Hsa-circVIM: la “spia” molecolare che svela i segreti del cancro al seno e della resistenza al tamoxifene
Ciao a tutti, appassionati di scienza e curiosi! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel mondo microscopico delle nostre cellule, per scoprire come una piccola molecola stia rivoluzionando il nostro modo di capire – e speriamo, un giorno, di combattere – una delle forme più comuni di cancro: il cancro al seno. Parleremo di geni, di terapie che a volte smettono di funzionare e di una specie di “eroe” o “cattivo” molecolare, a seconda dei punti di vista, chiamato hsa-circVIM. Pronti? Allacciate le cinture!
Il Grande Nemico: Cancro al Seno e Resistenza alle Terapie
Il cancro al seno, purtroppo, non ha bisogno di presentazioni. È il tumore più diagnosticato nelle donne a livello globale e, tra le sue varie forme, circa il 70% dei casi è positivo ai recettori ormonali (HR-positivo). Per queste pazienti, la terapia endocrina, e in particolare un farmaco chiamato tamoxifene, rappresenta una pietra miliare del trattamento. Il tamoxifene è un vero guerriero: agisce bloccando i recettori per gli estrogeni sulle cellule tumorali, impedendo di fatto al tumore di crescere grazie a questi ormoni.
Tuttavia, come in ogni battaglia che si rispetti, il nemico può evolvere e sviluppare delle difese. Molte pazienti, inizialmente sensibili al tamoxifene, con il tempo sviluppano una resistenza al farmaco. È un problema enorme, perché rende il trattamento inefficace e la malattia più difficile da contrastare. Capire i meccanismi dietro questa resistenza è, quindi, una delle sfide più grandi per noi ricercatori. E qui entrano in gioco delle molecole sorprendenti: gli RNA circolari.
RNA Circolari: I Nuovi Protagonisti della Ricerca sul Cancro
Forse avete sentito parlare dell’RNA messaggero (mRNA), soprattutto grazie ai vaccini di ultima generazione. Ma l’universo dell’RNA è molto più vasto e misterioso! Tra i suoi membri meno noti, ma incredibilmente intriganti, ci sono gli RNA circolari (circRNA). A differenza degli RNA lineari, che hanno un inizio e una fine, i circRNA hanno una struttura chiusa ad anello. Questa forma particolare li rende super stabili, resistenti agli enzimi che normalmente degradano l’RNA, e quindi capaci di “vivere” più a lungo nella cellula.
Negli ultimi anni, abbiamo scoperto che i circRNA non sono solo dei curiosi prodotti di scarto cellulare, ma svolgono ruoli cruciali nella regolazione dell’espressione genica e sono coinvolti nell’insorgenza e progressione di tantissime malattie, inclusi i tumori. Come fanno? Uno dei loro superpoteri è quello di agire come “spugne” per i microRNA (miRNA). I miRNA sono altre piccole molecole di RNA che regolano l’espressione dei geni. Se un circRNA “cattura” un miRNA, quel miRNA non sarà più libero di svolgere il suo lavoro, con conseguenze a cascata sull’attività cellulare.
Hsa-circVIM: Un Nome da Ricordare
E qui arriviamo al protagonista della nostra storia: hsa-circVIM. Uno studio recente, pubblicato su Springer, ha messo sotto i riflettori proprio questo specifico circRNA nel contesto del cancro al seno HR-positivo e della resistenza al tamoxifene. E i risultati, ve lo dico, sono davvero stuzzicanti!
I ricercatori hanno scoperto che i livelli di hsa-circVIM sono significativamente più alti nei tessuti tumorali del cancro al seno rispetto ai tessuti sani. Non solo: un’alta espressione di hsa-circVIM è associata a una prognosi peggiore per le pazienti, con una sopravvivenza globale più breve. Questo già ci dice che hsa-circVIM potrebbe essere un importante biomarker prognostico: la sua quantità potrebbe aiutarci a capire quanto aggressivo sia il tumore e quale potrebbe essere il suo decorso.
Ma la cosa si fa ancora più interessante quando si guarda alle cellule HR-positive e a quelle che hanno sviluppato resistenza al tamoxifene (chiamate MCF7/TR). Anche in queste cellule, hsa-circVIM è presente in quantità elevate. Sembra proprio che questa molecola giochi un ruolo da “cattivo”, promuovendo la progressione del tumore.
Come Agisce hsa-circVIM? Il Gioco della Spugna con miR-1294
Per capire come hsa-circVIM eserciti la sua influenza nefasta, gli scienziati hanno indagato sul suo meccanismo d’azione. E cosa hanno scoperto? Che hsa-circVIM agisce proprio come una spugna molecolare, legandosi e “sequestrando” un specifico microRNA chiamato miR-1294.
Ora, dovete sapere che miR-1294, in condizioni normali, agisce come un soppressore tumorale. Aiuta a tenere a bada la crescita e la diffusione delle cellule cancerose. Ma se hsa-circVIM è molto abbondante, “cattura” gran parte del miR-1294 disponibile, impedendogli di svolgere la sua funzione protettiva. È come se il “poliziotto buono” (miR-1294) venisse messo fuori gioco dal “boss malavitoso” (hsa-circVIM).
Nei loro esperimenti, i ricercatori hanno “silenziato” hsa-circVIM nelle cellule tumorali, cioè ne hanno ridotto artificialmente la quantità. E i risultati sono stati notevoli:
- La vitalità delle cellule tumorali è diminuita.
- La loro capacità di migrare e invadere altri tessuti si è ridotta.
- È aumentata l’apoptosi, cioè il “suicidio programmato” delle cellule tumorali (che è una cosa buona!).
- E, cosa cruciale, le cellule sono diventate più sensibili al tamoxifene!
Quando, invece, hanno inibito miR-1294 nelle cellule in cui hsa-circVIM era stato silenziato, questi effetti positivi sono stati parzialmente annullati. Questa è la prova del nove: hsa-circVIM promuove il cancro e la resistenza al tamoxifene proprio agendo su miR-1294.
Cosa Significa Tutto Ciò per il Futuro?
Queste scoperte sono elettrizzanti per diversi motivi. Innanzitutto, hsa-circVIM si candida come un potenziale biomarker non solo per la prognosi, ma anche per predire la risposta al tamoxifene. Immaginate se potessimo, analizzando i livelli di hsa-circVIM in una paziente, capire in anticipo se risponderà bene al tamoxifene o se è a rischio di sviluppare resistenza. Questo ci permetterebbe di personalizzare le terapie in modo molto più efficace.
Ma c’è di più! Se hsa-circVIM è un “promotore” del cancro e della resistenza, allora bloccarlo potrebbe diventare una nuova strategia terapeutica. Potremmo sviluppare farmaci che mirano specificamente a ridurre i livelli di hsa-circVIM o a impedirgli di legarsi a miR-1294. Questo potrebbe “risensibilizzare” le cellule tumorali al tamoxifene o, in generale, frenare la progressione della malattia.
Certo, la strada è ancora lunga. Questo studio, seppur molto promettente, ha delle limitazioni, come un numero di campioni non enorme per analisi stratificate tra i sottotipi molecolari, e la necessità di confermare questi risultati in vivo, cioè su modelli animali, prima di poter pensare a studi sull’uomo. I ricercatori stessi sottolineano che il meccanismo preciso con cui hsa-circVIM opera nel cancro al seno HR-positivo necessita di ulteriori approfondimenti. Ad esempio, hanno identificato che miR-1294 potrebbe influenzare geni importantissimi nel cancro come MYC e TP53, e vie di segnalazione come quella di Wnt, tutte aree che meritano indagini future.
Un Futuro di Speranza
Nonostante le cautele d’obbligo, studi come questo ci riempiono di speranza. Ci mostrano che, anche se la battaglia contro il cancro è complessa, stiamo continuamente scoprendo nuovi dettagli sul nemico, nuove vulnerabilità da sfruttare. La comprensione del ruolo di molecole come hsa-circVIM e della sua interazione con miR-1294 nel cancro al seno HR-positivo e nella resistenza al tamoxifene apre scenari terapeutici davvero intriganti.
Pensate un po’: stiamo parlando di RNA circolari, molecole che fino a pochi anni fa erano considerate quasi “spazzatura” genomica! E invece, si stanno rivelando attori chiave nel grande dramma della vita e della malattia cellulare. È la bellezza della ricerca scientifica: non smette mai di sorprenderci e di indicarci nuove strade. Chissà quali altre scoperte ci aspettano dietro l’angolo! Io, come sempre, sarò qui pronto a raccontarvele.
Fonte: Springer
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Hsa-circVIM: Rivela Nuove Strategie Contro Cancro al Seno
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Ciao a tutti, appassionati di scienza e amici degli animali! Oggi voglio parlarvi di una questione che mi sta particolarmente a cuore e che, credetemi, dovrebbe interessare un po' tutti: la salute dei nostri amici a quattro zampe e, di riflesso, la nostra. Immaginatevi di essere nei Ghati Occidentali, in Kerala, India, una regione di una bellezza mozzafiato, ma che nasconde insidie invisibili. Proprio lì, un team di ricercatori (e idealmente mi ci metto anch'io in queste avventure scientifiche!) ha condotto uno studio illuminante sulla popolazione canina degli insediamenti tribali Kani. E i risultati, pubblicati su Springer, sono un campanello d'allarme.
Un Trio Infernale: Leishmania, Dirofilaria e Wolbachia
Parliamo di malattie zoonotiche emergenti, quelle che possono passare dagli animali all’uomo: la leishmaniosi e la dirofilariosi. La prima è causata da protozoi del genere Leishmania, trasmessi dalla puntura dei flebotomi (piccoli insetti simili a zanzare). La seconda è provocata da vermi filariali, le dirofilarie, veicolate dalle zanzare. Come se non bastasse, spesso le dirofilarie portano con sé un “passeggero”: il batterio Wolbachia, che vive in simbiosi con loro e può peggiorare il quadro clinico.
Il nostro studio si è concentrato proprio sulla ricerca di questi tre “nemici” nei cani degli insediamenti Kani. Perché proprio lì? Perché il Kerala, e in particolare quest’area, sta diventando un “hotspot” per queste patologie. Pensate che negli ultimi 10 anni sono stati documentati circa 50 casi umani di leishmaniosi, e la regione conta per circa il 55% dei casi di dirofilariosi umana in India!
La Nostra Missione sul Campo: Indagine nei Villaggi Tribali
Nel luglio 2023, abbiamo raccolto campioni di sangue da 75 cani, sia domestici che randagi, di età compresa tra i 3 mesi e i 12 anni. Non è stato semplice: questi insediamenti sono sparsi su un territorio impervio, con scarsissime vie di comunicazione. Ma la determinazione era tanta! Abbiamo analizzato i campioni usando un arsenale di tecniche: microscopia, test sierologici rapidi e, soprattutto, diagnostica molecolare (PCR), che è un po’ come cercare l’ago nel pagliaio con una calamita super potente.
I cani possono essere portatori di Leishmania per lungo tempo senza mostrare sintomi evidenti, o presentando segnali aspecifici come perdita di pelo, lesioni cutanee, ingrossamento dei linfonodi. Questo li rende serbatoi silenziosi dell’infezione, un pericolo costante per gli altri animali e per le persone. La leishmaniosi può anche trasmettersi da madre a cucciolo o per via venerea, mantenendo la malattia nell’ambiente anche in assenza del vettore.
La dirofilariosi, d’altro canto, causa negli umani problemi oculari, sottocutanei e, più raramente, polmonari. Anche qui, i cani sono i principali serbatoi, insieme ad altri mammiferi selvatici come volpi e sciacalli.
I Risultati: Numeri che Fanno Riflettere
E qui arrivano i dati “scottanti”. Preparatevi:
- Ben 39 cani su 75 (il 52%) sono risultati positivi alla Leishmania donovani tramite PCR. Un numero altissimo!
- 19 cani su 75 (il 25,3%) erano infetti da Dirofilaria sp. “hongkongensis”. Anche questa una percentuale preoccupante.
- Tra i cani positivi alla Dirofilaria, ben 14 su 19 (il 73,7%) ospitavano anche il batterio Wolbachia. Questa è una prima assoluta per la specie Dirofilaria sp. “hongkongensis”!
Ma la cosa forse più allarmante sono le co-infezioni, ovvero la presenza contemporanea di più parassiti nello stesso animale:
- 12 cani (il 16%) erano co-infetti da Leishmania e Dirofilaria.
- E ben 9 cani (il 12%) avevano il “pacchetto completo”: Leishmania donovani, Dirofilaria sp. “hongkongensis” e Wolbachia spp. Un vero e proprio cocktail esplosivo!
Questi dati ci dicono chiaramente che il Kerala sta diventando sempre più vulnerabile a queste zoonosi. La situazione è particolarmente critica negli insediamenti Kani, dove 8 su 14 villaggi studiati presentavano cani co-infetti da tutti e tre i parassiti.
PCR: L’Arma Segreta Contro i Parassiti Nascosti
Un aspetto fondamentale emerso dallo studio è la superiorità della PCR rispetto ai metodi diagnostici tradizionali. Per la leishmaniosi, ad esempio, l’esame microscopico degli strisci di sangue ha identificato solo 28 casi su 39 positivi alla PCR, e il test rapido rK39 (un test sierologico) solo 23. Questo significa che la PCR è molto più sensibile e specifica, capace di scovare l’infezione anche quando la carica parassitaria è bassa e i sintomi sono assenti o fuorvianti.
La sensibilità del test rK39 nei cani si è rivelata del 58,9% rispetto alla PCR, mentre la microscopia ha mostrato una sensibilità del 67,7%. La PCR, quindi, si conferma lo strumento diagnostico più affidabile per la Leishmania nei cani.
Questo è cruciale, perché una diagnosi precoce e accurata è fondamentale per intervenire tempestivamente e limitare la diffusione della malattia. I cani asintomatici, se non identificati, continuano a fungere da serbatoio, mettendo a rischio la salute pubblica.
Un Problema Complesso: Co-infezioni e Dinamiche di Malattia
La co-infezione di Leishmania infantum, Dirofilaria immitis e Wolbachia spp. era già stata segnalata in Europa (Grecia, Italia, Portogallo), ma il nostro studio è il primo a documentare la triade L. donovani, Dirofilaria sp. “hongkongensis” e Wolbachia spp. nei cani.
Come interagiscono questi parassiti tra loro all’interno dell’ospite? È una domanda ancora aperta. Alcuni studi suggeriscono che la presenza di Dirofilaria e Wolbachia potrebbe influenzare lo sviluppo della leishmaniosi manifesta. Capire queste dinamiche è essenziale per sviluppare strategie di trattamento e controllo più efficaci, magari mirate all’eradicazione simultanea di più parassiti.
La scoperta di Wolbachia in Dirofilaria sp. “hongkongensis” è particolarmente interessante. Finora, solo D. immitis e D. repens erano note per ospitare questo endosimbionte. Poiché Wolbachia è cruciale per la sopravvivenza e la riproduzione del nematode, trattamenti antibiotici mirati a eliminare il batterio potrebbero rappresentare una strategia terapeutica anche contro questa specie di Dirofilaria.
Cosa Ci Aspetta? Un Appello all’Azione
I risultati di questo studio sono un chiaro segnale che non possiamo abbassare la guardia. La prevalenza di Leishmania e Dirofilaria nei cani dei Ghati Occidentali rappresenta una seria minaccia per la popolazione umana locale, specialmente in comunità isolate come quelle Kani.
È fondamentale implementare misure di intervento e prevenzione tempestive. Questo include:
- Migliorare la sorveglianza attiva sia negli animali che nell’uomo.
- Sviluppare e utilizzare metodi di diagnosi multi-patogeno, capaci di identificare contemporaneamente diverse infezioni.
- Promuovere campagne di sensibilizzazione e controllo dei vettori (flebotomi e zanzare).
- Studiare più a fondo le dinamiche delle co-infezioni per ottimizzare i trattamenti.
La salute dei nostri animali è intrinsecamente legata alla nostra. Proteggere loro significa proteggere noi stessi. Questo studio ci ricorda l’importanza dell’approccio “One Health”, che considera la salute umana, animale e ambientale come un tutt’uno interconnesso. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma la ricerca scientifica ci fornisce gli strumenti per affrontare queste sfide. E io, nel mio piccolo, spero di continuare a contribuire a questa causa!
Fonte: Springer
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Immagine fotorealistica di un cane dall’aspetto preoccupato in un ambiente rurale indiano dei Ghati Occidentali, con una zanzara e un pappatacio stilizzati che fluttuano minacciosamente vicino. Obiettivo prime, 50mm, luce naturale del tardo pomeriggio che crea lunghe ombre, effetto duotone seppia e blu scuro per un’atmosfera di apprensione e allerta sanitaria.
Zoonosi
Studio in Kerala (India) rivela alta prevalenza di Leishmania, Dirofilaria e Wolbachia nei cani. Rischio zoonosi e co-infezioni in aumento, urge intervento.
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Allarme Parassiti Cani Kerala: Leishmania e Dirofilaria Minacciano!
Leishmania
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Amici, preparatevi perché oggi vi racconto una storia che ha dell’incredibile, una di quelle che ti fa guardare il sushi con un occhio diverso! Parliamo di calcoli alla cistifellea, un problema piuttosto comune, ma con un colpevole che non ti aspetteresti mai: un parassita subdolo chiamato Clonorchis sinensis. Sì, avete capito bene, un verme! E la cosa più pazzesca? Sembra che sia strettamente legato alla formazione di calcoli biliari “speciali”, quelli non fatti di colesterolo, soprattutto nelle zone dove questo parassita è di casa.
Quando ho letto per la prima volta il titolo dello studio “Formation of non-cholesterol gallstones in populations within clonorchiasis endemic regions is closely related toClonorchis sinensisinfection”, ho pensato: “Ma dai, sul serio?”. Ebbene sì, la scienza non smette mai di stupire. Cerchiamo di capirci qualcosa di più, in parole povere.
Un Nemico Invisibile nel Piatto
Allora, chi è questo Clonorchis sinensis? È un parassita, un tipo di verme piatto, che si annida nel fegato e nelle vie biliari. Come ce lo becchiamo? Principalmente mangiando pesce d’acqua dolce crudo o poco cotto che contiene le sue cisti. Pensate che colpisce milioni di persone nel mondo, soprattutto in Asia orientale e sud-orientale, come Cina, Vietnam e Corea. E la provincia del Guangdong in Cina è una delle aree più colpite. Io, per fortuna, vivo lontano da lì, ma la cosa mi ha fatto riflettere su quanto poco sappiamo di certi rischi alimentari.
Questo parassita non è un ospite tranquillo. Una volta nel nostro corpo, i vermi adulti possono causare un bel po’ di guai: danni, infiammazioni localizzate, fibrosi delle vie biliari, e nei casi più sfortunati colecistite, colangite, calcoli biliari e persino tumori. Insomma, non proprio un coinquilino desiderabile.
La Ricerca: Cosa Hanno Scoperto gli Scienziati?
Lo studio che mi ha tanto colpito ha messo sotto la lente d’ingrandimento un bel po’ di persone: 220 pazienti con problemi di calcoli alla cistifellea (GBSD) e 251 persone sane come gruppo di controllo. Hanno cercato gli anticorpi contro il Clonorchis sinensis nel sangue e controllato i livelli di glucosio, trigliceridi e colesterolo. Non solo, hanno analizzato la composizione della bile in pazienti con polipi alla cistifellea, calcoli “normali” e calcoli associati all’infezione da Clonorchis.
E i risultati? Tenetevi forte! È emerso che avere gli anticorpi positivi per il C. sinensis (il che suggerisce un’infezione in corso o passata) e avere la glicemia alta (iperglicemia) sono due fattori di rischio belli grossi per sviluppare calcoli alla cistifellea. Pensate che chi aveva gli anticorpi per il parassita aveva quasi il doppio delle probabilità (OR: 1.759) di avere calcoli, e chi aveva la glicemia alta addirittura più del doppio (OR: 2.263)!
Ma la cosa più interessante è il tipo di calcoli. Nei pazienti con l’infezione da Clonorchis (chiamati GSI), ben l’89.6% dei calcoli non erano di colesterolo. Invece, nei pazienti con calcoli ma senza infezione (GS), questa percentuale scendeva al 48.8%. Una differenza enorme, che fa pensare!
Come si Formano Questi Calcoli “Parassitari”?
Qui la faccenda si fa affascinante, quasi da film di fantascienza biologica. Gli scienziati hanno osservato al microscopio cosa succede. Le uova del Clonorchis sinensis, una volta nella bile, vengono ricoperte da muco ricco di glicogeno. Immaginatevele come delle piccole caramelle appiccicose. Queste uova, col tempo, tendono a morire e a calcificarsi, soprattutto quando si accumulano nei sedimenti biliari e poi nei calcoli veri e propri. Sembra proprio che queste uova morte e calcificate facciano da “nucleo”, da punto di partenza per la formazione del calcolo. Un po’ come un granello di sabbia in un’ostrica perla, ma molto meno poetico!
Le osservazioni al microscopio elettronico a scansione (SEM) hanno mostrato queste uova intrappolate nel muco, attaccate a particelle simili a bilirubina o a cristalli di carbonato di calcio. Alcune uova perdevano persino il loro “tappo”, e la loro superficie diventava più liscia. Man mano che si passava dalla bile, ai sedimenti, ai calcoli, il contenuto di sali di calcio aumentava, e così anche la percentuale di uova morte. Impressionante, vero?
Quindi, il meccanismo sembra essere questo:
- I vermi adulti nel fegato producono uova.
- Le uova finiscono nella bile e arrivano alla cistifellea.
- Alcune uova vengono intrappolate dal muco e si aggregano.
- Queste uova muoiono e si calcificano.
- Questo processo, insieme ad altri cambiamenti, porta alla formazione di calcoli non di colesterolo.
Non Solo Uova: Cambia Anche la Bile!
L’infezione da Clonorchis sinensis non si limita a “fornire” le uova per i calcoli. Sembra che scombussoli anche la composizione stessa della bile. Nei pazienti con l’infezione (GSI), i livelli di acidi biliari totali (TBA) e di colesterolo nella bile erano più bassi rispetto sia ai pazienti con polipi (GP) sia a quelli con calcoli “normali” (GS). Invece, la concentrazione di anidride carbonica (CO2) e il pH della bile erano più alti nei pazienti GSI rispetto ai GS.
Questi cambiamenti sono importanti. Gli acidi biliari, per esempio, aiutano a tenere il colesterolo in soluzione e prevengono la formazione di calcoli. Una loro diminuzione, insieme ad altri fattori, potrebbe favorire la precipitazione di altre sostanze. Pensate che i vermi adulti, danneggiando le cellule dei dotti biliari, potrebbero compromettere la secrezione e l’escrezione degli acidi biliari, portando a una sorta di colestasi, cioè un rallentamento del flusso biliare.
Una Cistifellea Più “Pigra”
E non è finita qui! Lo studio ha anche esaminato la funzionalità della cistifellea, cioè quanto bene si svuota dopo un pasto grasso. Hanno misurato il volume della cistifellea a digiuno (FGV), il volume residuo dopo un pasto (RGV) e la frazione di eiezione (%E), che è la percentuale di bile espulsa.
I risultati? I pazienti con l’infezione da Clonorchis (GSI) avevano un volume a digiuno e un volume residuo maggiori, e una frazione di eiezione minore rispetto ai pazienti con solo polipi (GP). Questo significa che la loro cistifellea era più “piena” all’inizio e si svuotava meno efficacemente. Anche rispetto ai pazienti con calcoli “normali” (GS), quelli con l’infezione avevano volumi a digiuno e residui maggiori, anche se la frazione di eiezione non era significativamente diversa tra questi due gruppi.
Una cistifellea che si svuota male è un altro fattore che favorisce la formazione di calcoli, perché la bile ristagna più a lungo, dando più tempo alle sostanze di precipitare e aggregarsi. L’aumento del muco nella cistifellea, l’ostruzione biliare e la ridotta escrezione di acidi biliari, tutti potenzialmente causati dall’infezione, potrebbero contribuire a questa “pigrizia” della cistifellea.
Cosa Ci Portiamo a Casa da Questa Ricerca?
Beh, prima di tutto, che l’infezione da Clonorchis sinensis è un fattore di rischio concreto per i calcoli alla cistifellea, e in particolare per quelli non di colesterolo, nelle aree dove il parassita è diffuso. Questo studio ci dà un quadro più chiaro di come questo possa accadere: le uova del parassita che fanno da “innesco”, i cambiamenti nella composizione della bile e la ridotta motilità della cistifellea.
Certo, lo studio ha qualche limitazione, come l’uso degli anticorpi per diagnosticare l’infezione nel gruppo di controllo (sarebbe stato meglio cercare le uova direttamente, ma non sempre è fattibile) e il fatto che i risultati sono specifici per le aree endemiche. Inoltre, fattori come sesso ed età, solitamente associati ai calcoli, qui non sembravano avere un ruolo, forse perché l’effetto dell’infezione da Clonorchis è talmente forte da “mascherare” gli altri. Ad esempio, nelle zone endemiche, gli uomini potrebbero essere più a rischio perché mangiano più spesso pesce crudo fuori casa.
Nonostante ciò, queste scoperte sono importantissime. Aiutano a capire meglio la malattia, e potrebbero portare a strategie di prevenzione e trattamento più mirate nelle popolazioni a rischio. E per noi, è un promemoria: attenzione a cosa mettiamo nel piatto, soprattutto quando viaggiamo in certe zone del mondo o mangiamo cibi esotici crudi. La cottura è sempre una buona alleata!
Io, da oggi, quando sentirò parlare di calcoli alla cistifellea, penserò anche a questo piccolo, insidioso verme. E voi?
Fonte: Springer