Immagine fotorealistica macro, obiettivo 105mm, alta definizione, illuminazione controllata da studio, che mostra polvere bianca fine di chitosano che sembra intrappolare o aggregare piccole particelle colorate di microplastica su uno sfondo neutro.

Chitosano: Un Alleato Naturale per Liberarci dalle Microplastiche?

Ragazzi, parliamoci chiaro: le microplastiche sono ovunque. Sembra quasi fantascienza, ma queste particelle invisibili di plastica sono finite nel sale che usiamo, nelle bevande che sorseggiamo, persino nell’aria che respiriamo. E la cosa che un po’ inquieta è che, ovviamente, finiscono anche dentro di noi. Ritrovarle nelle feci, nel sangue, persino in organi come fegato e cuore non è proprio una bella notizia. Mi chiedo spesso: ma cosa combinano lì dentro? E soprattutto, c’è un modo per dare una mano al nostro corpo a liberarsene più in fretta?

L’invasione silenziosa delle Microplastiche

Prima di tutto, capiamo chi è il “nemico”. Le microplastiche (MPs) sono frammenti di plastica più piccoli di 5 millimetri. Alcune nascono già piccole (primarie), come le microsfere nei vecchi cosmetici, altre si formano dalla rottura di pezzi più grandi (secondarie) – pensate alle bottiglie, ai sacchetti, persino ai filtri delle sigarette che si sbriciolano sotto il sole e le onde. Finiscono in mare, vengono mangiate dai pesci… e alla fine arrivano nel nostro piatto. Ma non solo dal pesce: le hanno trovate nel sale da tavola, nella birra, nell’acqua minerale. Insomma, evitarle è quasi impossibile. Gli studi sugli animali (e qualche dato preliminare sull’uomo) suggeriscono che non se ne stanno lì buone buone: possono accumularsi, causare infiammazione, alterare il nostro prezioso microbiota intestinale e forse, dico forse, contribuire a problemi più seri come quelli cardiovascolari. L’idea di averle a spasso nel corpo non mi entusiasma per niente.

Alla ricerca di un “aiutino” naturale

Davanti a questo scenario, la domanda sorge spontanea: possiamo fare qualcosa, oltre a cercare di ridurre la plastica nel mondo (cosa fondamentale, sia chiaro!)? E se esistessero sostanze naturali, magari presenti nel cibo, capaci di “acchiappare” queste microplastiche e accompagnarle gentilmente all’uscita? Qui entrano in gioco le cosiddette “fibre alimentari non digeribili”, quelle sostanze che il nostro intestino non scompone ma che hanno tanti effetti benefici. Pensate alla destrina indigeribile (dal mais, aiuta a controllare zuccheri e grassi nel sangue), al lattosucrosio (migliora l’ambiente intestinale), alle proteine del guscio d’uovo (buone per il metabolismo) e, rullo di tamburi, al chitosano. Quest’ultimo è una fibra particolare, deriva dalla chitina, il componente principale del guscio di gamberi e granchi. È già noto per aiutare a ridurre il colesterolo. Ma potrebbe fare di più? Potrebbe legarsi alle microplastiche?

L’esperimento: Topi, Microplastiche e la Prova del Nove

Un gruppo di ricercatori si è posto proprio questa domanda e ha deciso di vederci chiaro con un esperimento su dei ratti (modelli spesso usati perché hanno una fisiologia per certi versi simile alla nostra). Hanno preso questi animaletti e li hanno divisi in gruppi. A tutti hanno dato una dieta standard, ma con un’aggiunta “speciale”: microplastiche di polietilene (un tipo comune di plastica) di circa 200 micrometri (0,2 millimetri). Ad alcuni gruppi, però, hanno aggiunto anche una delle fibre di cui parlavamo prima: destrina, lattosucrosio, proteine del guscio d’uovo o chitosano. L’obiettivo era semplice: vedere se qualcuna di queste fibre aiutasse i ratti a espellere le microplastiche più velocemente attraverso le feci. Hanno monitorato tutto: peso, cibo mangiato, acqua bevuta, peso delle feci e, ovviamente, quante microplastiche venivano espulse e quante restavano nell’intestino dopo una settimana.

Immagine macro fotorealistica, scattata con obiettivo da 100mm, che mostra polvere bianca di chitosano su una superficie scura, con accanto minuscole sfere blu di microplastica di polietilene, illuminazione controllata per evidenziare i dettagli e le texture.

Il Chitosano: Protagonista Inatteso

E qui arriva la parte interessante. Mentre destrina, lattosucrosio e proteine del guscio d’uovo non hanno mostrato differenze significative rispetto al gruppo di controllo (che mangiava solo MPs senza fibre aggiuntive), il gruppo che ha ricevuto il chitosano ha dato risultati sorprendenti!
Cosa è successo?

  • Più “output”: I ratti che mangiavano chitosano producevano feci significativamente più pesanti. Già questo è un indizio che qualcosa stava cambiando nel transito intestinale.
  • Espulsione Turbo: La differenza più clamorosa è stata nel tasso di escrezione delle microplastiche. Dopo 144 ore (6 giorni), il gruppo di controllo aveva eliminato circa l’83,7% delle MPs ingerite. Il gruppo chitosano? Ben il 115,6%! (Sì, lo so, più del 100% suona strano, ma probabilmente è dovuto a come vengono campionate e contate le MPs nelle feci totali, l’importante è il confronto: un aumento enorme!). Già nelle prime 24 ore la differenza era netta: 39,6% per il chitosano contro il 14,8% del controllo.
  • Meno “residenti”: Coerentemente, alla fine dell’esperimento, nei ratti del gruppo chitosano è rimasta una quantità significativamente minore di microplastiche nell’apparato digerente (circa il 6,1%) rispetto al gruppo di controllo (circa il 12,1%). Sembra proprio che il chitosano le abbia “accompagnate” fuori.

Nessuna differenza significativa è stata vista nel peso corporeo o nei livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue, ma va detto che l’esperimento è durato solo una settimana, forse troppo poco per vedere effetti metabolici marcati legati alle MPs stesse in questo contesto.

Come Funziona Questa “Magia”?

Ma come fa il chitosano a fare questo “lavoro sporco”? L’ipotesi più probabile è che agisca un po’ come una calamita o una spugna. Il chitosano, una volta nello stomaco e nell’intestino, assume una carica positiva. Anche se le microplastiche usate (polietilene) sono non polari (quindi l’attrazione chimica diretta potrebbe essere limitata), il chitosano è noto per formare una sorta di gel e per legarsi fisicamente ad altre sostanze, come grassi e acidi biliari (che hanno carica negativa). È possibile che intrappoli fisicamente le particelle di microplastica in questo gel, facilitandone il trascinamento lungo l’intestino e l’espulsione con le feci. Immaginatelo come un piccolo “spazzino” naturale che raccoglie le MPs e le butta fuori. Ovviamente, serviranno altri studi per capire bene il meccanismo e vedere se funziona anche con altri tipi e dimensioni di microplastiche.

Cosa Significa per Noi? Un Barlume di Speranza?

Questa ricerca, anche se preliminare e fatta su ratti, apre uno scenario affascinante. Suggerisce che un composto naturale, derivato da scarti dell’industria alimentare (i gusci dei crostacei), potrebbe avere un ruolo attivo nell’aiutarci a ridurre l’accumulo di microplastiche nel nostro corpo. Non è la soluzione definitiva al problema dell’inquinamento da plastica, sia chiaro. La priorità resta ridurre la produzione e la dispersione di plastica nell’ambiente. Ma pensare di poter avere un “aiutino” dietetico, un integratore come il chitosano, per limitare i potenziali danni di quelle microplastiche che inevitabilmente ingeriamo… beh, non è poco! Mi dà un cauto ottimismo. Certo, la strada è lunga: servono conferme, studi sull’uomo, bisogna capire dosaggi, sicurezza a lungo termine e l’efficacia su diverse tipologie di MPs. Però, l’idea che la natura stessa possa offrirci strumenti per difenderci da un problema creato da noi… è decisamente intrigante. Staremo a vedere cosa ci riserverà il futuro della ricerca!

Fonte: Springer

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