Mercurio nelle Foreste Ceche: Un’Eredità Nascosta tra Piogge Acide e Clima che Cambia
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante nel cuore delle foreste della Repubblica Ceca, un luogo che porta ancora i segni di un passato industriale pesante ma che ora affronta nuove sfide, come il cambiamento climatico. Parleremo di un elemento tanto affascinante quanto insidioso: il mercurio (Hg).
Forse non ci pensate spesso, ma il mercurio è ovunque intorno a noi. È un metallo pesante, una neurotossina potente, e purtroppo le attività umane, come la combustione del carbone, ne hanno rilasciato tonnellate nell’ambiente per decenni. L’Europa centrale, e in particolare l’area tristemente nota come il “Triangolo Nero” (tra Repubblica Ceca, Polonia e Germania), è stata pesantemente colpita dalle piogge acide tra gli anni ’60 e ’80, causate proprio dalla combustione di carbone ricco di zolfo… e, ahimè, anche di mercurio. Pensate che solo dal bacino della Boemia settentrionale si stima siano state emesse circa 1000 tonnellate di Hg dalla fine dell’Ottocento al 2010!
Il nostro “laboratorio” a cielo aperto: la rete GEOMON
Per capire come si muove questo mercurio oggi, come si accumula e cosa potrebbe succedere in futuro, abbiamo concentrato le nostre ricerche su 14 piccoli bacini forestali sparsi per la Repubblica Ceca. Fanno parte della rete GEOMON, creata nel 1993 proprio per studiare come questi ecosistemi stavano reagendo alla diminuzione delle piogge acide e alle crescenti preoccupazioni per il clima. Questi bacini sono incredibilmente diversi: variano per dimensione, altitudine (dai 471 ai 1301 metri!), tipo di foresta (prevalentemente abete rosso, ma anche faggi e betulle) e, ovviamente, per quanto mercurio hanno ricevuto in passato.
Il nostro obiettivo era duplice:
- Capire cosa guida oggi le concentrazioni e i flussi di mercurio nei ruscelli che drenano queste foreste. È più importante l’eredità storica dell’inquinamento o fattori attuali come il clima locale (legato all’altitudine), la quantità di carbonio organico disciolto (DOC) nell’acqua, o magari eventi come le infestazioni di coleotteri?
- Scoprire quanto mercurio viene trattenuto da queste foreste e come il cambiamento climatico potrebbe influenzare questa capacità di “immagazzinamento”.
A caccia di Mercurio: come abbiamo indagato
Per rispondere a queste domande, ci siamo messi letteralmente a “spiare” il mercurio per tre anni, dal 2020 al 2022. Abbiamo misurato quanto ne arrivava dall’alto:
- Con la pioggia (deposizione umida).
- Attraverso le chiome degli alberi (throughfall), che “catturano” mercurio dall’aria e lo rilasciano quando piove.
- Con la caduta di foglie, aghi e rametti (litterfall).
Abbiamo anche monitorato quanto mercurio usciva dai bacini attraverso l’acqua dei ruscelli. E non solo! Abbiamo usato dei campionatori passivi speciali (MerPAS®) per misurare la concentrazione di mercurio gassoso elementare (GEM) nell’aria e abbiamo analizzato campioni di suolo a diverse profondità per vedere dove si accumula. Insomma, un lavoro certosino per tracciare ogni “mossa” del mercurio.
Risultati sorprendenti: pioggia poca, foglie tantissime!
E qui arrivano le scoperte più interessanti, e per certi versi inaspettate. Prima di tutto, le concentrazioni di mercurio che arrivano con la pioggia e quelle presenti nell’aria (GEM) sono risultate relativamente basse, in linea o addirittura inferiori alla media europea attuale. Sembra che gli sforzi per ridurre le emissioni stiano funzionando, almeno per quanto riguarda l’input atmosferico diretto. Le concentrazioni medie di GEM, ad esempio, erano tra 1.25 e 1.66 ng/m³, valori da siti considerati “di fondo”, lontani da fonti dirette.
Ma la vera sorpresa è arrivata dalla litterfall, la caduta delle foglie e degli aghi. Questa si è rivelata la via d’ingresso dominante per il mercurio nelle foreste, rappresentando in media oltre il 91% del totale! E non è tutto: le concentrazioni di Hg trovate nelle foglie e negli aghi caduti nei nostri siti cechi sono tra le più alte mai registrate in Europa per foreste temperate, superando in alcuni casi i 100 µg/kg. Un vero paradosso: bassi livelli in aria e pioggia, ma altissimi nelle foglie cadute.
Come si spiega? Probabilmente c’entra il clima locale, influenzato dall’altitudine. Abbiamo notato che, sebbene la quantità di biomassa caduta (foglie, aghi) tenda a diminuire con l’altitudine (forse perché gli aghi vivono più a lungo a quote più basse e calde), la concentrazione di mercurio in questa biomassa e la deposizione totale di Hg tramite litterfall tendono invece ad aumentare con l’altitudine. Foreste più umide e fresche in quota potrebbero “assorbire” più mercurio gassoso dall’atmosfera attraverso gli stomi delle foglie.
Un altro dato incredibile: nel 2022, abbiamo osservato un picco notevole nella quantità di foglie e aghi caduti (e quindi nel flusso di mercurio al suolo) in sei dei nostri bacini. La causa? Un’infestazione di coleotteri scolitidi (bark beetle), un problema crescente legato anche al cambiamento climatico che stressa le foreste. Quando gli alberi muoiono o si indeboliscono, rilasciano più materiale al suolo, e con esso, più mercurio.
Il suolo: uno scrigno (per ora) sicuro
Ma dove finisce tutto questo mercurio che piove dalle foglie? La risposta è chiara: nel suolo. Le nostre analisi hanno confermato che le foreste della rete GEOMON sono incredibilmente efficienti nel trattenere il mercurio. In media, calcolando la differenza tra quanto entra (throughfall + litterfall) e quanto esce con i ruscelli, ben il 97% del mercurio viene trattenuto all’interno del bacino!
Il mercurio si lega tenacemente alla materia organica del suolo. Abbiamo trovato concentrazioni più alte nello strato organico superficiale (l’humus, O-horizon), con una media di circa 362 µg/kg, ma la “riserva” (pool) totale più grande si trova nel suolo minerale sottostante (fino a 80 cm di profondità), semplicemente perché ce n’è molto di più in termini di massa. In media, il suolo minerale custodisce il 91% del mercurio totale presente nel profilo. È interessante notare che, sebbene le concentrazioni nello strato organico siano elevate (più alte che in molte altre foreste europee o americane), i pool totali non sono eccezionalmente alti, suggerendo che forse la capacità di accumulo non è ancora satura, ma anche che processi come la decomposizione giocano un ruolo chiave.
Ruscelli e DOC: un legame indissolubile
E cosa ci dicono i ruscelli? Le concentrazioni di mercurio nell’acqua che esce dai bacini sono generalmente basse, in media 4.3 ng/L, e il flusso totale annuo esportato è piccolo (circa 1.4 µg/m²/anno), un ordine di grandezza inferiore a quanto entra con la litterfall.
Qui abbiamo testato la nostra prima ipotesi: pensavamo che i bacini che avevano subito la maggiore deposizione storica di mercurio (quelli nel cuore del “Triangolo Nero”) avrebbero mostrato oggi le maggiori perdite nei ruscelli. E invece… no! Il bacino JEZ, proprio al centro dell’area più inquinata storicamente, ha mostrato uno degli export di Hg più bassi. Al contrario, il bacino PLB, più periferico e con una geologia diversa (rocce più basiche), ha mostrato le concentrazioni e i flussi di Hg nei ruscelli più alti di tutti, pur avendo uno dei pool di Hg nel suolo più bassi!
Questo ci dice che l’eredità storica conta, ma non è il fattore dominante oggi. Ciò che guida l’export di mercurio nei ruscelli è, in modo schiacciante, la quantità di Carbonio Organico Disciolto (DOC). Il DOC è come un “taxi” per il mercurio: più DOC c’è nell’acqua, più mercurio viene trasportato via dal suolo verso il ruscello. Abbiamo trovato una correlazione fortissima tra Hg e DOC nei nostri campioni. Fattori che influenzano il DOC, come la geologia (il caso di PLB), il clima (l’altitudine influenza le precipitazioni e la decomposizione) e le caratteristiche del suolo, sono quindi i veri registi del destino del mercurio che lascia la foresta. La nostra ipotesi H1 è stata quindi smentita: non è (solo) la storia, ma la “personalità” attuale del bacino a dettare legge.
Uno sguardo al futuro: la foresta da “spugna” a “sorgente”?
Se da un lato è rassicurante vedere che queste foreste trattengono così tanto mercurio, dall’altro c’è un potenziale campanello d’allarme. La nostra seconda ipotesi (H2) suggeriva che il cambiamento climatico potrebbe mobilizzare questo mercurio immagazzinato e ridurre la capacità di ritenzione delle foreste. E i nostri dati sembrano supportare questa idea.
Perché? Il clima che cambia porta eventi estremi più frequenti: siccità che stressano gli alberi (favorendo infestazioni come quella dei coleotteri), temperature più alte che accelerano la decomposizione della materia organica nel suolo. Inoltre, la stessa ripresa dall’acidificazione, pur essendo positiva, può avere effetti collaterali: la diminuzione dell’acidità può “sbloccare” composti di carbonio precedentemente immobilizzati nel suolo, aumentando il rilascio di DOC nei corsi d’acqua.
Se aumenta il DOC, come abbiamo visto, aumenta anche il trasporto di mercurio. Quindi, l’enorme quantità di mercurio “legacy”, ereditato dal passato e attualmente stoccato nei suoli forestali cechi, potrebbe iniziare a essere rilasciata in modo più consistente nei prossimi decenni a causa della combinazione tra recupero dall’acidificazione e riscaldamento globale. Queste foreste, che oggi agiscono come efficienti “spugne” per il mercurio, potrebbero lentamente trasformarsi in “sorgenti”, rilasciando questo contaminante verso fiumi, laghi e, potenzialmente, nella catena alimentare.
In conclusione, il nostro viaggio nel ciclo del mercurio nelle foreste ceche ci ha mostrato un quadro complesso: un’eredità di inquinamento ancora ben presente nei suoli, meccanismi attuali dominati dalla caduta delle foglie e dal trasporto legato al carbonio organico, e un futuro incerto in cui il cambiamento climatico potrebbe rimettere in gioco il mercurio nascosto. È fondamentale continuare a monitorare questi ecosistemi per capire meglio e anticipare le conseguenze di questi processi interconnessi.
Fonte: Springer