Una persona adulta indecisa davanti a due carrelli della spesa: uno pieno di frutta, verdura e cibi freschi, l'altro pieno di snack confezionati, bibite gassate e cibi pronti ultra-processati. Prime lens, 35mm portrait, depth of field, luce naturale morbida che illumina la scena.

Cibo Ultra-Processato e Adiposità: Cosa Ci Dice Davvero lo Studio di Teheran?

Introduzione: L’ombra degli Alimenti Ultra-Processati sulla nostra salute

Ciao a tutti! Parliamoci chiaro: viviamo in un mondo dove la tentazione è sempre dietro l’angolo, soprattutto quando si parla di cibo. Snack confezionati, bevande zuccherate, piatti pronti… sono comodi, spesso gustosi, ma ci siamo mai chiesti davvero cosa comporti un loro consumo frequente? L’obesità è diventata un’epidemia globale, un problema serio che non riguarda solo l’estetica, ma è un fattore di rischio enorme per malattie come diabete, problemi cardiaci e persino alcuni tipi di cancro. E se una parte della colpa fosse proprio di questi cibi super lavorati, noti come alimenti ultra-processati (UPF)?

Recentemente mi sono imbattuto in uno studio affascinante condotto su adulti a Teheran, in Iran. L’obiettivo era proprio questo: capire se ci fosse un legame diretto tra quanto UPF mangiamo e diversi indicatori di “grasso corporeo”, tecnicamente chiamati indici di adiposità. Non parliamo solo del classico Indice di Massa Corporea (BMI), ma anche di misure più specifiche come la circonferenza vita (WC), il rapporto vita-fianchi (WHR), l’indice di adiposità viscerale (VAI) e altri ancora. Volete sapere cosa hanno scoperto? Restate con me, perché i risultati sono più sfumati e interessanti di quanto si possa pensare.

Cosa sono esattamente questi Alimenti Ultra-Processati (UPF)?

Prima di addentrarci nello studio, facciamo un passo indietro. Cosa intendiamo per UPF? La classificazione più usata è la NOVA, che divide gli alimenti in base al livello di lavorazione industriale. Gli UPF sono all’ultimo gradino, quello più “artificiale”. Sono formulazioni industriali fatte principalmente (o interamente) da sostanze derivate da alimenti, ma con pochissimo o nessun cibo “vero” e integro al loro interno.

Pensate a:

  • Bibite gassate e zuccherate
  • Snack dolci e salati confezionati (patatine, biscotti, merendine)
  • Gelati industriali, cioccolato
  • Wurstel, hamburger, nugget
  • Pizze e piatti pronti industriali
  • Cereali zuccherati per la colazione
  • Margarine, oli idrogenati, maionese industriale

La loro caratteristica comune? Sono spesso ricchi di zuccheri semplici, grassi saturi o idrogenati, sale, ma poveri di fibre, vitamine e minerali essenziali. In più, contengono una miriade di additivi: coloranti, conservanti, esaltatori di sapidità, emulsionanti… tutto per renderli super appetibili, duraturi e, diciamocelo, a volte irresistibili. Il problema è che questa combinazione li rende densi di calorie ma nutrizionalmente poveri, un mix potenzialmente pericoloso per la nostra linea e la nostra salute metabolica.

Lo Studio di Teheran: Come hanno indagato?

Torniamo ai nostri ricercatori iraniani. Hanno coinvolto 850 adulti sani, tra i 20 e i 59 anni, residenti a Teheran. Attraverso un questionario dettagliato sulle abitudini alimentari (il famoso FFQ – Food Frequency Questionnaire), hanno stimato quanto del loro apporto calorico giornaliero provenisse dagli UPF, usando proprio la classificazione NOVA.

Poi, hanno misurato una serie di parametri fisici e biochimici per valutare l’adiposità:

  • Misure Antropometriche: Peso, altezza (per calcolare il BMI), circonferenza vita (WC), circonferenza fianchi (per calcolare WHR e BAI), rapporto vita-altezza (WHtR).
  • Indici Combinati: VAI (Indice di Adiposità Viscerale, che considera WC, BMI, trigliceridi e colesterolo HDL), BRI (Indice di Rotondità Corporea, basato su WC e altezza), BAI (Indice di Adiposità Corporea, basato su fianchi e altezza).
  • Indici Biochimici/Metabolici: LAP (Prodotto di Accumulo Lipidico, basato su WC e trigliceridi), TyG (Indice Trigliceridi-Glucosio, basato su trigliceridi e glicemia a digiuno).

Hanno raccolto anche dati su età, sesso, livello di istruzione, stato civile, fumo, attività fisica e apporto calorico totale, per poter “pulire” i risultati da possibili fattori confondenti. L’idea era vedere se, a parità di altre condizioni, chi mangiava più UPF avesse valori peggiori in questi indici di adiposità.

Una varietà di cibi ultra-processati come snack confezionati, bibite e dolciumi esposti su uno scaffale di supermercato. Macro lens, 60mm, high detail, illuminazione controllata tipica di un supermercato.

I Risultati: Una Sorpresa a Metà e l’Importanza della Dose

Ed eccoci al dunque. In una prima analisi (usando la regressione logistica), i ricercatori hanno diviso i partecipanti in quattro gruppi (quartili) in base al consumo di UPF, dal più basso al più alto. Inizialmente, sembrava esserci un legame tra un alto consumo di UPF e un rischio maggiore per alcuni indici come WHR e BRI. Tuttavia, quando hanno aggiustato i dati tenendo conto di tutti gli altri fattori (età, sesso, calorie totali, attività fisica, ecc.), questa associazione significativa è svanita per la maggior parte degli indici. Un po’ deludente, no? Sembrava quasi che gli UPF non fossero poi così colpevoli…

Ma attenzione, lo studio non si è fermato qui! Hanno fatto un passo in più, utilizzando un’analisi più sofisticata chiamata analisi dose-risposta con spline cubiche ristrette. Detta così sembra complicatissima, ma l’idea è semplice: invece di dividere le persone in gruppi, hanno guardato come il rischio cambiava progressivamente all’aumentare della percentuale di calorie da UPF nella dieta. E qui le cose si sono fatte molto più interessanti!

Questa analisi ha rivelato un legame significativo e dose-dipendente tra il consumo di UPF e un rischio aumentato per quasi tutti gli indici di adiposità esaminati:

  • BMI (Indice di Massa Corporea)
  • WHtR (Rapporto Vita-Altezza)
  • WC (Circonferenza Vita)
  • BRI (Indice di Rotondità Corporea)
  • BAI (Indice di Adiposità Corporea)
  • LAP (Prodotto di Accumulo Lipidico)

In pratica, più aumentava la quota di UPF nella dieta, più tendevano ad aumentare questi indicatori di grasso corporeo, specialmente quello addominale (WC, WHtR, LAP, VAI).

C’erano un paio di risultati un po’ strani: per l’indice TyG (Trigliceridi-Glucosio), il rischio aumentava fino a circa il 10% di calorie da UPF, per poi diminuire leggermente. E per il VAI (Adiposità Viscerale), addirittura, un consumo più alto di UPF sembrava associato a valori più bassi, un risultato inaspettato che gli stessi autori faticano a spiegare (forse legato ai livelli di HDL e trigliceridi, ma necessita di approfondimenti). L’unico indice che non ha mostrato alcuna associazione significativa nemmeno con questa analisi più potente è stato il WHR (Rapporto Vita-Fianchi), forse perché più influenzato da genetica e ormoni che dalla dieta da sola.

Perché gli UPF Potrebbero Farci Ingrassare? I Meccanismi Nascosti

Ok, l’analisi dose-risposta suggerisce un legame. Ma perché questi cibi dovrebbero favorire l’accumulo di grasso? Le ragioni sono diverse e probabilmente agiscono in sinergia:

1. Densità Calorica Elevata e Povertà Nutrizionale: Come detto, tanti zuccheri, grassi e calorie, ma poche fibre e nutrienti. È facile mangiarne troppi senza sentirsi davvero sazi e nutriti.
2. Scarsa Sazietà: La mancanza di fibre e proteine “vere” fa sì che la fame torni presto, portandoci a mangiare di più nel corso della giornata. Uno studio citato nel testo (di Hall KD) ha mostrato che le persone mangiavano circa 500 kcal in più al giorno con una dieta ultra-processata rispetto a una non processata, ingrassando di conseguenza.
3. Super Palatabilità e “Dipendenza”: La combinazione studiata di zuccheri, grassi, sale e additivi stimola potentemente i centri della ricompensa nel cervello, creando quasi una sorta di “craving” che ci spinge a cercarli ancora.
4. Porzioni Grandi: Spesso sono venduti in confezioni maxi, incoraggiando un consumo eccessivo.
5. Alterazione degli Ormoni della Fame/Sazietà: Il consumo cronico di UPF potrebbe scombussolare l’equilibrio di ormoni come la leptina (che segnala sazietà) e la grelina (che stimola la fame). L’eccesso di zuccheri può portare a resistenza alla leptina (il corpo non “sente” più di essere sazio), mentre cibi poveri di nutrienti potrebbero non sopprimere adeguatamente la grelina, lasciandoci affamati più a lungo.

Illustrazione stilizzata del cervello umano con le aree del piacere e della ricompensa evidenziate, accanto a immagini di cibi ultra-processati come patatine e dolci. Macro lens, 90mm, high detail, illuminazione drammatica.

Limiti e Punti di Forza dello Studio

Come ogni ricerca scientifica, anche questa ha i suoi punti di forza e le sue debolezze. Tra i punti di forza, c’è sicuramente l’aver valutato tanti indici di adiposità diversi, andando oltre il solito BMI, e l’aver usato sia l’analisi standard che quella dose-risposta, che ha dato risultati più chiari.

Tra i limiti, bisogna ricordare che è uno studio trasversale (cross-sectional): fotografa la situazione in un dato momento, ma non può stabilire un rapporto di causa-effetto certo. Chi mangia più UPF ingrassa, o chi è già predisposto a ingrassare mangia più UPF? Difficile dirlo con certezza da questo disegno di studio. Inoltre, i questionari alimentari si basano sui ricordi delle persone, che possono essere imprecisi (reporting bias). Infine, i risultati sono su adulti di Teheran e potrebbero non essere generalizzabili a popolazioni diverse.

Cosa Portiamo a Casa da Questo Studio?

Nonostante i limiti, questo studio aggiunge un tassello importante al puzzle che collega gli alimenti ultra-processati alla nostra salute metabolica e al rischio di obesità. L’analisi dose-risposta, in particolare, suggerisce fortemente che più UPF includiamo nella nostra dieta, maggiore potrebbe essere il rischio di accumulare grasso corporeo, specialmente in zone “pericolose” come l’addome.

Cosa significa questo per noi, nella vita di tutti i giorni? Non dobbiamo demonizzare ogni singolo biscotto confezionato, ma essere più consapevoli. Forse vale la pena dare un’occhiata più attenta alle etichette, cercare di limitare il consumo di questi prodotti super lavorati e privilegiare cibi freschi, integrali e cucinati in casa il più possibile. Non si tratta di diete drastiche, ma di fare scelte più informate per prenderci cura del nostro corpo.

Serviranno sicuramente altri studi, magari longitudinali (che seguono le persone nel tempo), per confermare questi risultati e capire meglio i meccanismi. Ma nel frattempo, ridurre un po’ gli UPF dalla nostra tavola potrebbe essere un buon investimento per la nostra salute futura. Che ne dite, ci proviamo?

Fonte: Springer

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