Cibo, Quartiere e Cervello: Se Dove Vivi Accelera il Declino Cognitivo (Spoiler: Sì)
Sapete una cosa? Mi sono sempre chiesto quanto l’ambiente che ci circonda possa davvero plasmare non solo il nostro umore, ma anche la nostra salute a lungo termine, specialmente quella del nostro cervello. Ebbene, pare che le mie non fossero solo elucubrazioni da poltrona, perché uno studio americano piuttosto recente ha messo il dito nella piaga, confermando un sospetto che aleggiava da tempo: il quartiere in cui viviamo, e in particolare l’accesso al cibo sano, gioca un ruolo cruciale nel modo in cui il nostro cervello invecchia.
Parliamoci chiaro: quando si parla di “ambiente alimentare del quartiere”, non stiamo fantasticando su ristoranti stellati o mercati esotici. Stiamo parlando della cruda realtà di avere o non avere accesso a negozi che vendono frutta, verdura, e alimenti freschi a prezzi abbordabili. Immaginate la differenza tra vivere in un posto con un supermercato ben fornito dietro l’angolo e uno dove l’unica opzione per chilometri è un negozietto con snack confezionati o un fast food. Ecco, questa non è solo una questione di comodità, ma una vera e propria disparità con conseguenze pesanti.
Cosa c’entra il portafoglio con la memoria?
Lo studio in questione, pubblicato su una rivista scientifica di tutto rispetto, ha seguito per ben 10 anni (dal 2011 al 2021) un gruppo di quasi 5000 anziani americani over 65 residenti in aree urbane. I ricercatori hanno incrociato i dati sulla loro salute cognitiva – misurata con test di memoria, orientamento e funzioni esecutive – con le caratteristiche dei quartieri in cui vivevano. In particolare, hanno definito “ambiente alimentare non sano” quelle zone censuarie caratterizzate da due fattori: basso accesso a negozi di cibo sano (cioè, dove un numero significativo di persone vive a più di un miglio dal supermercato più vicino) e basso reddito (con un tasso di povertà superiore al 20% o un reddito familiare mediano inferiore all’80% di quello statale o metropolitano).
I risultati? Beh, preparatevi, perché non sono esattamente rassicuranti. Gli anziani che vivevano in questi quartieri “svantaggiati” dal punto di vista alimentare ed economico hanno mostrato un declino cognitivo annuale più rapido rispetto ai loro coetanei più fortunati. Parliamo di un peggioramento quantificato in -0.19 punti all’anno su una scala da 0 a 33. Potrebbe sembrare poco, ma come sottolineano gli stessi ricercatori, questo stillicidio costante non è parte del normale invecchiamento biologico. È, piuttosto, un’accelerazione legata a determinanti strutturali che colpiscono in modo sproporzionato le comunità a basso reddito e le minoranze etniche e razziali, allargando ulteriormente il divario nella salute cognitiva.
Un circolo vizioso: cibo, malattie e cervello
Ma come fa esattamente un quartiere a “mangiare” la nostra memoria? Le vie sono diverse e, purtroppo, interconnesse.
- Qualità della dieta: Se l’unica cosa che trovi facilmente ed economicamente sono cibi processati, ultra-zuccherati e poveri di nutrienti, è ovvio che la tua dieta ne risentirà. E una cattiva alimentazione è un noto fattore di rischio per il declino cognitivo.
- Insicurezza alimentare: Non sapere se e come riuscirai a mettere in tavola cibo a sufficienza è una fonte enorme di stress, oltre a portare a scelte alimentari dettate più dalla necessità che dalla salute.
- Malattie correlate: Una dieta povera e l’insicurezza alimentare aumentano il rischio di sviluppare obesità, diabete e ipertensione. Indovinate un po’? Tutte queste condizioni sono nemiche giurate del nostro cervello e accelerano il declino cognitivo.
- Stress ambientale: Vivere in un quartiere svantaggiato, magari con più disordine urbano (spazzatura per strada, graffiti, edifici abbandonati – sì, hanno misurato anche questo!), può contribuire a stress cronico e depressione, che a loro volta impattano negativamente sulle funzioni cognitive attraverso infiammazione sistemica e squilibri endocrino-metabolici.
Pensateci: per un anziano, magari con mobilità ridotta, problemi di vista o che vive solo, fare la spesa può diventare un’impresa titanica se il negozio giusto è lontano e irraggiungibile. E se il budget è limitato, la scelta ricade inevitabilmente su ciò che costa meno, non su ciò che fa meglio.
Non è solo una questione di scelte individuali
Ecco il punto cruciale che emerge con forza da questa ricerca: non basta dire alle persone di “mangiare sano”. Se l’ambiente circostante rema contro, le buone intenzioni si scontrano con un muro di difficoltà pratiche ed economiche. Lo studio ha infatti tenuto conto di fattori individuali come il reddito e l’istruzione dei partecipanti, ma l’associazione tra ambiente alimentare svantaggiato e declino cognitivo accelerato è rimasta, indipendente da questi. Questo significa che il quartiere ha un suo peso specifico, un “effetto contesto” che si somma, e spesso amplifica, le vulnerabilità individuali.
Le persone con redditi più bassi e appartenenti a minoranze razzializzate (nello studio, afroamericani e latinos) sono risultate essere quelle che più probabilmente vivono in questi quartieri con doppio svantaggio (poco cibo sano e basso reddito). Si crea così uno scenario di “doppio svantaggio”: non solo affrontano maggiori fattori di rischio individuali, ma subiscono anche le conseguenze di barriere strutturali, come dover percorrere distanze maggiori per trovare cibo sano e a buon prezzo, un ulteriore fardello per chi già fatica ad arrivare a fine mese.
Cosa possiamo fare? Dalla consapevolezza all’azione
Se vi state chiedendo se c’è una luce in fondo al tunnel, la risposta è sì, o almeno, dovrebbe esserci. Questo tipo di studi è fondamentale perché sposta l’attenzione dai soli comportamenti individuali ai fattori ambientali e strutturali. E questo apre la porta a interventi più ampi e, si spera, più efficaci.
Qualche idea?
- Interventi a livello di comunità: Pensiamo agli orti comunitari, che non solo aumentano l’accesso a frutta e verdura fresca, ma promuovono attività fisica e connessioni sociali.
- Politiche mirate: Programmi come il SNAP (Supplemental Nutrition Assistance Program) negli USA, se ben strutturati e se richiedono ai rivenditori convenzionati di offrire una varietà di cibi sani, possono fare una grande differenza.
- Pianificazione urbana: Considerare l’accesso al cibo sano nella progettazione e riqualificazione dei quartieri.
- Supporto al trasporto: Servizi di trasporto dedicati per anziani o persone con mobilità ridotta per raggiungere i negozi.
Certo, lo studio ha le sue limitazioni, come ammettono gli stessi autori. Ad esempio, l’esposizione all’ambiente alimentare è stata misurata solo all’inizio dello studio, e le persone potrebbero essersi trasferite o l’ambiente stesso potrebbe essere cambiato nel tempo. Tuttavia, spesso chi vive in condizioni di disagio economico, se si sposta, tende a finire in quartieri con caratteristiche simili, perpetuando l’esposizione. Inoltre, non sono stati considerati tutti i possibili aspetti dell’ambiente alimentare, come i prezzi specifici, gli orari di apertura dei negozi o la presenza di mercati mobili culturalmente orientati.
Nonostante ciò, il messaggio è forte e chiaro: l’ambiente in cui viviamo, mangiamo e invecchiamo ha un impatto diretto sulla salute del nostro cervello. Ignorare queste disparità significa condannare una fetta della popolazione, spesso la più vulnerabile, a un invecchiamento cerebrale più rapido e a un maggior rischio di demenza. È ora di considerare l’accesso al cibo sano non come un lusso, ma come un diritto fondamentale per un invecchiamento in salute, per tutti.
Questo studio ci ricorda che la salute cognitiva non è solo una questione di genetica o di scelte personali isolate, ma è profondamente intrecciata con il tessuto sociale, economico e fisico delle nostre comunità. E se vogliamo davvero affrontare il problema del declino cognitivo e delle demenze, dobbiamo iniziare a guardare fuori dalla finestra, nel nostro quartiere, e chiederci: stiamo offrendo a tutti la possibilità di invecchiare bene, cervello incluso?
Fonte: Springer