Immagine simbolica di un colpo di stato in Medio Oriente: una scacchiera con pezzi militari (carri armati, soldati) che rovesciano un pezzo del re, su uno sfondo sfocato di un palazzo governativo mediorientale al tramonto. Obiettivo 50mm, luce drammatica, profondità di campo ridotta per enfatizzare la scacchiera.

Colpi di Stato in Medio Oriente: Dietro le Quinte del Potere Militare

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante e, diciamocelo, un po’ turbolento: quello dei colpi di stato militari nel Medio Oriente contemporaneo. È un argomento che mi ha sempre incuriosito, perché questi eventi non sono semplici cambi di guardia, ma spesso il sintomo di tensioni profondissime tra chi governa e chi ha le armi. Parliamoci chiaro, quando i militari decidono di scendere in campo, le cose si fanno serie.

Ma cos’è esattamente un colpo di stato militare?

Prima di addentrarci nelle dinamiche specifiche del Medio Oriente, cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando. In senso lato, un colpo di stato è un tentativo illegale, da parte di un gruppo ristretto (spesso all’interno delle forze armate), di rovesciare il governo in carica. Può essere violento o meno, ma l’obiettivo è sempre lo stesso: prendere il controllo del potere centrale, e farlo in fretta.

Se ci pensate, ci sono quattro punti chiave che definiscono un golpe militare “classico”:

  • L’obiettivo è rovesciare il governo, non necessariamente cambiare l’intera struttura sociale o sfidare l’autorità politica in generale.
  • I pianificatori sono un’élite militare, non la popolazione o forze esterne (anche se vedremo che le cose si stanno complicando).
  • Si usano mezzi illegali, che siano violenti o meno. Questo lo distingue, ad esempio, dalle dimissioni di un leader sotto pressione politica.
  • Il tentativo è pubblico, non una cospirazione segreta o semplici voci.

L’essenza è la presa rapida del potere politico centrale. Se fallisce velocemente, beh, le conseguenze possono essere disastrose, fino alla guerra civile. E nel Medio Oriente di oggi, stiamo vedendo che la definizione si sta allargando: sempre più spesso, i golpe non sono solo opera dei militari, ma coinvolgono anche élite politiche, attori esterni e persino la popolazione.

Un Secolo di Instabilità: Le Fasi dei Colpi di Stato Mediorientali

Guardando indietro, dal 1931 al 2023, ho contato almeno 103 colpi di stato militari in Medio Oriente! Un numero impressionante, che possiamo dividere in cinque fasi distinte, ognuna con le sue caratteristiche:

Fase 1: Gli Inizi (1931-1949)

Qui siamo agli albori. Solo 10 golpe, concentrati in Iraq e Siria. Il primo in assoluto? Iraq, 1936. Un evento che ha scardinato l’autorità costituzionale e aperto la porta all’ingerenza militare in politica. Poi è arrivata la nascita di Israele nel 1948 e la prima guerra arabo-israeliana. La sconfitta araba fu uno shock: mise a nudo la debolezza dei governi civili e, in un certo senso, legittimò l’intervento dei militari, che si sentivano traditi e frustrati. Come disse Nasser, la vera battaglia era interna ai paesi arabi.

Fase 2: Il Picco (1950-1969)

Questa è l’età d’oro (si fa per dire) dei golpe: ben 43 in 20 anni! L’instabilità si diffonde a macchia d’olio: Iraq, Siria, Egitto, Sudan, Yemen, Libano, Algeria, Turchia, Libia, Somalia, Iran, Giordania, Arabia Saudita, Oman… da repubbliche a monarchie, nessuno sembrava immune. Cosa succedeva? Erano gli anni della decolonizzazione e dei movimenti di liberazione nazionale. I militari, spesso provenienti dalle nuove classi medie emergenti e con una maggiore consapevolezza politica, si sentivano in dovere di intervenire contro i regimi percepiti come fantocci delle ex potenze coloniali o semplicemente incapaci di guidare lo sviluppo nazionale. Pensate alla caduta di Re Farouk in Egitto (1952) o di Re Faisal II in Iraq (1958).

Fotografia stile reportage, bianco e nero, obiettivo 35mm, profondità di campo ridotta. Piazza di una capitale mediorientale negli anni '60, carri armati fermi agli incroci, pochi civili osservano con timore, atmosfera tesa post-colpo di stato.

Fase 3: Il Declino (1970-1989)

Il numero scende a 23 golpe. Alcuni paesi “storici” come Siria ed Egitto non ne vedono più, ma il fenomeno si estende a nuovi stati (Tunisia, Comore, Mauritania, Marocco, Bahrain, Qatar, Emirati Arabi Uniti). In questo periodo, molti paesi mediorientali iniziano a concentrarsi sullo sviluppo economico. Questo, unito a misure anti-golpe sempre più sofisticate (creazione di corpi paramilitari, incentivi materiali ai militari, uso di legami identitari), sembra ridurre la frequenza dei colpi di stato. Attenzione però: meno golpe non significa meno rischio. Le risorse derivanti dagli aiuti militari e, soprattutto, dal boom petrolifero degli anni ’70, permisero ai regimi di “comprare” la lealtà, ma spesso in modo diseguale, creando nuove tensioni.

Fase 4: La Calma Apparente (1990-2010)

Solo 12 golpe in questo periodo, il minimo storico. Sembra che la fine della Guerra Fredda e l’adozione diffusa del libero mercato abbiano ridotto il ruolo politico dei militari. Paesi come Algeria, Turchia, Somalia, Comore, Mauritania e Qatar sono ancora toccati, ma su scala minore. Tuttavia, c’è un dato interessante: anche se i golpe sono meno frequenti, la loro percentuale di successo è più alta che mai! Come ha notato Erica de Bruin, le misure anti-golpe, basate spesso su incentivi materiali, possono sì scoraggiare i tentativi, ma rendono quelli che avvengono più probabilmente vincenti. Un paradosso intrigante.

Fase 5: La Recrudescenza (2011-2023)

E arriviamo ai giorni nostri, o quasi. 15 golpe in poco più di un decennio, in paesi come Siria, Egitto, Sudan, Yemen, Algeria, Turchia, Libia e Tunisia. La “Primavera Araba” del 2011 ha sicuramente giocato un ruolo, scuotendo regimi che sembravano incrollabili. Ma attenzione: questa nuova ondata non sembra dettata tanto dall’ambizione politica dei militari, quanto da profonde crisi economiche e sociali che minacciano la legittimità stessa dei governi e, di riflesso, gli interessi collettivi delle forze armate. I militari, in questo scenario, agiscono più come “partecipanti” a un cambiamento richiesto dalla piazza (come in Egitto e Tunisia) che come attori dominanti che impongono la loro agenda. Certo, a volte la situazione degenera in faide interne, defezioni e guerre civili, come abbiamo visto tragicamente in Libia, Siria e Sudan. Questo dimostra anche che, con l’intensificarsi delle misure anti-golpe, entrambe le fazioni (pro e contro il golpe) sono diventate più organizzate e capaci di sostenere conflitti prolungati.

Identikit del Golpista: Chi Tira le Fila?

Non tutti i golpe sono uguali. Possiamo provare a classificarli in base a chi li guida e chi partecipa. Ne identifico principalmente tre tipi nel contesto mediorientale:

1. Golpe Guidati da Fazioni Militari

È il modello “classico”: un gruppo di élite militari locali orchestra tutto. Storicamente, li abbiamo visti soprattutto nelle repubbliche (Iraq pre-1959, Turchia, Egitto, Algeria, Sudan, Somalia, Mauritania post-2000), ma anche qualche caso nelle monarchie negli anni ’60-’70. Questo tipo rappresenta ancora un terzo dei golpe post-Guerra Fredda. Spesso, l’obiettivo è rovesciare un regime civile, ma a volte anche uno militare precedente. Il problema è che un regime nato da un golpe è intrinsecamente instabile, portando a cicli di golpe ripetuti (l’Iraq prima del ’59 ne è un esempio lampante). In questi contesti, l’esercito agisce quasi come un gruppo rivoluzionario armato, più preoccupato della sicurezza interna che della difesa esterna, vedendosi come il vero garante dell’indipendenza nazionale.

Fotografia concettuale, obiettivo macro 90mm, illuminazione controllata, alta definizione. Tre ingranaggi metallici interconnessi su sfondo scuro, uno rappresenta 'Opportunità', uno 'Calcoli', uno 'Ansia'. Simboleggiano i fattori interdipendenti di un colpo di stato.

2. Golpe Coordinati da Fazioni Militari

Qui la cosa si complica: i militari non agiscono da soli, ma collaborano con altri attori. Vediamo alcune varianti:

  • Militari + Élite Politiche: Comune negli anni ’50 e ’60 (Iraq post-1958, Siria, Yemen, Comore), periodo di costruzione nazionale e grandi ideologie (socialismo arabo, panarabismo). Le forze armate, meno professionalizzate, si frammentavano in fazioni ideologiche che stringevano alleanze con i partiti politici per perseguire interessi comuni o addirittura diventavano il loro braccio armato (come in Siria post-1963).
  • Militari + Popolazione: Il caso della Primavera Araba (Egitto, Tunisia, ma anche Siria, Libia, Yemen). Qui il golpe si presenta come una risposta alle richieste popolari di riforma contro un regime autoritario. Si parla a volte di “golpe democratico”, in cui l’esercito, godendo di stima popolare, interviene, gestisce una transizione e poi (in teoria) restituisce il potere ai civili eletti. Spesso sono preceduti da grandi proteste sociali.
  • Militari + Attori Militari Esterni: Regno Unito, Francia, USA, ma anche potenze regionali come Arabia Saudita ed Egitto. Questi golpe avvengono in paesi geopoliticamente strategici o molto dipendenti da capitali esteri. Gli attori esterni appoggiano le fazioni militari locali più allineate ai loro interessi. Esempi classici sono i tre golpe siriani del 1949 o quello yemenita del 1962. Oggi, con la modernizzazione, sono diventati più rari.

3. Golpe con Coinvolgimento Subordinato dei Militari

In questi casi, i militari partecipano ma non sono i principali decisori. Due scenari:

  • Golpe di Palazzo: Tipici delle monarchie. Membri della famiglia reale usano fazioni militari per cambiare le regole di successione. L’esempio è il golpe del 1970 in Oman, dove il principe ereditario Qaboos, con l’aiuto di comandanti arabi, depose suo padre per avviare riforme modernizzatrici. Casi simili si sono visti negli Emirati Arabi Uniti e in Qatar. Tuttavia, la forte legittimità religiosa, i complessi legami familiari e le ingenti risorse petrolifere rendono questi golpe spesso difficili da realizzare con successo.
  • Il Caso Iraniano del 1953: Un evento unico. Fu orchestrato da attori esterni (Regno Unito e USA) contro il governo Mossadegh, con il coinvolgimento subordinato di élite militari iraniane che eseguirono l’operazione ma non presero le decisioni strategiche. L’obiettivo era chiaramente promuovere gli interessi delle potenze esterne.

La Tempesta Perfetta: Un Modello per Capire i Golpe

Tutta questa varietà ci fa capire una cosa: non c’è una singola causa per un colpo di stato. Data l’enormità dei rischi, un golpe avviene solo quando si crea una sorta di “tempesta perfetta”, un allineamento di diversi fattori. Usando una prospettiva strutturale, che guarda alle interconnessioni tra attori e ambiente, propongo un modello basato su tre elementi chiave che devono essere presenti contemporaneamente:

1. Opportunità di Successo

Riguarda le condizioni interne del paese. Un golpe è un’impresa rischiosa, quindi le élite militari agiscono solo se valutano che ci siano buone probabilità di riuscita. Quali sono queste condizioni favorevoli? Spesso, persistenti difficoltà economiche e l’incapacità del governo di gestire la situazione o attuare riforme efficaci. Questo indebolisce il governo, alimenta la corruzione e le reti clientelari, e fa crescere il malcontento popolare. Quando la situazione economica degenera e le politiche governative falliscono nel mantenere l’ordine, l’esercito, che spesso ha radici nella società, può percepire un’opportunità (e una giustificazione) per intervenire. Pensiamo al golpe algerino del 2019. Questo spiega anche perché i golpe sono meno probabili subito dopo l’insediamento di un nuovo governo: gli si concede del tempo per dimostrare le proprie capacità.

2. Calcoli Strategici degli Attori

Avere l’opportunità non basta. Serve la motivazione. Le élite militari devono calcolare che i benefici attesi dal golpe superino i costi e i rischi. Qui entra in gioco la psicologia: se i militari percepiscono che il loro status quo rappresenta un guadagno (privilegi, budget, autonomia), saranno restii al rischio. Ma se percepiscono che stanno perdendo qualcosa (interessi minacciati, marginalizzazione), allora la propensione al rischio aumenta drasticamente. Cosa influenza questo calcolo costi-benefici nel Medio Oriente?

  • La Tutela degli Interessi Militari: Le forze armate hanno interessi istituzionali fondamentali: budget adeguati, autonomia operativa (addestramento, nomine, promozioni), possibilità di espansione e, soprattutto, il monopolio della violenza organizzata. Se le élite politiche garantiscono questi interessi (il “principio di compensazione”), i militari saranno meno incentivati a fare un golpe. Ma se il governo invade queste sfere, taglia fondi, crea forze concorrenti (paramilitari) o non compensa adeguatamente, i militari lo percepiranno come una minaccia diretta, aumentando esponenzialmente la probabilità di un golpe. Il regime di Mubarak in Egitto è un esempio: inizialmente garantì privilegi ai militari, ma quando poi cercò di rafforzare le fazioni civili a loro scapito, alcuni generali conclusero che il golpe era diventato più vantaggioso.
  • L’Efficacia delle Misure Anti-Golpe (“Coup-Proofing”): I regimi usano varie strategie per prevenire i golpe: nominare fedelissimi (spesso su base familiare o etnico-religiosa), creare forze armate parallele, moltiplicare le agenzie di sicurezza interna, professionalizzare l’esercito regolare. Questa è la “carota” (compensazione) e il “bastone” (misure anti-golpe). Funzionano? In parte sì, complicano i piani dei cospiratori. Ma hanno dei limiti: la lealtà delle forze paramilitari non è mai garantita (vedi tentativo di golpe in Siria nel 1984), e la moltiplicazione dei corpi armati, in contesti di risorse scarse, può alimentare rivalità distruttive che paradossalmente aumentano il rischio di conflitti interni (il Sudan dal 2019 ne è un triste esempio).

Fotografia di strada, obiettivo zoom 70-200mm, scattata durante le proteste della Primavera Araba in Siria. Folla di manifestanti pacifici fronteggia una linea di soldati, tensione palpabile, focus nitido sui volti contrastanti, fumo leggero sullo sfondo.

3. Ansia Identitaria

Questo è un fattore più sottile ma cruciale. Storicamente, in molti stati mediorientali con strutture sociali e statali fragili, i governi civili si sono dimostrati incapaci di garantire sviluppo, sicurezza e giustizia. In questo vuoto, le forze armate, spesso ereditate dal periodo coloniale con una certa legittimità, si sono posizionate come l’unica istituzione moderna, efficiente e patriottica, la vera custode della nazione e della laicità. Si sono viste come l’avanguardia progressista. Anche se oggi le capacità dei governi civili sono migliorate, questa auto-percezione di superiorità e responsabilità persiste. I militari si vedono spesso come gli arbitri finali del destino nazionale, intervenendo quando ritengono che l’ordine politico sia in crisi. Questo ruolo, unito al controllo della violenza e a una solida struttura organizzativa, rafforza la loro convinzione di avere il diritto (e il dovere) di intervenire. Quando le circostanze minacciano questo status, questa immagine di sé, questa “identità” prestigiosa, scatta un’ansia collettiva. È come la “teoria della frustrazione-aggressività”: la frustrazione (per la perdita di status, per l’ingiustizia percepita) porta all’aggressività (il golpe). Un colpo di stato può quindi essere visto come una reazione aggressiva alla minaccia percepita al proprio prestigio e ruolo. Ovviamente, piccole incongruenze cognitive non bastano; l’impatto deve essere ampio e profondo per mobilitare un numero sufficiente di leader militari.

Il Caso Siriano: Quando Tutti i Pezzi Vanno al Loro Posto

Per vedere come questi tre fattori interagiscono, prendiamo il caso della Siria. Un paese con una lunga storia di golpe (15 tra il 1946 e il 1970), seguito da un lungo periodo di stabilità sotto Hafiz al-Assad (1970-2000), e poi di nuovo l’instabilità sfociata nel golpe/defezioni del 2011 con Bashar al-Assad.

Sotto Hafiz, nonostante un sistema politico autoritario e corruzione, ci fu un periodo di relativa stabilità politica, sviluppo economico (almeno iniziale) e progresso sociale. Hafiz fu abile nel gestire i militari: li cooptò con benefici economici e privilegi (importazioni duty-free, cure mediche, accesso a reti di contrabbando), ma allo stesso tempo creò potenti organizzazioni paramilitari (Forze di Difesa Speciale, Quarta Divisione Corazzata, Guardia Repubblicana) per bilanciare l’esercito regolare e prevenire golpe. Crucialmente, favorì enormemente gli ufficiali della sua stessa minoranza religiosa, gli Alawiti, garantendo loro le posizioni chiave e i maggiori benefici. Gli ufficiali sunniti, storicamente dominanti prima del partito Ba’ath, si sentirono progressivamente marginalizzati e discriminati (meno promozioni, ruoli meno importanti, meno opportunità di formazione all’estero, difficoltà a conciliare pratiche religiose con i regolamenti militari).

Perché non ci furono golpe riusciti sotto Hafiz? Perché, nonostante ci fossero sicuramente “calcoli strategici” sfavorevoli per i sunniti e una crescente “ansia identitaria” dovuta alla loro marginalizzazione, mancavano probabilmente le “opportunità di successo”. Il regime era forte, le misure anti-golpe efficaci (almeno nel prevenire azioni coordinate) e l’economia, pur con problemi, non era al collasso totale. I tre fattori non erano allineati.

Con Bashar, dopo il 2000, la situazione cambia. Le riforme economiche liberalizzanti falliscono in parte, l’economia ristagna, la siccità colpisce duro, le disuguaglianze aumentano. Il controllo politico centralizzato del Ba’ath si allenta, ma la corruzione persiste. Cresce il malcontento popolare. Ecco che iniziano a crearsi le opportunità di successo per un’azione contro il regime. Allo stesso tempo, la marginalizzazione e la frustrazione degli ufficiali sunniti (i calcoli strategici sfavorevoli e l’ansia identitaria) raggiungono livelli critici. La repressione violenta delle proteste della Primavera Araba nel 2011, ordinata da comandanti prevalentemente alawiti, diventa la goccia che fa traboccare il vaso per molti sunniti nell’esercito. A questo punto, tutti e tre i fattori – opportunità, calcoli e ansia – convergono. Il risultato non è un golpe classico che riesce a prendere il potere, ma massicce defezioni di ufficiali e soldati sunniti che si uniscono all’opposizione, trasformando la protesta in una guerra civile. Il meccanismo di base, però, è lo stesso: la presenza simultanea dei tre elementi ha reso possibile l’azione militare contro il regime.

In Conclusione: Oltre i Golpe, Verso la Stabilità?

Quindi, cosa ci portiamo a casa da questo viaggio? Che i colpi di stato militari in Medio Oriente sono fenomeni complessi, radicati in una miscela esplosiva di fattori strutturali. Non basta un’economia in crisi, o militari scontenti, o un’identità ferita. Serve che tutte e tre le condizioni – opportunità di successo, calcoli strategici e ansia identitaria – siano presenti nello stesso momento. È questa convergenza che crea la “tempesta perfetta”.

Dopo un golpe, i militari si trovano di fronte a scelte difficili: instaurare un regime militare diretto, gestire una transizione verso un governo civile, o creare un regime autoritario mantenendo il controllo dietro le quinte. Ma la storia ci insegna che né il governo militare prolungato né i regimi autoritari mascherati sono soluzioni sostenibili a lungo termine. La vera stabilità politica richiede relazioni civili-militari costruttive e, soprattutto, un ordine politico che si basi sul consenso popolare e sullo sviluppo del benessere collettivo. I golpe possono sembrare scorciatoie razionali in momenti di crisi, ma mancano della legittimità necessaria per costruire un futuro duraturo. La stabilità, quella vera, non nasce dalle lotte di potere tra élite, ma dalla capacità di rispondere ai bisogni e alle aspirazioni della gente.

Fonte: Springer

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