Indicatore di livello carburante analogico con la lancetta quasi sulla riserva ('E' di Empty), sovrapposto a una vista aerea di una centrale elettrica a carbone fumante al tramonto, con un cielo dai colori caldi ma leggermente inquinato. Fotografia realistica, obiettivo prime 35mm, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo industriale, luce controllata, alta definizione.

CO2 in Atmosfera: L’Indicatore Segreto che Misura Quanto Carburante Fossile Ci Resta

E se la CO2 fosse un indicatore di livello?

Ciao a tutti! Oggi voglio condividere con voi un pensiero un po’ fuori dagli schemi, quasi un esperimento mentale, che mi ha affascinato parecchio. Siamo abituati a pensare alla concentrazione di CO2 in atmosfera principalmente come alla causa principale del cambiamento climatico, la “febbre” del nostro pianeta. Ma se provassimo a vederla sotto un’altra luce? Se fosse anche una specie di… indicatore del livello di carburante rimasto nel serbatoio dei combustibili fossili della Terra?

Sentiamo spesso gli scettici del cambiamento climatico citare i livelli altissimi di CO2 registrati in ere geologiche passate, come milioni di anni fa, per sostenere che la situazione attuale non sia poi così grave o senza precedenti. Invece di lanciarmi nell’ennesima discussione per smontare queste argomentazioni (che, diciamocelo, a volte lascia il tempo che trova), ho pensato: e se prendessimo per buona, solo per un attimo, l’idea che quei livelli passati rappresentino qualcosa legato alle riserve fossili?

L’idea è questa: consideriamo la differenza enorme tra la CO2 atmosferica ai tempi dell’esplosione Cambriana (circa 420 milioni di anni fa, quando le piante terrestri iniziavano a diffondersi), stimata intorno alle 2000 parti per milione (ppm), e quella dell’era pre-industriale, circa 278 ppm. Potremmo immaginare questa differenza (circa 1722 ppm) come una misura indiretta di tutto il carbonio che è stato lentamente “immagazzinato” sotto forma di carbone, petrolio e gas nel corso delle ere geologiche. In pratica, il nostro “serbatoio” iniziale.

La lancetta si muove: quanto ne abbiamo già consumato?

Ora, guardiamo a oggi. La concentrazione di CO2 ha superato le 421 ppm. L’aumento rispetto all’era pre-industriale (421 – 278 = 143 ppm) può essere interpretato, in questo esperimento mentale, come la quantità di “carburante” che abbiamo già bruciato dalla Rivoluzione Industriale in poi. È come se la lancetta del nostro indicatore si fosse spostata, segnalando che una parte significativa delle riserve è già stata consumata.

Questa interpretazione, per quanto semplificata, non è campata per aria. Sembra coerente con quello che sappiamo sull’evoluzione della CO2 atmosferica e sul consumo di combustibili fossili. E ci porta a una conclusione piuttosto spiazzante: se continuiamo a consumare energia fossile ai ritmi attuali, o peggio, con la crescita esponenziale che abbiamo visto finora (circa il 2.4% annuo, che significa un raddoppio dei consumi ogni 29 anni!), potremmo esaurire le riserve rimanenti in meno di un secolo.

Pensateci: il pericolo di rimanere a secco di combustibili fossili potrebbe essere altrettanto grave e imminente degli effetti negativi del cambiamento climatico. Questo dovrebbe far riflettere anche chi è scettico sul clima: la transizione verso fonti energetiche non fossili non è solo una questione ambientale, ma una necessità strategica e inevitabile per la sopravvivenza stessa delle nostre società industriali.

Grafico stilizzato che mostra diverse curve di crescita esponenziale del consumo energetico che si appiattiscono a diversi livelli (simili agli scenari RCP), con una linea temporale che indica l'esaurimento delle riserve fossili in meno di 100 anni. Fotografia di un oggetto, obiettivo macro 80mm, alta definizione, illuminazione controllata e precisa.

Scenari futuri e l’inganno del “Net-Zero”

Gli scienziati del clima usano spesso delle sigle un po’ astruse come “RCP” (Representative Concentration Pathways) per descrivere possibili scenari futuri di concentrazione di gas serra. Traducendo questi scenari in livelli di CO2 atmosferica, possiamo usare il nostro “indicatore di carburante” per stimare quanto tempo ci resta prima di raggiungere quei livelli e, continuando a consumare, quanto prima esauriremo tutto.

I calcoli, pur essendo approssimativi (“back-of-the-envelope”, come dicono gli inglesi, fatti quasi sul retro di una busta), mostrano che anche negli scenari più ottimistici (quelli che limitano di più le emissioni, come l’RCP 2.6, vicino agli obiettivi dell’Accordo di Parigi), il tempo a disposizione è incredibilmente breve se continuiamo a basarci sui fossili. Raggiungere anche solo l’RCP 8.5 (lo scenario peggiore) richiederebbe poco più di 75 anni al tasso di crescita attuale del 2.4%.

E qui entra in gioco un altro fattore critico: l’EROI (Energy Return on Investment). In parole povere, è il rapporto tra l’energia che otteniamo da una fonte e l’energia che dobbiamo spendere per estrarla, processarla e distribuirla. Per i combustibili fossili, l’EROI sta diminuendo. Stiamo ricorrendo a tecniche sempre più complesse ed energeticamente costose (come il fracking) per estrarre risorse di qualità inferiore o più difficili da raggiungere. Questo significa che una fetta crescente dell’energia prodotta viene “mangiata” dal processo stesso di produzione. Potremmo arrivare a un punto in cui estrarre un barile di petrolio costa più energia di quanta ne contenga quel barile! Questo limite fisico potrebbe rendere inaccessibile una parte delle riserve rimanenti, accorciando ulteriormente i tempi.

La trappola della Cattura e Stoccaggio del Carbonio (CCS)

Di fronte a questa realtà, molti puntano su soluzioni come la Cattura e Stoccaggio del Carbonio (CCS) per raggiungere obiettivi di “Net-Zero” (emissioni nette zero), continuando però a usare i combustibili fossili. L’idea è catturare la CO2 prodotta dalle centrali o dalle industrie e seppellirla sottoterra.

Ma anche qui, il nostro approccio da “indicatore di carburante” solleva dubbi enormi:

  • Costi energetici: Catturare, trasportare e iniettare la CO2 richiede molta energia, si stima un 11-40% in più rispetto alla produzione senza cattura. Questo peggiora ulteriormente l’EROI e accelera l’esaurimento delle risorse nette.
  • Problema di volume e massa: Quando bruciamo carbone, petrolio o gas, la CO2 prodotta ha una massa maggiore (circa 3 volte!) e, anche se liquefatta, occupa un volume molto più grande del combustibile originale (da 1.5 a 7.6 volte di più!). Dove mettiamo tutta questa roba? Le cavità lasciate dall’estrazione non basterebbero.
  • Sicurezza dello stoccaggio: Siamo sicuri che i siti geologici identificati possano contenere in modo sicuro enormi quantità di CO2 pressurizzata per secoli o millenni, senza perdite? E a quale profondità e temperatura?
  • Tassi di sequestro realistici: Anche le stime più ottimistiche sulla quantità di CO2 che potremmo realisticamente sequestrare ogni anno (5-16 Gt/anno) sono probabilmente insufficienti a compensare le emissioni se continuassimo a usare i fossili su larga scala.

Insomma, la CCS rischia di essere un’illusione costosa e impraticabile su larga scala, una sorta di “trucco contabile” che non risolve il problema alla radice e, anzi, potrebbe distrarci dalla vera soluzione.

Immagine concettuale che mostra ciminiere industriali che emettono CO2, con tubi che cercano di catturarla e iniettarla sottoterra in una formazione geologica porosa che sembra già piena o instabile, con crepe visibili. Fotografia grandangolare 20mm, messa a fuoco nitida, atmosfera leggermente cupa e industriale.

La necessità di un “True-Zero”

La conclusione che emerge da questo esperimento mentale è potente: che la nostra preoccupazione principale sia il cambiamento climatico o l’esaurimento delle risorse (o entrambe, come dovrebbe essere!), la strada è una sola: abbandonare i combustibili fossili. E non con soluzioni tampone o “net-zero” basate su tecnologie incerte come la CCS o su meccanismi di mercato come il carbon trading, ma con una transizione decisa verso un sistema energetico a “True-Zero” emissioni.

Focalizzarci sulla transizione energetica completa e rapida verso fonti rinnovabili e sostenibili risolverebbe, come effetto collaterale, anche il problema delle emissioni climalteranti. Inseguire solo gli obiettivi di CO2 potrebbe portarci a “soluzioni” che, alla fine, accelerano solo l’esaurimento delle risorse senza affrontare il nodo centrale della nostra dipendenza dai fossili.

Questa prospettiva dell’indicatore di carburante, per quanto semplice, ci mette di fronte a una verità scomoda ma ineludibile: il tempo sta per scadere. La festa alimentata dai combustibili fossili sta per finire, e dobbiamo prepararci al dopo, ora.

Fonte: Springer

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