Il Cervello Detective: Come Decifriamo il Movimento del Mondo?
Avete mai guardato fuori dal finestrino di un treno e avuto la sensazione che il treno accanto si stesse muovendo, solo per rendervi conto che era il vostro a partire? O magari avete osservato un’illusione ottica in cui puntini fermi sembrano danzare? Sembra semplice, percepire il movimento, ma vi assicuro che è uno dei compiti più affascinanti e complessi che il nostro cervello svolge costantemente. Il punto è: il movimento è sempre relativo. Un oggetto si muove rispetto a qualcos’altro. Ma rispetto a cosa esattamente il nostro cervello decide che qualcosa si sta muovendo?
Per decenni, noi scienziati ci siamo interrogati su quale sia il “frame di riferimento” principale per la percezione del movimento. È la retina (retinotopico)? È il nostro corpo (egocentrico)? Il mondo esterno (allocentrico)? O forse altri oggetti nella scena (oggetto-centrico)? La verità, come spesso accade nella scienza, è che probabilmente è un po’ di tutto questo, e le prove raccolte finora sono state spesso contraddittorie.
Il Puzzle del Movimento: Un Nuovo Approccio
Pensate alla famosa illusione di Johansson: vedete tre puntini luminosi al buio. Due si muovono insieme orizzontalmente, mentre il terzo si muove diagonalmente. Cosa percepite? Non vedete il terzo puntino muoversi in diagonale come farebbe sulla vostra retina. No, spesso lo percepite muoversi quasi verticalmente, come se i due puntini orizzontali formassero un’asta invisibile che lo trascina. Chiaramente, il cervello sta facendo qualcosa di più sofisticato che registrare semplicemente le velocità sulla retina. Sta interpretando la scena, cercando una struttura, una causa.
Ed è qui che entra in gioco la nostra idea, un nuovo modo di vedere la percezione del movimento: e se il cervello agisse come un piccolo scienziato, costruendo un modello gerarchico del mondo e usando l’inferenza causale per capire cosa si muove rispetto a cosa?
Immaginate il mondo come un insieme di scatole cinesi. Ci sono oggetti, composti da parti, che a loro volta possono avere altre parti. Quando un oggetto intero si muove (la “scatola” più grande), tutte le sue parti si muovono con esso. Questo crea una forte connessione causale. Il nostro modello bayesiano cerca proprio di rispecchiare questa struttura gerarchica. Il cervello, secondo noi, non si limita a vedere pixel che si spostano, ma inferisce queste relazioni “tutto-parte”.
Il Segreto? L’Aspettativa che le Cose Siano Ferme
Una delle intuizioni chiave del nostro modello riguarda le aspettative (i “prior” nel linguaggio bayesiano) che il cervello ha sul movimento. Tradizionalmente, si pensava che il cervello assumesse che gli oggetti si muovessero lentamente (il “prior di bassa velocità”). Noi abbiamo aggiunto un dettaglio cruciale, ispirato dalla fisica del mondo reale: la frizione. Nel mondo, la maggior parte delle parti di un oggetto non si muovono lentamente rispetto all’oggetto stesso, ma sono esattamente ferme.
Quindi, il nostro modello include un “prior misto”: una forte aspettativa (una “punta”, o componente delta, a zero) che la velocità relativa all’interno di un frame di riferimento sia nulla, combinata con l’aspettativa che, se c’è movimento, probabilmente sarà lento (una distribuzione gaussiana attorno allo zero). Questo piccolo dettaglio fa una differenza enorme. Permette al modello di “segmentare” automaticamente la scena in gruppi coerenti (oggetti) e capire il movimento di ogni elemento nel suo frame di riferimento più appropriato.

Integrazione vs. Segmentazione: La Danza della Percezione
Come decide il cervello se raggruppare elementi in movimento (integrazione) o vederli come entità separate (segmentazione)? Il nostro modello fa proprio questo. Se osserviamo un gruppo di puntini che si muovono tutti alla stessa velocità, il modello (e il nostro cervello) inferisce che appartengono a un unico oggetto in movimento. La forte aspettativa di “immobilità relativa” (la componente delta del prior) rende questa spiegazione molto più probabile rispetto all’idea che ogni puntino si muova indipendentemente.
Se invece i puntini si muovono in modi diversi, il modello cerca la spiegazione più semplice. Torniamo all’illusione di Johansson: il modello considera varie strutture possibili. Una è che i due puntini orizzontali formino un gruppo e il terzo sia indipendente. Un’altra è che tutti e tre facciano parte di un unico “oggetto”, ma il terzo puntino si muova relativamente a questo oggetto. Poiché il movimento relativo verticale del terzo puntino è piccolo, il prior “lento e fermo” favorisce questa seconda interpretazione, spiegando perché percepiamo quel movimento verticale.
È importante notare che il cervello non sceglie per forza una sola struttura. Sembra piuttosto che consideri diverse possibilità contemporaneamente, pesandole in base alla loro probabilità. Questo spiega perché a volte la nostra percezione può essere incerta o intermedia.
Mettere alla Prova il Modello: Esperimento 1
Per verificare le nostre idee, abbiamo condotto degli esperimenti. Nel primo, abbiamo mostrato ai partecipanti una macchia di puntini verdi (il “centro”) circondata da un numero variabile di macchie di puntini rossi (il “contorno”). Il contorno poteva essere fermo o muoversi orizzontalmente. Il centro si muoveva in direzioni leggermente diverse rispetto al contorno.
I partecipanti dovevano semplicemente indicare la direzione di movimento percepita dei puntini verdi. Cosa abbiamo trovato?
- Quando il contorno era fermo, i partecipanti riportavano correttamente la direzione del centro. Nessuna sorpresa qui.
- Ma quando il contorno si muoveva, le cose cambiavano! Se la direzione del centro era molto simile a quella del contorno, i partecipanti tendevano a “integrare” i due movimenti, percependo una direzione vicina a quella del contorno.
- Se la direzione del centro era molto diversa, tendevano a “segmentare”, percependo il movimento del centro relativamente al contorno (cioè, percepivano la differenza di movimento).
- Per direzioni intermedie, le risposte erano più variabili, a volte integrate, a volte segmentate, riflettendo l’incertezza del cervello sulla struttura causale corretta.

La cosa straordinaria è che il nostro modello di inferenza causale, una volta calibrato sui dati di ogni persona, riusciva a prevedere queste risposte con altissima precisione (spiegando oltre il 92% della varianza!). Abbiamo anche confrontato diverse ipotesi su come il cervello traduce le sue credenze probabilistiche (la distribuzione posteriore del modello) in una percezione definita. I risultati sono stati chiari: le persone non scelgono la struttura più probabile né fanno una media. Sembra che la percezione su ogni “prova” corrisponda a un campione casuale tratto dalla distribuzione di probabilità completa calcolata dal cervello (campionamento posteriore).
E la nostra intuizione sul prior “fermo”? Confermata! L’analisi ha mostrato che, per tutti i partecipanti, la stragrande maggioranza della “massa” del prior era concentrata proprio sullo zero. Il cervello si aspetta davvero che le cose, nel giusto frame di riferimento, siano immobili.
Quali Strutture Usa Davvero il Cervello?
Analizzando i dati con il modello, abbiamo potuto “vedere” quali strutture causali il cervello di ogni persona preferiva. Sorprendentemente, quando avveniva la segmentazione (cioè, quando centro e contorno si muovevano in modo diverso), la struttura dominante non era semplicemente “vedo il centro muoversi rispetto al contorno”. Invece, per molti, la spiegazione preferita era una struttura più astratta: sia il centro che il contorno si muovono lentamente rispetto a un frame di riferimento intermedio, che si muove a una velocità media tra i due! Questo evidenzia l’importanza anche della componente “lenta” del nostro prior misto.

Un Passo Avanti: Gerarchie Complesse (Esperimento 2)
Per testare la natura gerarchica del modello, abbiamo complicato le cose nell’Esperimento 2. Ora c’era un centro (verde), un anello interno (rosso) e un anello esterno (blu), tutti potenzialmente in movimento. L’anello interno si muoveva in direzioni diverse rispetto al centro, mentre l’anello esterno si muoveva in modo da mantenere una relazione costante con l’anello interno.
Questo ci ha permesso di testare previsioni specifiche:
- La segmentazione è locale? Se il centro viene segmentato dall’anello interno, il suo movimento percepito dovrebbe dipendere solo dall’anello interno, ignorando quello esterno.
- L’integrazione eredita il frame? Se il centro viene integrato con l’anello interno, questo “gruppo” dovrebbe essere percepito nel frame di riferimento dell’anello esterno.
- Cosa definisce il frame? È la velocità retinica di un gruppo a definire il suo frame di riferimento per le parti interne, non la sua velocità percepita (che potrebbe già essere influenzata da altri frame).
I risultati hanno supportato magnificamente queste previsioni! Quando centro e anello interno si muovevano in modo simile, venivano integrati e percepiti rispetto all’anello esterno. Quando si muovevano diversamente, il centro veniva percepito rispetto all’anello interno, e il movimento dell’anello esterno diventava irrilevante per la percezione del centro. Inoltre, i dati hanno confermato che è la velocità retinica (osservata) del frame di riferimento a contare, non quella percepita.

Perché Tutto Questo è Importante?
Il nostro lavoro suggerisce che la percezione del movimento non è un semplice processo passivo di registrazione, ma un’attiva inferenza bayesiana sulla struttura causale gerarchica del mondo. Il cervello usa le sue conoscenze implicite sulla fisica (come la frizione che porta all’immobilità relativa) per dare un senso ai segnali visivi ambigui.
Questo approccio unifica molti fenomeni precedentemente studiati separatamente e fornisce una giustificazione normativa ai principi della Gestalt (come la “legge del destino comune”). Inoltre, collega la percezione del movimento a un quadro più ampio dell’inferenza causale, che si pensa sia un principio computazionale fondamentale del cervello.
Naturalmente, c’è ancora molto da esplorare. Come si integra la percezione della velocità (non solo della direzione)? Che ruolo giocano i movimenti oculari? E come si mappano queste computazioni astratte sui circuiti neurali reali, magari nelle aree cerebrali come la MT, nota per l’elaborazione del movimento?
Quello che è certo è che la prossima volta che guarderete il mondo muoversi intorno a voi, ricorderete che non state solo “vedendo”. State attivamente costruendo una realtà, inferendo le cause nascoste dietro la danza della luce sulla vostra retina. Il vostro cervello è un detective instancabile, e la percezione del movimento è uno dei suoi casi più affascinanti.
Fonte: Springer
