Immagine concettuale di un sorriso con otturazioni in composito bianco splendente, accostato a flaconi di collutorio sbiancante, uno dei quali scuro a indicare il carbone attivo. Illuminazione da studio, focus selettivo sul sorriso, lente prime 50mm, profondità di campo.

Collutori Sbiancanti e Otturazioni: Un Matrimonio Rischioso? Cosa Dice la Scienza

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che interessa molti di noi: quel sorriso smagliante che tanto desideriamo. E diciamocelo, chi non ha mai pensato di dare una “rinfrescata” al bianco dei propri denti? Tra dentifrici, striscette e trattamenti professionali, un prodotto sta spopolando sempre di più: il collutorio sbiancante. Facile da usare, promette risultati visibili… ma ci siamo mai chiesti che effetto ha sulle nostre otturazioni, specialmente quelle estetiche in resina composita?

Ecco, è proprio qui che le cose si fanno interessanti. Perché vedete, mentre cerchiamo di rendere più bianchi i nostri denti naturali, potremmo, senza saperlo, “stressare” i materiali che il nostro dentista ha usato con tanta cura per riparare carie o migliorare l’estetica del nostro sorriso. Mi sono imbattuto in uno studio scientifico recente (pubblicato su BMC Oral Health, mica pizza e fichi!) che ha voluto vederci chiaro proprio su questo punto. E i risultati, ve lo anticipo, mi hanno fatto riflettere parecchio.

Cosa abbiamo cercato di scoprire?

L’obiettivo di questa ricerca era piuttosto diretto: capire come due tipi specifici di collutori sbiancanti, molto popolari sul mercato, influenzassero le proprietà di superficie di un materiale composito nanohybrido, uno di quelli che si usano comunemente per le otturazioni estetiche. In particolare, i ricercatori si sono concentrati su due aspetti chiave:

  • La ruvidità superficiale (indicata con la sigla Ra): in pratica, quanto “liscia” o “ruvida” diventa la superficie dell’otturazione dopo l’uso del collutorio. Perché è importante? Una superficie più ruvida trattiene più facilmente placca batterica e pigmenti, rischiando di macchiarsi più in fretta e di favorire problemi gengivali.
  • La microdurezza (indicata con VHN, Vickers Hardness Number): misura la resistenza della superficie del materiale a graffi e usura. Una diminuzione della durezza potrebbe indicare un indebolimento strutturale.

Ma non è finita qui. Lo studio ha voluto anche simulare l’effetto combinato del collutorio con lo spazzolamento quotidiano. Perché, ammettiamolo, usiamo il collutorio, ma poi ci laviamo anche i denti! Quindi, l’azione meccanica dello spazzolino si somma a quella chimica del prodotto. La domanda era: questi due fattori insieme peggiorano la situazione?

Come abbiamo messo alla prova i materiali?

Immaginate dei piccoli dischetti fatti dello stesso materiale delle vostre otturazioni bianche (nello specifico, un composito nanohybrido chiamato Clearfil Majesty™ Esthetic). Ne hanno preparati 54 e li hanno divisi in gruppi. Alcuni sono stati immersi in semplice acqua distillata (il nostro gruppo di controllo, per fare un paragone), altri in un collutorio sbiancante contenente un colorante chiamato “Patent Blue V” (il Colgate Optic White, COW), e altri ancora in un collutorio che sta andando molto di moda, quello contenente carbone attivo (il Colgate Plax White + Charcoal, CPWC).

All’interno di ciascun gruppo, metà dei campioni sono stati semplicemente immersi nel liquido per periodi simulati di 6 e 12 ore (che corrispondono circa a 6 mesi e 1 anno di utilizzo del collutorio due volte al giorno per un minuto). L’altra metà, invece, prima di essere immersa, è stata sottoposta a cicli di spazzolamento simulato (5.000 e 10.000 cicli, equivalenti sempre a circa 6 mesi e 1 anno di spazzolamento) usando una macchina apposita che riproduce il movimento e la pressione di uno spazzolino.

Dopo questi trattamenti, via a misurare ruvidità e durezza per vedere cosa era cambiato rispetto ai valori iniziali.

Macro fotografia di un campione di resina composita nanohybrida per otturazioni dentali, illuminazione controllata per evidenziare la texture superficiale, lente macro 100mm, alta definizione.

Ruvidezza Superficiale: Il Carbone Attivo Lascia il Segno

E qui arriva la parte succosa. Cosa hanno scoperto i ricercatori? Beh, preparatevi. Il collutorio al carbone attivo (CPWC) è risultato essere il “cattivo” della storia, almeno per quanto riguarda la ruvidità.

Nei campioni non spazzolati, dopo 12 ore di immersione (l’equivalente di 1 anno di utilizzo), la ruvidità superficiale dei dischetti trattati con CPWC era aumentata significativamente, di oltre il 31%! Un aumento decisamente maggiore rispetto a quello quasi trascurabile visto con l’acqua distillata (+1.6%) e con il collutorio COW (+5.9%).

E quando si aggiunge lo spazzolamento? La situazione non migliora, anzi. Anche nei gruppi spazzolati, il CPWC ha causato l’aumento di ruvidità più marcato, arrivando a un +33.3% dopo 10.000 cicli di spazzolamento e 12 ore di immersione. È interessante notare che lo spazzolamento di per sé aumentava la ruvidità in tutti i gruppi (anche con acqua o COW), ma l’effetto del collutorio al carbone sembrava sommarsi, creando un effetto sinergico tra l’abrasione chimica (o fisica, data la natura del carbone) e quella meccanica dello spazzolino.

Perché questo è un problema? Ricordate cosa dicevamo sulla ruvidità? Un valore di Ra superiore a 0.2 µm è considerato una soglia critica oltre la quale batteri e macchie aderiscono più facilmente. Bene, in questo studio, tutti i gruppi hanno superato questa soglia alla fine del test, ma quelli trattati con carbone attivo hanno mostrato l’incremento maggiore e più rapido. Questo significa che le otturazioni potrebbero diventare più opache, macchiarsi più facilmente e diventare un ricettacolo per la placca. Non proprio l’effetto “sbiancante” che cercavamo, vero?

Microdurezza: La Struttura Interna Resiste (Per Ora)

Passiamo alla microdurezza. Qui, le notizie sono… diverse. Sorprendentemente, nonostante l’aumento della ruvidità superficiale, nessuno dei collutori testati, né lo spazzolamento, ha causato una diminuzione statisticamente significativa della microdurezza del composito. In pratica, la resistenza ai graffi e all’usura della massa del materiale sembra essere rimasta pressoché invariata.

C’è stata una piccola tendenza alla riduzione della durezza nel gruppo CPWC non spazzolato dopo 12 ore, ma non abbastanza da essere considerata un vero e proprio allarme dal punto di vista statistico generale dello studio. Anzi, nel gruppo CPWC spazzolato si è notato addirittura un leggerissimo, non significativo, aumento della durezza alla fine del test. Forse l’azione dello spazzolino ha “compattato” o “lucidato” leggermente la superficie esposta dopo l’azione del collutorio? È un’ipotesi.

Quindi, da un lato abbiamo una superficie che diventa più ruvida (specialmente con il carbone), dall’altro una struttura interna che sembra mantenere la sua robustezza. Questo suggerisce che l’effetto negativo, almeno nelle condizioni testate, sia più che altro superficiale. Ma una superficie rovinata è comunque un problema clinico da non sottovalutare.

Simulazione di spazzolamento dentale in laboratorio su un campione di composito, testina dello spazzolino in movimento, effetto mosso per indicare azione, lente teleobiettivo zoom 100mm, alta velocità otturatore.

Cosa significa tutto questo per il tuo sorriso?

Ok, mettiamo insieme i pezzi. Questo studio *in vitro* (cioè fatto in laboratorio, non direttamente in bocca) ci lancia un messaggio importante: se avete delle otturazioni in resina composita, soprattutto sui denti anteriori dove l’estetica conta di più, forse dovreste pensarci due volte prima di usare regolarmente un collutorio sbiancante al carbone attivo.

Il rischio concreto è quello di rendere la superficie delle vostre belle otturazioni più ruvida. E una superficie ruvida, come abbiamo visto, significa:

  • Maggiore facilità di accumulo di placca batterica.
  • Maggiore suscettibilità alle macchie (caffè, tè, fumo…).
  • Potenziale usura accelerata nel tempo.
  • Possibile irritazione gengivale a contatto con la superficie ruvida.

Il fatto che la microdurezza non sia calata drasticamente è rassicurante sulla tenuta strutturale dell’otturazione nel breve-medio termine simulato, ma il danno superficiale è già di per sé un campanello d’allarme. L’altro collutorio sbiancante testato (COW, con Patent Blue V) ha avuto un impatto molto minore sulla ruvidità, simile a quello dell’acqua.

Certo, bisogna considerare i limiti dello studio. È stato fatto in laboratorio, senza la complessità della saliva, dei batteri “veri”, degli sbalzi di temperatura che abbiamo in bocca. Inoltre, è stato testato un solo tipo di composito. Materiali diversi potrebbero reagire in modo differente. E lo spazzolamento simulato è standard, mentre ognuno di noi spazzola a modo suo.

Uno Sguardo al Futuro (e al Presente)

Nonostante i limiti, i risultati sono abbastanza chiari da suggerire una certa cautela. Il messaggio da portare a casa non è “mai più collutori sbiancanti!”, ma piuttosto “scegliamoli con consapevolezza”, soprattutto se abbiamo restauri in composito.

Il mio consiglio spassionato? Parlatene sempre con il vostro dentista o igienista dentale di fiducia. Loro conoscono la vostra situazione orale specifica, sanno che tipo di materiali avete in bocca e possono consigliarvi i prodotti per l’igiene e l’estetica più adatti a voi, che siano efficaci ma anche sicuri per la longevità dei vostri restauri.

La ricerca in questo campo continua, e speriamo che in futuro avremo prodotti sempre più performanti e allo stesso tempo delicati sui materiali dentali. Nel frattempo, la prudenza, specialmente con prodotti “di moda” come quelli al carbone attivo, non è mai troppa quando si tratta della salute e della bellezza del nostro sorriso.

Primo piano estremo della superficie di un materiale dentale dopo esposizione a collutorio al carbone attivo, mostrando micro-ruvidità, lente macro 90mm, messa a fuoco precisa, illuminazione laterale drammatica.

Alla prossima! E mi raccomando, sorridete… con consapevolezza!

Fonte: Springer

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