Cancro al colon negli over 80: L’età è solo un numero dopo la chirurgia?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che tocca sempre più persone, visto che, diciamocelo, l’età media si sta alzando: il cancro del colon-retto negli ottuagenari. Sì, parliamo di persone con più di 80 primavere alle spalle. È una fetta di popolazione in crescita, e con essa aumentano anche le diagnosi di questo tipo di tumore. Ma la domanda che ci siamo posti, e che molti medici si pongono, è: come trattarli al meglio? Sono davvero troppo “fragili” per le terapie standard, come la chirurgia?
La sfida: curare il cancro negli “anta” più alti
Il cancro del colon-retto è tipicamente legato all’età, con picchi proprio tra gli over 80. Pensate che entro il 2050, in paesi come il Giappone, quasi il 16% della popolazione sarà in questa fascia d’età! In Corea del Sud, da dove arriva lo studio di cui vi parlo oggi, circa il 12% delle diagnosi di cancro del colon-retto riguarda persone con 80 anni o più.
Nonostante questi numeri, c’è una sorprendente carenza di dati sugli esiti delle cure in questa popolazione. Spesso gli anziani vengono esclusi dagli studi clinici, e non c’è nemmeno un accordo su cosa significhi esattamente “anziano” in termini medici. Questo porta a un bel dilemma: da un lato, molti ottuagenari oggi sono più in forma e hanno un’aspettativa di vita più lunga rispetto al passato, potendo potenzialmente beneficiare delle cure standard. Dall’altro, le preoccupazioni per le maggiori comorbidità (altre malattie presenti) e un recupero post-operatorio più difficile portano spesso a sotto-trattare questi pazienti, negando loro terapie potenzialmente ottimali. È una bella gatta da pelare!
Il nostro studio: mettere a confronto età diverse
Per cercare di fare un po’ di chiarezza, abbiamo condotto uno studio comparativo presso il Gangneung Asan Hospital, analizzando i dati di pazienti operati per cancro del colon-retto tra il 2015 e il 2019. Abbiamo messo a confronto due gruppi:
- Il gruppo “giovane” (YG): pazienti tra i 60 e i 79 anni (361 persone).
- Il gruppo degli ottuagenari (OG): pazienti con più di 80 anni (83 persone).
Abbiamo escluso casi molto particolari (es. resezioni solo locali, malattia già metastatica allo stadio IV, dati incompleti, altre malattie infiammatorie intestinali o tumori concomitanti). L’obiettivo era valutare gli esiti oncologici (sopravvivenza e recidive) dopo l’intervento chirurgico.
A prima vista: i numeri sembravano confermare i timori
Inizialmente, senza particolari “aggiustamenti” statistici, i dati sembravano dare ragione ai più cauti. Gli ottuagenari (OG) mostravano:
- Una sopravvivenza globale (OS) a 3 anni significativamente peggiore rispetto ai più giovani (78.6% vs 90.0%).
- Una maggior frequenza di chirurgia d’urgenza (21.7% vs 11.4%), spesso indice di una diagnosi più tardiva o di complicanze come l’occlusione intestinale.
- Uno stato di salute generale pre-operatorio peggiore (classificazione ASA ≥ III nel 66.3% vs 48.8%), indicando più comorbidità.
- Una mortalità generale più alta (43.4% vs 21.9%).
- Un minor ricorso alla chemioterapia adiuvante (post-operatoria) (17.2% vs 57.6%), probabilmente per timore degli effetti collaterali o per scelta del paziente/medico data l’età.
La sopravvivenza libera da malattia (DFS) a 3 anni, invece, era simile tra i due gruppi (83.6% vs 87.8%), suggerendo che, una volta superato l’intervento, il rischio di recidiva non fosse poi così diverso.
Ma qui entra in gioco la statistica “magica”: l’IPTW
Sappiamo bene che confrontare direttamente un gruppo di 80enni con uno di 60-70enni non è del tutto corretto. Gli ottuagenari hanno più probabilità di avere altre malattie, di arrivare all’intervento in condizioni più critiche, ecc. Questi fattori (chiamati “confondenti”) possono falsare i risultati, facendo sembrare che sia l’età di per sé a determinare un esito peggiore.
Per superare questo ostacolo, abbiamo usato una tecnica statistica avanzata chiamata Inverse Probability of Treatment Weighting (IPTW). Immaginate di dare un “peso” diverso a ciascun paziente in modo da bilanciare perfettamente i due gruppi per tutte le caratteristiche diverse dall’età (come le comorbidità, il tipo di intervento, lo stadio del tumore, ecc.). È come creare due gruppi virtuali perfettamente confrontabili, dove l’unica vera differenza rimasta è l’età.
La sorpresa: dopo l’IPTW, l’età non conta (quasi) più!
E qui arriva il bello! Dopo aver applicato l’IPTW, le differenze significative tra i due gruppi sono scomparse:
- La sopravvivenza globale (OS) a 3 anni non era più statisticamente diversa (77.5% negli OG vs 73.2% negli YG).
- La sopravvivenza libera da malattia (DFS) a 3 anni è rimasta simile e senza differenze significative (87.5% negli OG vs 87.2% negli YG).
Questo risultato è potentissimo! Suggerisce che l’età anagrafica, da sola, non è il fattore critico che determina gli esiti oncologici dopo la chirurgia per cancro del colon-retto, una volta che teniamo conto degli altri fattori.
Allora, cosa conta davvero? I veri “cattivi” della storia
Se non è (solo) l’età, quali sono i fattori che predicono davvero una prognosi peggiore, sia in termini di sopravvivenza che di rischio di recidiva? La nostra analisi multivariata (che cerca i fattori indipendenti più importanti) ha messo in luce alcuni colpevoli ben noti, validi per entrambi i gruppi di età:
- Chirurgia d’urgenza: Aumenta significativamente il rischio sia di morte che di recidiva.
- Complicazioni post-operatorie gravi: (definite secondo la classificazione Clavien-Dindo III-V) Peggiorano la sopravvivenza globale.
- Stadio TNM avanzato: (Stadio III in particolare) È un forte predittore negativo per sopravvivenza e recidiva.
- Invasione perineurale: La presenza di cellule tumorali attorno ai nervi è associata a peggior sopravvivenza e maggior rischio di recidiva.
- Scarsa differenziazione tumorale: Tumori più “aggressivi” aumentano il rischio di recidiva.
L’età avanzata (essere ottuagenario) rimaneva un fattore predittivo di peggior sopravvivenza globale *prima* dell’IPTW e anche nell’analisi multivariata generale (probabilmente perché cattura ancora un po’ di fragilità residua non misurata da altri fattori), ma è importante notare che non era un fattore indipendente associato alla recidiva del tumore.
Il tallone d’Achille: le complicazioni post-operatorie
Un aspetto cruciale emerso dalla nostra analisi, soprattutto per gli ottuagenari, è l’impatto delle complicazioni post-operatorie. Nel sottogruppo degli over 80, quelli che hanno avuto complicazioni lievi o nulle (Clavien-Dindo I-II) hanno mostrato una sopravvivenza globale a 3 anni nettamente migliore rispetto a quelli con complicazioni gravi (Clavien-Dindo III-V): parliamo di un impressionante 87.7% contro un drammatico 37.5%!
Questo ci dice che la gestione perioperatoria, cioè tutto ciò che si fa prima, durante e soprattutto dopo l’intervento per prevenire e gestire le complicanze, è assolutamente fondamentale in questa fascia d’età. Se riusciamo a far superare bene l’intervento a un paziente ottuagenario, le sue possibilità di sopravvivenza a lungo termine possono essere molto simili a quelle di un paziente più giovane.
Non solo complicazioni: altri pezzi del puzzle
Abbiamo anche visto che, nel gruppo degli ottuagenari, un punteggio ASA più alto (≥ 3), che indica maggiori comorbidità, era associato a una sopravvivenza peggiore. Questo rinforza l’idea che non è l’età in sé, ma lo stato di salute generale a fare la differenza.
Abbiamo anche guardato i livelli di albumina (un indicatore dello stato nutrizionale), che tendevano a essere più bassi negli ottuagenari, anche se la differenza non era statisticamente significativa nel nostro campione. Tuttavia, sappiamo da altri studi che uno stato nutrizionale scarso può peggiorare gli esiti.
Infine, abbiamo notato le cause di morte: solo circa un quarto dei decessi nel nostro campione era direttamente correlato al cancro. Molti decessi erano dovuti ad altre cause (polmonite, problemi cardiaci, altre malattie) o a cause sconosciute, un problema comune nel follow-up dei pazienti molto anziani.
Limiti e prospettive future
Come ogni studio, anche il nostro ha dei limiti. È retrospettivo, quindi si basa su dati raccolti in passato, il che può introdurre dei bias. Abbiamo incluso solo pazienti che sono stati effettivamente operati, il che potrebbe selezionare gli ottuagenari “più in forma”, portando a sovrastimare gli esiti positivi per questa fascia d’età in generale. Abbiamo usato solo il punteggio ASA per valutare le condizioni generali, mentre misure più complete di fragilità, stato funzionale e nutrizionale (come la sarcopenia) sarebbero state utili. Infine, è uno studio di un singolo centro, quindi i risultati potrebbero non essere generalizzabili ovunque.
Nonostante ciò, i nostri dati suggeriscono fortemente che la chirurgia può offrire buoni risultati oncologici anche negli ottuagenari, se selezionati e gestiti con cura.
Il messaggio da portare a casa
Quindi, cosa ci dice tutto questo? Che non dovremmo basare le decisioni terapeutiche per il cancro del colon-retto solo sulla data di nascita del paziente. L’età è un fattore, certo, ma non è l’unico né forse il più importante. Bisogna valutare attentamente lo stato di salute generale del paziente (le sue comorbidità, la sua “riserva funzionale”), lo stadio e le caratteristiche biologiche del tumore, e soprattutto, mettere in atto tutte le strategie possibili per minimizzare i rischi perioperatori e le complicazioni gravi.
La diagnosi precoce (anche attraverso screening mirati, sebbene nel nostro paese partano dai 50 anni) per evitare la chirurgia d’urgenza e un approccio multidisciplinare per ottimizzare le condizioni del paziente prima e dopo l’intervento sono fondamentali.
Anche a 80 anni e più, con la giusta valutazione e la giusta attenzione, la chirurgia per il cancro del colon-retto può essere un’opzione valida ed efficace, offrendo risultati oncologici non così diversi da quelli dei pazienti più giovani. Non è l’età, ma la biologia del tumore e la capacità di superare l’intervento senza intoppi a fare la vera differenza.
Fonte: Springer