Colistina: C’è Speranza Contro la Nefrotossicità? CMS vs CMS-E2 Sotto la Lente!
Amici scienziati e appassionati di medicina, oggi voglio parlarvi di una sfida che ci tiene col fiato sospeso da un po’: come possiamo usare uno dei nostri antibiotici “ultima spiaggia”, la colistina, senza che faccia troppi danni ai reni dei nostri pazienti? Sembra un rompicapo, vero? Beh, forse abbiamo qualche asso nella manica, o meglio, qualche nuova molecola promettente!
La colistina, sapete, è un farmaco un po’ datato, rispolverato di recente perché i batteri sono diventati furbetti e resistenti a quasi tutto il resto. È un vero salvavita contro infezioni terribili causate da bestiacce come Pseudomonas aeruginosa o Klebsiella pneumoniae resistenti ai carbapenemi. Però, c’è un “ma” grosso come una casa: la sua nefrotossicità. In pratica, può dare un bel cazzotto ai reni, e questo è un problema serio, che limita tantissimo il suo utilizzo clinico. Pensate che in alcuni studi si parla di un’incidenza di danno renale che arriva quasi al 50%! Non proprio una passeggiata.
Il “vecchio” CMS e il “nuovo” CMS-E2: chi vincerà la sfida della sicurezza?
In clinica, di solito usiamo il colistimetato di sodio (CMS), che è un profarmaco: una volta nel corpo, si trasforma lentamente nella colistina attiva. Per anni ci siamo chiesti come minimizzare i suoi effetti collaterali, e una delle strade è capire bene la sua farmacocinetica (PK), cioè come si muove e si trasforma nel corpo, e come questa si lega alla sua tossicità (TD). Molti studi hanno già dimostrato che la tossicità del CMS è legata alle concentrazioni di colistina nel sangue. Se superano una certa soglia, i guai ai reni sono dietro l’angolo.
Ma la scienza non si ferma mai! Recentemente, è stato sviluppato un nuovo composto, il colistina B metansolfonato (CMS-E2). Perché “B”? Perché la colistina commerciale è una miscela di vari componenti, principalmente colistina A e colistina B. Alcune ricerche preliminari suggerivano che la colistina B potesse essere meno cattivella con i reni rispetto alla A, pur mantenendo una buona attività antibatterica. Da qui l’idea: e se usassimo un CMS derivato solo dalla colistina B? Nasce così il CMS-E2, con la grande speranza che sia più gentile con i nostri preziosi filtri corporei.
Così, ci siamo messi camice e guanti (metaforicamente parlando, per me che scrivo!) e abbiamo condotto uno studio su ratti per confrontare il CMS tradizionale con questo nuovo CMS-E2. Volevamo vedere nero su bianco le differenze nella loro farmacocinetica e, soprattutto, nella loro nefrotossicità, guardando non solo cosa succedeva nel sangue, ma anche direttamente nei reni.
Cosa abbiamo scoperto? Un viaggio tra plasma e reni
Abbiamo trattato i nostri amici ratti con diverse dosi di CMS e CMS-E2. Poi, abbiamo misurato le concentrazioni dei farmaci (sia il profarmaco CMS/CMS-E2 che la forma attiva colistina/colistina B) nel plasma e nel tessuto renale. Ovviamente, abbiamo tenuto d’occhio anche i classici indicatori di danno renale, come la creatinina (CR) e l’azoto ureico nel sangue (BUN), e abbiamo fatto anche un esame istologico dei reni per vedere i danni al microscopio.
Una delle prime cose che abbiamo notato è che la farmacocinetica dei due composti è diversa. Ad esempio, a parità di dose (20 mg/kg di attività base di colistina, CBA), il CMS portava a concentrazioni massime (Cmax) e a un’esposizione totale (AUC) più alte nel plasma rispetto al CMS-E2, sia per il profarmaco che per la forma attiva. Questo suggerisce che, per ottenere livelli plasmatici simili, il CMS-E2 potrebbe aver bisogno di dosi diverse. Inoltre, il CMS-E2 sembrava avere un volume di distribuzione maggiore.

Ma la vera sorpresa, o forse la conferma di un sospetto, è arrivata quando abbiamo guardato dentro i reni. Sia il CMS che il CMS-E2, e soprattutto le loro forme attive colistina e colistina B, si accumulavano parecchio nei reni. E intendo parecchio! Le concentrazioni massime nei reni erano da 3 a 7 volte più alte per i profarmaci e da 12 a 20 volte più alte per le forme attive rispetto a quelle nel plasma. E ci restavano per un bel po’, anche quando nel sangue non c’era quasi più traccia del farmaco. Questo accumulo renale è un pezzo fondamentale del puzzle della nefrotossicità.
Il legame tra concentrazioni renali e danno: ecco la chiave!
I nostri “spioni” della funzione renale, la creatinina (CR) e l’azoto ureico nel sangue (BUN), insieme all’esame dei tessuti al microscopio (con un punteggio semi-quantitativo, SQS, per valutare il danno), ci hanno raccontato una storia chiara.
- C’era un ritardo tra il picco di concentrazione del farmaco nel plasma e il picco dei livelli di CR e BUN. Questo ci dice che il danno non è immediato, ma richiede un po’ di tempo per manifestarsi dopo che il farmaco ha raggiunto il suo bersaglio.
- I livelli di CR, BUN e i punteggi SQS erano correlati linearmente con le concentrazioni di colistina o colistina B nel tessuto renale. Non tanto con le concentrazioni dei profarmaci CMS/CMS-E2, ma proprio con quelle delle forme attive nei reni! Questo è un punto cruciale: è quello che succede dentro il rene a contare di più per la tossicità.
- All’aumentare della dose di entrambi i farmaci, aumentava anche il danno renale, come c’era da aspettarsi.
Per mettere insieme tutti i pezzi del puzzle, abbiamo usato dei modelli matematici farmacocinetici-tossicodinamici (PK-TD). Questi modelli ci hanno aiutato a descrivere bene come le concentrazioni dei farmaci nel plasma si collegano all’aumento di CR e BUN, tenendo conto di quel famoso ritardo. Abbiamo visto che la “pendenza” della relazione tra la concentrazione di farmaco attivo nel “compartimento effetto” (un concetto teorico che rappresenta il sito dove il farmaco fa danno) e i livelli di CR e BUN era significativamente più bassa per il CMS-E2 rispetto al CMS. In parole povere, per una data concentrazione “dannosa”, il CMS-E2 faceva meno casino.

Anche guardando direttamente la correlazione tra le concentrazioni di colistina B nei tessuti renali e i valori di CR e BUN, il coefficiente di regressione per il CMS-E2 era inferiore. Questo rafforza l’idea che, a parità di accumulo renale della forma attiva, il CMS-E2 sia meno tossico.
CMS-E2: un passo avanti per la sicurezza renale?
Il verdetto? Confrontando i due farmaci alla stessa dose (20 mg/kg CBA), il CMS-E2 ha mostrato una nefrotossicità significativamente inferiore rispetto al CMS, sia a livello biochimico (aumento di CR e BUN) che istologico (danno ai tessuti renali). Questo è un risultato importantissimo! Sembra proprio che la strategia di usare la sola colistina B come base per il profarmaco sia vincente in termini di sicurezza renale, almeno nei nostri modelli animali.
Questi risultati sono in linea con studi in vitro che avevano già suggerito una minore tossicità della colistina B sulle cellule tubulari renali umane rispetto alla colistina A o alla miscela di colistina. Il nostro studio fornisce una robusta conferma in vivo di questo vantaggio.
Certo, siamo ancora nel campo della ricerca preclinica sui ratti, e la trasposizione all’uomo richiede sempre cautela e ulteriori studi. Però, questi dati sono davvero incoraggianti. Capire a fondo queste relazioni farmacocinetiche-nefrotossicità, soprattutto a livello del tessuto renale, è fondamentale per ottimizzare le terapie con polimixine.

Una cosa interessante che abbiamo osservato è che la clearance dei farmaci (sia CMS/CMS-E2 che colistina/colistina B) diminuiva nei gruppi a dose più alta, e questa diminuzione era correlata con l’aumento della creatinina. In pratica, quando il rene inizia a soffrire, fa più fatica a eliminare il farmaco, il che potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione. Un circolo vizioso che dobbiamo imparare a interrompere.
Cosa ci portiamo a casa?
Questo studio ci ha permesso di capire meglio come il CMS e il nuovo CMS-E2 si comportano nel corpo e come danneggiano i reni, mettendo in luce l’importanza cruciale delle concentrazioni del farmaco attivo proprio all’interno del tessuto renale. E, soprattutto, ci ha mostrato che il CMS-E2 è significativamente meno nefrotossico del CMS nei ratti.
Questi risultati aprono la strada a future applicazioni cliniche più sicure per le polimixine. Immaginate di poter usare questi potenti antibiotici con una maggiore tranquillità per i reni dei pazienti! È una prospettiva entusiasmante che potrebbe davvero fare la differenza nella lotta contro le infezioni da batteri multi-resistenti.
Insomma, la strada è ancora lunga, ma studi come questo ci danno una speranza concreta e ci indicano la direzione giusta per bilanciare al meglio l’efficacia terapeutica e la tossicità di questi farmaci indispensabili. E chissà, forse il CMS-E2 sarà davvero il cavallo su cui puntare!
Fonte: Springer
