Città dei 15 Minuti: La Svezia Ci Mostra la Via (o Quasi?)
Avete mai sentito parlare della “città dei 15 minuti”? Ultimamente è sulla bocca di tutti, una specie di “parola magica” nel mondo dell’urbanistica. L’idea di base è semplice e affascinante: creare città dove tutto ciò che ci serve – negozi, scuole, parchi, servizi sanitari – sia raggiungibile in un quarto d’ora a piedi o in bicicletta da casa. Sembra un sogno, vero? Un modo per avere centri urbani più vivaci, sostenibili e resilienti. E io, da appassionato di come viviamo e ci muoviamo nelle nostre città, non potevo non tuffarmici dentro per capirne di più, soprattutto guardando a un caso interessante come quello svedese.
Ma cos’è esattamente questa “città dei 15 minuti”?
In pratica, si tratta di un concetto di pianificazione urbana che punta a creare quartieri compatti e multifunzionali. L’obiettivo? Ridurre la nostra dipendenza dall’auto, migliorare la qualità della vita, favorire l’interazione sociale e integrare le varie funzioni della comunità per tutti i residenti. Pensateci: meno tempo nel traffico, più tempo per noi. Certo, poi ci sono varianti: città dei 20 minuti, persino da 1 minuto, a seconda del raggio e dei servizi considerati. Ma il succo non cambia: accessibilità, mobilità dolce, densità, diversità, spazi pubblici, verde e partecipazione della comunità sono le parole chiave.
I sostenitori dicono che questo modello può aiutarci ad affrontare sfide enormi come il cambiamento climatico, i problemi di salute legati alla sedentarietà, le disuguaglianze sociali e lo sviluppo economico, creando ambienti urbani più inclusivi, equi e sostenibili. E dopo la pandemia di COVID-19, che ci ha fatto riscoprire l’importanza del “locale” e della resilienza, l’idea ha preso ancora più piede. In Svezia, per esempio, il dibattito sulla mobilità urbana e sulla necessità di infrastrutture pedonali e ciclabili adeguate si è acceso proprio in quel periodo.
Un po’ di storia, per non dire che è tutto nuovo
Anche se il termine “città dei 15 minuti” (o meglio, “Ville du quart d’heure”) è stato coniato dall’urbanista franco-colombiano Carlos Moreno nel 2015, l’idea di città “a misura d’uomo” e facilmente percorribile a piedi non è certo una novità. Affonda le radici in secoli di pensiero urbanistico!
- Già con la Rivoluzione Industriale, si cercavano antidoti al degrado urbano. Pensiamo a Ebenezer Howard e al suo movimento delle “Città Giardino” a cavallo tra ‘800 e ‘900: comunità con case piccole, verde, servizi essenziali, lontane dal caos delle metropoli.
- Poi c’è stato Patrick Geddes, che insisteva sull’importanza di studiare le condizioni geografiche e culturali di un luogo prima di costruirci una città.
- Negli anni ’20, Clarence Perry propose la sua “Neighbourhood Unit”, un quartiere autosufficiente e lontano dal traffico e dall’inquinamento.
- E come non citare Jane Jacobs, che negli anni ’60 teorizzava aree dense, ad uso misto, super vivibili, dove la gente per strada contribuisce alla sicurezza del quartiere?
- Il “New Urbanism”, dagli anni ’60 ai ’90, ha spinto per quartieri pedonali, con mix di case e lavoro, per ridurre la dipendenza dall’auto e contrastare l’espansione urbana selvaggia (il famoso “urban sprawl”).
- Negli anni ’70 spuntò l'”Urban Quarter”, un quartiere percorribile in 10 minuti. E poi il “Traditional Neighbourhood Development” e il “Pedestrian Pocket” negli anni ’80, sempre con l’idea di avere tutto a portata di camminata.
Insomma, l’idea di base c’era già. Moreno, però, ha aggiunto un accento importante sull’uso della tecnologia – intelligenza artificiale, big data, machine learning – per far progredire queste città del futuro.

Perché questo ritorno di fiamma? Il problema dello “sprawl”
Il problema che tutti questi approcci cercano di risolvere è l’urban sprawl, quella tendenza a separare le zone residenziali da quelle commerciali, industriali e ricreative. Questo ha portato a città sempre più estese, con case più grandi ma in contesti “più tranquilli” (leggi: isolati), che a loro volta significano tempi di viaggio più lunghi, più traffico, e spesso la mancanza di servizi essenziali a portata di mano perché non “redditizi”. Risultato? Dipendenza dall’auto, vista a volte come status symbol, e trasporti pubblici stigmatizzati. Un bel problema per l’ambiente e per il nostro tempo!
La “città dei 15 minuti” vuole essere l’esatto opposto: densificazione radicale, quartieri compatti e ad uso misto, dove le funzioni sono integrate. Meno viaggi lunghi, meno auto, più qualità della vita.
La Svezia sotto la lente d’ingrandimento
E qui arriviamo alla Svezia. Questo paese ha obiettivi climatici ambiziosi (zero emissioni nette entro il 2045!) e l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è una strategia nazionale. L’obiettivo 11 dell’ONU parla proprio di “città e comunità sostenibili”. Ecco perché studiare come il concetto di città dei 15 minuti si stia manifestando lì è particolarmente interessante. C’è un dibattito accademico in corso: può questo modello aiutare la Svezia a raggiungere i suoi target, portando aria più pulita, meno rumore e strade più sicure?
Per capirlo, uno studio recente ha usato un’analisi geospaziale. In parole povere, hanno mappato dati con una componente spaziale per identificare schemi e tendenze. Hanno esaminato la proporzione della popolazione svedese che può raggiungere servizi essenziali (scuole, ristoranti, negozi di alimentari, sanità, intrattenimento, spazi verdi, ecc.) in 15 minuti o meno, a piedi o in bici, dalla propria abitazione. Il posto di lavoro è stato escluso, furbescamente direi, perché è una variabile troppo fluida e spesso non locale.
Per fare questa analisi, hanno usato dati sui “punti di interesse” (POI) classificati secondo il sistema svedese, dati geografici (coste, laghi, parchi, confini municipali) e statistiche demografiche dettagliate per piccole aree chiamate DeSO (circa 700-2700 abitanti). Calcolando le distanze a piedi (5 km/h) e in bici (15 km/h) dal centro di ogni DeSO, hanno classificato un’area come “quartiere dei 15 minuti” se almeno un POI per ognuna delle sei funzioni chiave (Commercio, Istruzione, Sanità, Abitazioni, Natura e Spazi Aperti, Intrattenimento) rientrava nel raggio temporale.
Cosa abbiamo scoperto in Svezia?
I risultati sono affascinanti! Intanto, su 290 municipalità svedesi, in 27 il concetto di città dei 15 minuti è completamente assente. Nessuna municipalità ha raggiunto il 100% di accessibilità a piedi in 15 minuti su tutto il suo territorio. Però, ben 13 ci sono riuscite se si considera la bicicletta! Tra queste, Solna, Malmö, Lidingö. Stoccolma città si è distinta con una media combinata del 96% di accessibilità pedonale e ciclistica.
Guardando alle tre città più grandi:
- Stoccolma: 97% di accessibilità generale in 15 minuti (95% a piedi, 96% in bici).
- Göteborg: 97% generale (ma “solo” 78% a piedi, 87% in bici).
- Malmö: 100% generale! (87% a piedi, 93% in bici).
Una cosa interessante che emerge dalle mappe è che queste aree “a portata di mano” si trovano principalmente nei centri città, con una certa tendenza verso le regioni occidentali. Questa è una vecchia storia: storicamente, le parti occidentali delle città, almeno nel mondo occidentale, sono state spesso più privilegiate. Si dice che sia per via dell’inquinamento dei tempi andati, che i venti prevalenti spingevano verso est. Questo ha creato un effetto valanga, con le zone est spesso più soggette a segregazione, povertà e minori investimenti. Anche la Svezia non fa eccezione, sebbene con qualche distinguo (a Stoccolma, quartieri ricchi come Östermalm sono a est).

Il rovescio della medaglia: gentrificazione e critiche
Qui tocchiamo un nervo scoperto: la gentrificazione. Sembra che la crescita delle città dei 15 minuti sia legata a questo fenomeno. La gentrificazione, in soldoni, avviene quando si “migliora” un’area storicamente meno abbiente per renderla più attraente per persone più ricche, con ristrutturazioni, nuove costruzioni, ecc. Il risultato? I prezzi salgono e i residenti originari potrebbero essere costretti ad andarsene. A Stoccolma, Södermalm, un tempo quartiere operaio, è un esempio lampante di gentrificazione, con molte strade trasformate in zone pedonali. L’idea è quella di poter andare ovunque a piedi o in bici, sviluppando “strade intelligenti” multifunzionali, più per le persone che per le auto. Ma questo processo si vede anche a Liljeholmen, Telefonplan, e in città come Göteborg (Haga) e Malmö (Gamla Väster, Möllevången).
A Möllevången, Malmö, c’è stata una certa resistenza, non contro la gentrificazione in sé, ma chiedendo che fosse più inclusiva. Quindi, la gentrificazione sembra promuovere la città dei 15 minuti, ma è sempre così? Non necessariamente. L’urbanista Michael Diamant, ad esempio, critica la qualità architettonica di alcuni nuovi quartieri, che potrebbero portare le persone a preferire zone più vecchie, lasciando decadere quelle nuove.
Nonostante i benefici, la città dei 15 minuti non è esente da critiche. Alcuni la vedono come uno schema totalitario per controllare la popolazione, legandola a lockdown climatici. Nel Regno Unito, Oxford ha abbandonato il termine per le sue connotazioni “tossiche” dopo proteste contro la riduzione dell’uso dell’auto. E poi c’è il rischio, come detto, di gentrificazione e spostamento dei residenti a basso reddito. Adattare le città esistenti, soprattutto quelle nordamericane pensate per le auto, è complesso e costoso.
Uno sguardo al futuro: la domicologia
E se ci fosse un modo per rendere le città dei 15 minuti ancora più dinamiche e adattabili? Qui entra in gioco un concetto affascinante: la “domicologia”. Termine coniato alla Michigan State University, studia il ciclo di vita dell’ambiente costruito. L’idea è pianificare e progettare edifici in modo che, quando non servono più o diventano obsoleti, possano essere smantellati facilmente e riutilizzati, invece che demoliti. Pensate a Detroit, con oltre 80.000 case abbandonate nel 2020! Con la domicologia, potremmo, in teoria, ridurre il degrado urbano e creare città dei 15 minuti dove servono, spostandole o riconfigurandole dinamicamente.
Questo studio svedese ci ha mostrato che la città dei 15 minuti esiste già in alcuni luoghi, soprattutto nei centri e nelle zone ovest, spesso legata alla gentrificazione. Ma il futuro potrebbe vederla trasformarsi in qualcosa di ancora più mobile e adattabile. La domicologia merita sicuramente un approfondimento.
Lezioni svedesi per il mondo
L’esperienza svedese, con le sue complessità, ci offre spunti preziosi. Ecco alcune raccomandazioni politiche che potrebbero essere utili a livello internazionale:
- Investimenti mirati nelle aree trascurate: Per contrastare le disuguaglianze storiche, i governi dovrebbero dare priorità agli investimenti infrastrutturali nelle aree storicamente svantaggiate, specialmente quelle a est dei centri urbani.
- Politiche di gentrificazione inclusiva e sostenibile: Incoraggiare una “gentrificazione inclusiva”, come si è cercato di fare a Möllevången, mantenendo una quota di alloggi a prezzi accessibili e incentivando le piccole imprese.
- Sviluppo di ‘Smart Streets’: L’esempio di Södermalm, con strade che privilegiano pedoni, ciclisti e verde, è un modello per ridurre le emissioni e incoraggiare l’interazione sociale.
- Enfasi sulla domicologia: Integrare i principi della domicologia nei codici edilizi può promuovere una pianificazione urbana flessibile, dove edifici e quartieri sono adattabili e sostenibili.
- Politiche di zonizzazione adattabili: Supportare una zonizzazione dinamica che possa adattarsi ai cambiamenti demografici e alle preferenze di mobilità, permettendo una più facile riconversione degli spazi.
- Monitorare e regolamentare i nuovi sviluppi: Stabilire standard più elevati per i nuovi progetti edilizi per evitare un’edilizia di scarsa qualità che rischia il degrado urbano, incoraggiando qualità, estetica e identità culturale.
In sintesi, l’approccio svedese alla città dei 15 minuti dimostra l’importanza di bilanciare contesto storico, inclusione sociale, sostenibilità e adattabilità. Incorporando queste considerazioni nelle politiche urbane, le città di tutto il mondo potrebbero promuovere comunità più inclusive, sostenibili e resilienti. E chissà, magari quel sogno di avere tutto a portata di mano diventerà la norma, non l’eccezione!

Fonte: Springer
