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Chemio-radioterapia preoperatoria per il cancro dell’esofago: più è sempre meglio? I risultati del nostro studio

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta molto a cuore e che, come saprete, rappresenta una sfida importante nel campo dell’oncologia: il cancro dell’esofago. Purtroppo, a livello mondiale, è ancora la sesta causa di morte per tumore e le previsioni non sono rosee, con un’incidenza e una mortalità che si stima aumenteranno nei prossimi anni. Nonostante i progressi, la sopravvivenza a 5 anni per le forme localmente avanzate resta un tasto dolente.

Cancro dell’Esofago: Una Sfida Sempre Aperta

Quando ci troviamo di fronte a un cancro dell’esofago non metastatico, l’approccio standard prevede una terapia multimodale. Questo significa che non ci affidiamo a una singola arma, ma a una combinazione di strategie: chemioterapia perioperatoria oppure, come nel caso che vi racconto oggi, una chemio-radioterapia (CRT) neoadiuvante seguita dall’intervento chirurgico. L’idea alla base delle terapie neoadiuvanti è semplice ma potente: ridurre le dimensioni del tumore primario e diminuire il rischio che si formino metastasi a distanza, migliorando così gli esiti oncologici.

Sicuramente avrete sentito parlare del famoso studio CROSS. Questo trial ha dimostrato che una CRT neoadiuvante con 41.4 Gy di radioterapia (in 23 frazioni) insieme a carboplatino e paclitaxel settimanali portava a un aumento della sopravvivenza globale rispetto alla sola chirurgia. Dall’altra parte, c’è lo studio CALGB 9781, che ha utilizzato una dose di radioterapia più alta, 50.4 Gy (in 28 frazioni), con cisplatino e 5-FU, mostrando anch’esso un beneficio a lungo termine in termini di sopravvivenza.

Nuove Strategie Terapeutiche: Il Nostro Approccio Modificato

Nella nostra istituzione, abbiamo pensato di adottare un regime neoadiuvante un po’ particolare, che cercasse di prendere il meglio da entrambi questi approcci. In pratica, abbiamo trattato i pazienti con cancro dell’esofago o della giunzione gastro-esofagea con una CRT che prevedeva 50.4 Gy in 5.6 settimane, associata a carboplatino e paclitaxel settimanali. Una sorta di “CROSS esteso”, se vogliamo. La logica dietro l’aumento della dose radioterapica era anche quella di coprire quei casi che, magari selezionati inizialmente per un approccio multimodale, potevano poi risultare inoperabili a causa degli effetti collaterali.

Quindi, l’obiettivo del nostro studio retrospettivo era duplice: da un lato, volevamo valutare la tossicità di questo nostro regime modificato e, dall’altro, confrontare il suo impatto sugli esiti clinici, in particolare la risposta patologica completa e la sopravvivenza, con i risultati dello studio CROSS. Insomma, ci siamo chiesti: questo regime “CROSS esteso” con 50.4 Gy offre una tossicità comparabile e un’efficacia clinica uguale o magari superiore rispetto allo standard di 41.4 Gy?

Come Abbiamo Condotto la Nostra Ricerca

Abbiamo analizzato retrospettivamente i dati dei pazienti con cancro dell’esofago trattati nel nostro ospedale universitario tra il 2014 e il 2018. Si trattava di pazienti con adenocarcinoma o carcinoma a cellule squamose dell’esofago o della giunzione gastro-esofagea (tipo Siewert 1 e 2), tutti sottoposti a CRT neoadiuvante seguita da resezione chirurgica. Abbiamo escluso pazienti con metastasi a distanza, tumori dell’esofago cervicale o della giunzione gastro-esofagea distale (Siewert tipo 3), perché questi casi richiedono regimi terapeutici differenti.

Per ogni paziente, abbiamo raccolto informazioni sulle caratteristiche cliniche, del tumore e sui trattamenti ricevuti. La stadiazione iniziale includeva endoscopia con biopsia, TAC con contrasto, PET e ecoendoscopia. Ogni caso è stato discusso in un tumor board multidisciplinare. La radioterapia è stata somministrata con la tecnica VMAT (Volumetric Modulated Arc Therapy), con una dose totale di 50.4 Gy in 28 frazioni da 1.8 Gy, e chemioterapia settimanale con carboplatino e paclitaxel. Dopo 4-6 settimane dalla fine del trattamento preoperatorio, i pazienti venivano ristadiati e, se non c’erano segni di metastasi, procedevano all’intervento.

Abbiamo valutato la tossicità da radiazioni considerando il volume totale irradiato, la dose media a cuore e polmoni, e i volumi polmonari che ricevevano determinate dosi (V10Gy, V20Gy, V30Gy).

Un team medico multidisciplinare in una sala riunioni luminosa discute i risultati di una TAC al torace visualizzata su un grande schermo. Focus su un medico che indica lo schermo, atmosfera di collaborazione. Obiettivo prime, 35mm, profondità di campo per evidenziare il team.

Cosa Abbiamo Scoperto: Risultati Chiave e Sorprese

Nel nostro studio abbiamo incluso 46 pazienti. L’età mediana era di 67 anni e la maggioranza (78.3%) erano uomini. È interessante notare che il 90.7% dei pazienti presentava un punteggio ASA (American Society of Anesthesiologists) ≥ 3, indicando una certa fragilità di base. La maggior parte dei tumori (82.6%) era in stadio clinico cT ≥ 3 e il 91.3% aveva linfonodi positivi all’ecoendoscopia (uN+). L’adenocarcinoma era l’istotipo predominante (84.8%).

Dopo il trattamento e l’intervento, una risposta patologica completa (pCR), cioè l’assenza di cellule tumorali vitali nel pezzo operatorio, è stata riscontrata in 7 pazienti su 42 analizzabili, pari al 16.7%. La sopravvivenza mediana è stata di 2.7 anni.

L’analisi statistica multivariata, tenendo conto di variabili come sesso, età, score ASA, stadio del tumore e istotipo, ha rivelato un dato molto importante: la risposta patologica completa era associata a una mortalità significativamente più bassa nel tempo (OR 0.152, p=0.048). Questo conferma quanto già sappiamo: ottenere una pCR è un fattore prognostico potentissimo!

Ma veniamo al dunque sulla dose di radioterapia. Per quanto riguarda il volume irradiato, abbiamo osservato una tendenza, seppur non statisticamente significativa nell’analisi multivariata, verso un aumento della mortalità con volumi di irradiazione maggiori (OR 1.172, p=0.071). Nell’analisi univariata, invece, volumi di irradiazione maggiori erano associati a una mortalità significativamente più alta.

Analisi Approfondita: Dose, Volume e Sopravvivenza

Confrontando i nostri dati con quelli dello studio CROSS, vediamo che la nostra percentuale di pCR (16.7%) e la sopravvivenza mediana (2.7 anni) sono inferiori rispetto al braccio di trattamento neoadiuvante del CROSS (pCR 29%, sopravvivenza mediana a 5 anni 4.1 anni). Però, attenzione! Dobbiamo considerare le differenze nelle popolazioni: i nostri pazienti erano mediamente più anziani (67 vs 60 anni) e con una percentuale maggiore di adenocarcinomi (86% vs 75%), che sono noti per essere un po’ meno radio-sensibili rispetto ai carcinomi squamosi. Inoltre, nel nostro studio avevamo anche pazienti con tumori cT4, assenti nel braccio di trattamento del CROSS. Se bilanciassimo queste caratteristiche, le differenze potrebbero essere meno marcate. Infatti, dati “real-world” più recenti sul regime CROSS riportano una pCR del 20.5% e una sopravvivenza mediana di circa 33.7 mesi, risultati più vicini ai nostri.

Quindi, l’escalation della dose a 50.4 Gy non sembra aver portato a risultati migliori rispetto allo standard di cura del regime CROSS. Un’analisi post-hoc del CROSS aveva già mostrato che solo il 5% delle recidive avveniva all’interno del campo di radiazione, suggerendo che aumentare ulteriormente la dose potrebbe avere un effetto minimo sulla recidiva loco-regionale, mentre il vero problema restano le metastasi a distanza.

Il dato sul volume di irradiazione, sebbene la significatività statistica sia sfumata nell’analisi multivariata (probabilmente a causa della numerosità campionaria ridotta), ci fa riflettere. È logico che tumori più grandi o con più linfonodi coinvolti richiedano volumi di irradiazione maggiori. Tuttavia, anche aggiustando per lo stadio del tumore, questa tendenza all’aumento della mortalità con volumi maggiori suggerisce che mantenere il volume irradiato il più limitato possibile sia una strategia ragionevole. Ridurre il volume irradiato potrebbe non solo migliorare la sopravvivenza, ma anche diminuire la tossicità agli organi vicini, come cuore e polmoni, che è una complicanza nota e temuta della radioterapia toracica.

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Guardando al Futuro: Tecniche Radioterapiche Innovative

Se aumentare la dose non sembra la strada giusta, cosa possiamo fare? Qui entrano in gioco le moderne tecniche radioterapiche. Una delle più promettenti è la radioterapia adattativa online (Online Adaptive Radiotherapy). Questa tecnica permette di ri-pianificare il trattamento giornalmente, tenendo conto delle modifiche anatomiche e del tumore che avvengono durante il corso della terapia. L’obiettivo è duplice: ridurre l’esposizione degli organi sani e garantire una copertura ottimale del bersaglio. Il nostro gruppo ha recentemente dimostrato la fattibilità di questo approccio, anche se i pazienti trattati con questa tecnica non sono inclusi nello studio di cui vi parlo oggi, poiché abbiamo iniziato a implementarla solo nel 2021.

Limiti dello Studio: Onestà Intellettuale

Come ogni studio, anche il nostro ha delle limitazioni. Essendo retrospettivo, non abbiamo potuto controllare tutte le variabili. Inoltre, sebbene la radioterapia sia stata eseguita tutta nel nostro centro, la chirurgia e il follow-up oncologico sono stati talvolta gestiti in altri ospedali, il che ha reso più complessa la raccolta di dati a lungo termine. Il numero di pazienti inclusi è relativamente piccolo, il che limita la generalizzabilità dei risultati, e il numero di covariabili nei modelli di regressione era alto rispetto al campione, potendo portare a un overfitting del modello.

Conclusioni: Un Passo Avanti nella Ricerca

In conclusione, nel nostro gruppo di pazienti con cancro dell’esofago resecabile sottoposti a terapia trimodale, l’aumento della dose di radioterapia a 50.4 Gy totali non è stato associato a un tasso più elevato di risposta patologica completa né a un beneficio in termini di sopravvivenza rispetto ai risultati dello studio CROSS. Anzi, l’analisi multivariata ha mostrato una tendenza verso un aumento della mortalità associato a volumi di irradiazione maggiori.

Questi risultati suggeriscono che, piuttosto che insistere sull’escalation della dose, potrebbe essere più vantaggioso concentrarsi sull’utilizzo di tecniche radioterapiche moderne, come la radioterapia adattativa online, che tengono conto dei cambiamenti anatomici e tumorali durante il trattamento. Questo approccio potrebbe permetterci di ottimizzare la terapia, riducendo la tossicità e, speriamo, migliorando gli esiti per i nostri pazienti. La ricerca continua, e ogni studio, anche con risultati “negativi” come il nostro sull’escalation di dose, aggiunge un tassello importante alla comprensione di questa complessa malattia.

Fonte: Springer

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