Immagine fotorealistica di un confronto tra un terminale (lug) in CFRP nero lucido e uno in alluminio grigio opaco, posizionati su un banco da laboratorio metallico. Luce da studio laterale che evidenzia le texture dei materiali. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo ridotta per mettere a fuoco i dettagli dei lug.

Scontro tra Titani dei Materiali: CFRP vs Alluminio – Chi Vince la Sfida della Resistenza nei Terminali?

Amici appassionati di ingegneria e materiali innovativi, oggi vi porto con me in un’avventura affascinante nel mondo della meccanica strutturale! Ci siamo mai chiesti come fanno componenti apparentemente piccoli a sopportare carichi enormi, specialmente in settori super esigenti come quello aerospaziale? Bene, oggi mettiamo sotto la lente d’ingrandimento i cosiddetti “lugs”, o terminali di collegamento, elementi cruciali che uniscono diverse parti di una struttura, come quelle che troviamo nei carrelli di atterraggio degli aerei o nelle superfici di controllo delle ali.

La mia curiosità, e quella di molti ricercatori, si è concentrata su un confronto diretto: da una parte i tradizionali e affidabili terminali in alluminio (L-Al), dall’altra i modernissimi e leggeri terminali in polimeri rinforzati con fibra di carbonio (CFRP). L’obiettivo? Capire chi se la cava meglio quando sottoposti a una trazione uniassiale, ovvero quando vengono “tirati” lungo un’unica direzione fino al punto di rottura. E non ci siamo accontentati di un solo tipo di CFRP, ma ne abbiamo testati ben tre con diverse configurazioni di laminazione: una definita “Hard” (L-C-H), una “Quasi-Isotropica” (L-C-QI) e una “Soft” (L-C-S).

Perché proprio i CFRP e perché questo confronto?

I CFRP sono ormai protagonisti indiscussi nell’industria aeronautica moderna. Pensate che aerei come l’Airbus A350 XWB e il Boeing 787 Dreamliner sono costituiti per oltre il 50% da questi materiali compositi, che ritroviamo in ali, fusoliere e tante altre componenti. I motivi? Un rapporto rigidezza/peso eccezionale, un’ottima resistenza alla fatica e alla corrosione, che li rendono superiori a metalli come acciaio, alluminio e titanio sotto molti aspetti.

Tuttavia, quando si tratta di unire queste parti, sorgono delle sfide. Le giunzioni incollate, pur essendo oggetto di molta ricerca, faticano ancora a trasferire carichi pesanti in modo affidabile. Le giunzioni bullonate o rivettate, sebbene comuni, introducono concentrazioni di sforzo e aggiungono peso, soprattutto nei compositi che sono intrinsecamente più fragili ai carichi concentrati. Ecco perché i terminali caricati a perno (pin-loaded lugs) diventano fondamentali: devono garantire l’integrità strutturale, ma il loro design, specialmente in CFRP, è complesso. Questi materiali, a differenza dei metalli, soffrono di problemi come la delaminazione (lo “scollamento” degli strati di fibra) a causa degli sforzi tridimensionali che si generano vicino al foro del perno, soprattutto in sezioni spesse o con piccole distanze dai bordi, come spesso accade nelle applicazioni reali.

Cosa abbiamo scoperto “tirando” questi materiali?

Passiamo ai risultati del nostro “stress test”! La prima sorpresa è arrivata dalla configurazione L-C-QI (Quasi-Isotropica) del CFRP: ha mostrato la capacità di carico più elevata, superando persino quella dei terminali in alluminio L-Al! Un risultato notevole che apre scenari interessanti per l’utilizzo dei compositi. Al contrario, la configurazione L-C-H (Hard) è stata quella che ha ceduto prima tra i campioni in CFRP.

Un comportamento particolare l’abbiamo osservato nei campioni L-C-S (Soft): vicino al foro si sono formate delle micro-fratture nella matrice resinosa. Questo fenomeno, apparentemente negativo, ha in realtà permesso un “rilassamento” delle tensioni, un po’ come succede nei metalli duttili quando iniziano a deformarsi plasticamente. E parlando di metalli duttili, i nostri terminali in alluminio L-Al hanno fatto esattamente quello che ci aspettavamo: si sono deformati plasticamente in modo significativo, mostrando un notevole “snervamento” (necking) della sezione resistente. Questa loro capacità di deformarsi ha portato a un assorbimento di energia superiore del 136% rispetto al miglior CFRP (L-C-QI). Immaginate l’energia come la capacità di incassare un colpo: l’alluminio, da questo punto di vista, è un ottimo incassatore.

Macro fotografia di un campione di CFRP L-C-QI dopo il test di trazione, con evidenza delle fibre di carbonio e della zona di frattura. Obiettivo macro 100mm, alta definizione, illuminazione controllata per esaltare i dettagli della rottura.

Abbiamo anche notato una correlazione interessante: man mano che la rigidezza (calcolata secondo la legge di Hooke) dei terminali diminuiva, l’angolo della superficie di rottura rispetto alla direzione del carico aumentava. Questo indica una transizione nel modo di rompersi: da una rottura per “strappo a taglio” (shear tear-out) a una rottura per “tensione netta della sezione” (net section tension). Nei campioni in CFRP, la delaminazione è stata un fenomeno evidente sul lato del foro dove premeva il perno. L’alluminio, invece, ha mostrato la già citata plasticizzazione sulla superficie di contatto e lo snervamento dei bracci del terminale.

Le modalità di rottura: un’analisi più da vicino

Per capire meglio, pensiamo a come si rompe un pezzo di metallo “a U” quando lo tiriamo. Generalmente, ci sono tre modi principali:

  • Snervamento della superficie di appoggio del foro: il materiale cede dove il perno spinge.
  • Strappo a taglio dei bracci: i “bracci” della U si strappano con un angolo di circa 40° rispetto alla direzione di tiro.
  • Rottura per tensione della sezione netta: i bracci si rompono trasversalmente.

I nostri campioni in CFRP con elevata rigidezza (L-C-H e L-C-QI) si sono rotti in modo simile all’alluminio, principalmente per strappo a taglio. Ma, come accennato, i campioni L-C-S, meno rigidi, hanno preferito una rottura per tensione netta. La delaminazione, ovvero la separazione degli strati di fibra di carbonio, è stata una costante nei campioni compositi, distribuita in modo uniforme lungo lo spessore. Questo è tipico dei compositi spessi, dove gli stress tridimensionali giocano un ruolo cruciale, a differenza delle lamine sottili che lavorano più in uno stato di sforzo piano.

Cosa ci portiamo a casa da questa indagine?

Beh, diverse cose importanti!

  1. Capacità di Carico: Il CFRP con lay-up [0/90]14s (L-C-H) è stato il meno performante. Al contrario, il CFRP con lay-up [±45/0]8s (L-C-QI) ha mostrato la resistenza statica più alta, battendo anche l’alluminio. Questo ci dice che la scelta dell’orientamento delle fibre è fondamentale.
  2. Meccanismi di Rilascio dello Stress: Il CFRP L-C-S ([±45]14s) ha mostrato una sorta di “auto-protezione” grazie alla fessurazione della matrice, simile alla plasticizzazione dell’alluminio.
  3. Assorbimento di Energia: L’alluminio è imbattibile qui, grazie alla sua grande deformabilità plastica, assorbendo molta più energia prima della rottura rispetto al miglior CFRP. Questo è un fattore chiave in applicazioni dove la resistenza agli impatti o la tolleranza al danno sono critiche.
  4. Modalità di Rottura: Abbiamo visto come la rigidezza influenzi il modo in cui i campioni cedono, con una transizione da taglio a tensione. La delaminazione resta il “tallone d’Achille” dei compositi in queste configurazioni, mentre l’alluminio mostra i classici segni di duttilità.

In conclusione, i terminali in CFRP con una configurazione quasi-isotropica si candidano come una valida alternativa a quelli in alluminio, specialmente se l’obiettivo primario è una maggiore resistenza statica. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare gli altri aspetti: la resistenza a fatica (carichi ripetuti nel tempo) e le condizioni specifiche dell’applicazione. Ad esempio, in zone soggette a impatti, come i carrelli d’atterraggio, il rischio di delaminazione potrebbe compromettere i vantaggi del CFRP. Nel nostro studio, abbiamo volutamente omesso l’uso di boccole metalliche per studiare l’effetto “puro” del carico del perno sul foro, soprattutto considerando la ridotta distanza dal bordo, ben inferiore a quella raccomandata per i compositi.

Quindi, la scelta del materiale giusto è sempre un compromesso, un bilanciamento attento tra diverse proprietà e requisiti. E la ricerca, come la nostra, serve proprio a fornire dati e conoscenze per prendere decisioni sempre più informate e spingere l’innovazione un passo avanti!

Fonte: Springer

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