, se la tradizione che sorregge l’idea di una legge morale è, per così dire, un errore storico, perché dovremmo continuare a basarci su di essa?

Tiriamo le Somme: Navigare a Vista con la Mappa delle Esperienze

Sia gli esemplari da emulare sia i principi da seguire sono stati proposti come bussole per orientarci moralmente. Ma, come abbiamo visto, entrambe le proposte hanno dei problemi. Gli esemplari, ammesso che esistano figure così impeccabili, non possono stabilire il loro carattere “esemplare” in modo oggettivo. Ciò che hanno fatto è storia, un insieme di fatti utili da considerare per capire cosa è possibile fare e quali potrebbero essere le conseguenze, ma non costituisce un richiamo all’imitazione. Non c’è nulla che “chiami” qualcuno a fare qualcosa di simile.

Per quanto riguarda i principi, il problema è la loro stessa esistenza. Non ci sono leggi morali universali, né date da un’entità superiore né intrinseche all’ordine del mondo. Il concetto di “legge” può tornare al suo ambito originale: le norme imposte da autorità politiche. Ciò che è giusto fare, invece, non ha a che fare con leggi e principi universali. È una questione legata interamente al caso particolare che abbiamo di fronte, come sosteneva Jonathan Dancy.

Certo, per capire cosa è giusto in una situazione specifica, aiuta aver visto altri casi, aver notato dettagli che si sono rivelati importanti. Ma la decisione finale non può essere dedotta da una regola generale. Non c’è nulla da cui dedurla. Possiamo darci delle massime personali, per risparmiare tempo (“non fare mai affari al telefono”, “non mentire mai”), ma queste non hanno l’autorità di scavalcare un giudizio basato sui meriti del caso specifico. Non abbiamo altro a cui appoggiarci.

Sia l’esemplare da emulare sia la legge morale da adottare come principio erano visti come segnali stradali che ci indicavano la via. Ma la speranza che esistano tali segnali è, a mio avviso, infondata. Il profeta Michea diceva: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono” (Michea 6,8), ma in realtà, per quanto ne sappiamo, nessuno ce lo ha insegnato in modo definitivo. Siamo lasciati a noi stessi nel capire come affrontare le cose. E lo strumento che più si raccomanda è proprio quello di osservare come le persone, noi inclusi, se la sono cavata in situazioni simili, e agire di conseguenza: imitarle se hanno avuto successo, provare altre strade se hanno fallito. In breve, scoprire cosa fare attraverso gli esempi.

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *