ChatGPT e Salute: Mi Fido o Non Mi Fido? Cosa Dice la Scienza su Utilità e Privacy
Ciao a tutti! Ormai ChatGPT è sulla bocca di tutti, vero? Lo usiamo per scrivere email, per farci venire idee, persino per chiedere la ricetta della nonna. Ma vi siete mai chiesti se potremmo usarlo anche per questioni più delicate, come la nostra salute fisica e mentale? È una domanda affascinante e, diciamocelo, un po’ spaventosa.
Da un lato, l’idea di avere un “consulente” sempre disponibile, che non giudica e risponde all’istante, è allettante. Pensate a chi vive lontano dai centri medici, a chi ha orari impossibili o magari prova imbarazzo a parlare di certi argomenti. L’intelligenza artificiale (IA) in sanità promette di abbattere barriere come tempo, distanza, stigma e costi. Potrebbe alleggerire il carico sui sistemi sanitari tradizionali, spesso sotto pressione, e fornire dati preziosi per la ricerca e la prevenzione.
Dall’altro lato, però, sorgono mille dubbi. Possiamo davvero fidarci di un algoritmo per la nostra salute? E i nostri dati, così personali e sensibili, che fine fanno? ChatGPT impara dalle nostre conversazioni, e questo è un po’ un “do ut des”: noi gli forniamo dati (spesso senza rendercene conto navigando online o usando app) e lui migliora. Ma questa dipendenza dai dati lo rende anche vulnerabile a errori, imprecisioni e bias, soprattutto in campi complessi come la salute mentale. Ci sono preoccupazioni legittime sull’uso improprio, sulla confidenzialità e sulla sicurezza delle informazioni.
Capire Cosa Ci Spinge (o Ci Frena)
Proprio per far luce su questo dilemma, un gruppo di ricercatori ha deciso di indagare. Hanno coinvolto 216 utenti australiani di ChatGPT e hanno cercato di capire cosa li spingesse (o meno) a considerare l’uso di questo strumento per consigli sulla salute fisica e mentale. Hanno usato un modello chiamato Technology Acceptance Model (TAM), “allargandolo” per includere fattori cruciali in questo contesto: la fiducia (Trust) e le preoccupazioni per la privacy (Privacy Concerns).
Il TAM, in parole povere, dice che due cose principali ci fanno adottare una nuova tecnologia:
- Perceived Usefulness (PU): Quanto pensiamo che sia utile per noi, che ci aiuti a fare meglio qualcosa o a raggiungere un obiettivo.
- Perceived Ease of Use (PEOU): Quanto pensiamo che sia facile da usare, quanto sforzo mentale richieda.
A questi, i ricercatori hanno aggiunto, appunto, la fiducia nell’IA e la nostra ansia riguardo alla gestione dei dati personali. L’obiettivo era vedere quali di questi fattori “predicessero” meglio l’intenzione comportamentale (Behavioral Intention), cioè la nostra propensione a usare effettivamente ChatGPT per scopi sanitari in futuro.
I Risultati: Fiducia e Utilità al Primo Posto, Ma…
Cosa è emerso? Beh, la faccenda è più complessa di quanto sembri e, soprattutto, non è uguale per la salute fisica e quella mentale.
Un dato comune e forte è questo: sia per chiedere consiglio su un ginocchio dolorante (salute fisica) sia per parlare di come ci si sente giù di morale (salute mentale), due fattori sono risultati fondamentali per spingere le persone a considerare ChatGPT:
- La Perceived Usefulness (PU): Dobbiamo percepire che ChatGPT sia effettivamente utile, che possa darci un valore aggiunto concreto per le nostre esigenze di salute.
- La Fiducia (Trust): Dobbiamo fidarci del sistema, sentirci sicuri che sia affidabile e che operi nel nostro interesse (anche se, va detto, il livello medio di fiducia registrato nello studio non era altissimo, più un “né d’accordo né in disaccordo”).
Questo ci dice che, al di là della facilità d’uso, vogliamo sentire che lo strumento serve a qualcosa e che possiamo contarci. Senza questi due pilastri, l’adozione in ambito sanitario resta difficile.
Salute Fisica: Conta Anche la Semplicità
Quando si trattava di usare ChatGPT per questioni di salute fisica (es. informazioni su un infortunio, un sintomo corporeo), oltre all’utilità e alla fiducia, è emerso un altro fattore significativo: la Perceived Ease of Use (PEOU). Sembra che per questo tipo di problemi, la facilità con cui riusciamo a interagire con l’IA e ottenere le informazioni che cerchiamo giochi un ruolo importante. Forse perché siamo meno abituati a usare chatbot per la salute fisica rispetto a quella mentale (dove esistono già app specifiche da più tempo)? O forse perché descrivere un sintomo fisico a una macchina richiede un’interfaccia particolarmente intuitiva? Fatto sta che la semplicità d’uso qui conta.
Salute Mentale: L’Ombra della Privacy
E per la salute mentale? Qui la storia cambia leggermente. L’utilità percepita (PU) e la fiducia (Trust) restano cruciali, ma la facilità d’uso (PEOU) perde importanza. Al suo posto, emerge prepotentemente un altro fattore, questa volta come freno: le Preoccupazioni per la Privacy (Privacy Concerns).
Questo risultato è potente: più le persone erano preoccupate per come i loro dati sulla salute mentale (informazioni estremamente personali, spesso legate a pensieri, emozioni e stigma sociale) potessero essere usati o violati, meno erano intenzionate a usare ChatGPT per questo scopo. È un campanello d’allarme importante. La salute mentale è un campo delicatissimo, dove la fiducia medico-paziente è fondamentale. Trasferire questa fiducia a un’IA, gestita da grandi aziende tecnologiche che non sempre godono della stessa reputazione delle istituzioni sanitarie, è una sfida enorme. E la paura che le nostre confidenze più intime possano finire “nel sistema” o essere usate impropriamente è un deterrente fortissimo. Interessante notare che, sebbene le preoccupazioni per la privacy fossero simili in media per entrambi i tipi di salute, il loro *impatto* sull’intenzione d’uso era significativo solo per la salute mentale.
Non Si Può Generalizzare: Ogni Contesto è a Sé
Forse la lezione più importante di questo studio è proprio questa: non possiamo trattare l’accettazione dell’IA in sanità come un blocco unico. I fattori che ci guidano cambiano a seconda che si parli di corpo o di mente. Gli utenti, in generale, si sono mostrati leggermente più aperti (più utilità percepita, più facilità d’uso percepita, più fiducia e maggiore intenzione d’uso) verso l’uso di ChatGPT per la salute fisica rispetto a quella mentale.
Questo significa che chi sviluppa queste tecnologie (come OpenAI) e chi le regola deve tenere conto di queste sfumature. Un approccio “taglia unica” non funzionerà. Per la salute fisica, bisogna puntare su utilità, fiducia e semplicità. Per la salute mentale, l’utilità e la fiducia sono necessarie, ma bisogna affrontare di petto e in modo trasparente le enormi preoccupazioni sulla privacy.
Cosa Portiamo a Casa?
Questo studio è un primo passo, ovviamente. Il campione era australiano, prevalentemente giovane, e composto da persone che già usavano ChatGPT. Serviranno ricerche più ampie e diversificate. Ma ci lascia alcuni spunti fondamentali:
- L’utilità è regina: Se non vediamo un chiaro beneficio, difficilmente useremo l’IA per la salute.
- La fiducia è essenziale: Specialmente in sanità, dobbiamo poterci fidare dello strumento e di chi lo gestisce. Le aziende tech devono lavorare sodo su trasparenza e affidabilità.
- La privacy è il tallone d’Achille (soprattutto per la mente): Servono garanzie robuste e chiare sulla protezione dei dati, magari con meccanismi “opt-in” (cioè dobbiamo dare il consenso esplicito) per l’uso dei dati per l’addestramento.
- Il contesto conta: Le strategie per promuovere l’uso dell’IA devono essere specifiche per il tipo di applicazione sanitaria.
Insomma, il viaggio dell’IA nella nostra salute è appena iniziato. È affascinante, pieno di promesse, ma anche irto di sfide. Capire cosa pensiamo noi utenti, cosa ci convince e cosa ci spaventa, è fondamentale per guidare questo viaggio nella direzione giusta, assicurandoci che la tecnologia sia davvero al servizio del nostro benessere.
Fonte: Springer