Immagine concettuale di un fegato umano con cellule immunitarie mieloidi evidenziate in blu brillante che interagiscono con gli epatociti di colore arancione. Luce drammatica per enfatizzare l'enzima CD38 sulle cellule mieloidi. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo, duotone blu e arancione, a simboleggiare la ricerca scientifica sul danno da ischemia-riperfusione epatica e il ruolo specifico delle cellule mieloidi.

CD38 Mieloidi: La Chiave Nascosta (e un po’ Birichina) nel Danno Epatico da Ischemia-Riperfusione!

Allora, amici della scienza e curiosi di misteri biologici, mettetevi comodi perché oggi vi racconto una storia che ha del thriller cellulare, ambientata nel nostro fegato! Parliamo di un problema serio, il danno da ischemia-riperfusione epatica (HIRI). Sembra un parolone, ma immaginate il fegato come una città super trafficata: se all’improvviso si blocca l’afflusso di sangue (l’ischemia, come un mega ingorgo) e poi, di colpo, il traffico riparte (la riperfusione), si scatena il caos! Questo succede spesso durante i trapianti di fegato o le resezioni chirurgiche, e capire come limitare i danni è una vera e propria caccia al tesoro scientifica.

Al centro di questa storia c’è una molecola vitale, il NAD+ (Nicotinamide Adenin Dinucleotide). Pensatelo come la benzina super per le nostre cellule, essenziale per un sacco di reazioni. Ma, come in ogni buon giallo, c’è un “cattivo” che ama consumare questa benzina: un enzima chiamato CD38. È il principale responsabile della degradazione del NAD+ nei mammiferi. La domanda che ci siamo posti è: che ruolo gioca questo CD38 nel dramma dell’HIRI?

L’indagine sui topi: chi è il vero colpevole?

Per scoprirlo, abbiamo messo su un vero e proprio “commissariato” di topi geneticamente modificati. Avevamo topi completamente privi di CD38 (CD38KO), topi senza CD38 solo nelle cellule mieloidi (CD38MKO) – che sono un tipo di globuli bianchi, i “poliziotti” del nostro sistema immunitario, inclusi i macrofagi – e topi senza CD38 solo nelle cellule del fegato, gli epatociti (CD38LKO). Poi, abbiamo simulato l’HIRI in questi piccoli investigatori.

E qui la sorpresa! I topi CD38KO e, soprattutto, i CD38MKO (quelli senza CD38 nelle cellule mieloidi) se la sono cavata alla grande! Il loro fegato ha subito molti meno danni. Lo abbiamo visto misurando i livelli di enzimi come ALT, AST e LDH – che schizzano alle stelle quando il fegato soffre – e osservando al microscopio che c’era molta meno necrosi, cioè morte cellulare. Invece, i poveri topi CD38LKO, quelli senza CD38 negli epatociti, non hanno mostrato questa protezione. Bingo! Sembra proprio che il CD38 delle cellule mieloidi sia il vero “driver” del danno, non quello degli epatociti stessi.

Come agisce il CD38 “mieloidico”? Sveliamo il meccanismo

Ma perché questa differenza? Abbiamo scoperto che l’assenza di CD38 nelle cellule mieloidi mette un freno a tre processi deleteri scatenati dall’HIRI:

  • Stress ossidativo: quella valanga di radicali liberi che danneggiano tutto ciò che incontrano.
  • Risposte infiammatorie: l’incendio che divampa nel tessuto danneggiato.
  • Piroptosi: una forma di morte cellulare programmata particolarmente “rumorosa” e infiammatoria.

In pratica, senza CD38, le cellule mieloidi diventano meno “aggressive” e più “protettive”. Ma c’è di più! Abbiamo notato che nei fegati dei topi CD38KO e CD38MKO aumentavano i livelli di una proteina supereroe chiamata SIRT1 e dei suoi aiutanti, p53 e PPARγ. SIRT1 è un po’ come un saggio che usa il NAD+ per regolare l’attività di altre proteine, e sembra che giochi un ruolo chiave nel proteggere il fegato.

Scavando ancora più a fondo, abbiamo visto che la mancanza di CD38 nelle cellule mieloidi, in particolare nei macrofagi (gli “spazzini” e “regolatori” del sistema immunitario), fa due cose fantastiche:

  1. Promuove la polarizzazione dei macrofagi verso il tipo M2: questi sono i macrofagi “buoni”, quelli che spengono l’infiammazione e aiutano la riparazione.
  2. Inibisce la polarizzazione verso il tipo M1: questi sono i macrofagi “cattivi”, quelli pro-infiammatori che peggiorano il danno.

E come fa? Attivando proprio la via del segnale NAD+/SIRT1 all’interno dei macrofagi! Questo, a sua volta, sopprime la piroptosi mediata da un complesso chiamato NLRP3. Insomma, un effetto domino positivo che spegne l’incendio prima che divampi troppo.

Macro fotografia di tessuto epatico, 100mm macro lens, alta definizione, illuminazione controllata, che mostra la differenza tra un fegato sano e uno con danno da ischemia-riperfusione, con cellule infiammatorie (macrofagi) evidenziate in colori contrastanti.

Conferme in provetta: la co-cultura svela i segreti

Per essere sicuri sicuri, abbiamo fatto anche esperimenti in vitro, cioè in laboratorio, usando piastre di coltura. Abbiamo messo a contatto macrofagi derivati dal midollo osseo (BMDM) di topi CD38KO o di controllo con epatociti primari, e poi abbiamo simulato una condizione di ipossia/riossigenazione (H/R), che mima l’HIRI.

I risultati hanno confermato tutto! Gli epatociti “protetti” dai macrofagi senza CD38 stavano molto meglio: meno morte cellulare, meno formazione di malondialdeide (MDA, un marcatore di stress ossidativo), e minor rilascio di LDH. Inoltre, questi macrofagi “buoni” producevano meno citochine infiammatorie come IL-1β e TNF-α e meno geni coinvolti nella piroptosi come NLRP3 e IL-18. Anzi, aumentava l’espressione di PPARγ, un fattore chiave per la polarizzazione M2. È come se i macrofagi senza CD38 dicessero agli epatociti: “Tranquilli, ci pensiamo noi a calmare le acque!”.

La via SIRT1-p53/PPARγ: il cuore della protezione

Abbiamo poi voluto capire meglio come SIRT1 orchestra questa protezione. Nei tessuti epatici dei topi CD38KO e CD38MKO, dopo HIRI, i livelli di SIRT1 erano più alti. Interessante notare che nei CD38MKO aumentava solo SIRT1, mentre SIRT3 (un altro membro della famiglia delle sirtuine) restava invariato, suggerendo un ruolo specifico di SIRT1 mediato dalle cellule mieloidi.

Inoltre, l’espressione della proteina p53 (un famoso “guardiano del genoma”) era aumentata, ma il suo livello di acetilazione (una modifica che ne altera la funzione) era ridotto. Questo è importante perché SIRT1 è una deacetilasi, cioè toglie questi gruppi acetili. E PPARγ, come già detto, era anch’esso aumentato. Sembra proprio che la mancanza di CD38 nelle cellule mieloidi potenzi la via SIRT1, che a sua volta agisce su p53 e PPARγ per calmare l’infiammazione e la piroptosi e promuovere la “guarigione” mediata dai macrofagi M2.

Per mettere il sigillo finale, abbiamo usato degli inibitori specifici per le vie di AMPK (collegata a PPARγ), p53 e PPARγ direttamente sui macrofagi CD38KO stimolati. Ebbene, questi inibitori annullavano in gran parte l’effetto protettivo! Le citochine pro-infiammatorie tornavano a salire e i marcatori anti-infiammatori a scendere. Questo ci ha dato la prova del nove: la carenza di CD38 mieloide facilita la polarizzazione M2 dei macrofagi proprio attivando le vie di segnalazione CD38-SIRT1-PPARγ e CD38-SIRT1-p53.

Cosa significa tutto questo per noi?

Beh, questa scoperta è una bomba! Ci dice che il CD38 presente specificamente nelle cellule mieloidi è un bersaglio terapeutico super promettente per prevenire e trattare il danno da ischemia-riperfusione epatica. Immaginate di poter “spegnere” selettivamente il CD38 in queste cellule prima di un trapianto o di un intervento chirurgico al fegato. Potrebbe fare una differenza enorme per i pazienti!

Certo, la strada è ancora lunga. I macrofagi sono cellule complesse, un po’ camaleontiche, e dobbiamo capire ancora meglio come si comportano nelle diverse fasi della malattia e nei diversi microambienti tissutali. Però, aver identificato questo ruolo cruciale del CD38 mieloide ci apre prospettive davvero entusiasmanti.

In sintesi, abbiamo smascherato un attore chiave nel dramma dell’HIRI. Non è il CD38 degli epatociti a fare i danni maggiori, ma quello dei “poliziotti” del sistema immunitario, le cellule mieloidi. Modulando la sua attività, potremmo trasformare questi poliziotti da “aggressivi” a “protettivi”, grazie all’aumento di NAD+ e all’attivazione della via di SIRT1. Una nuova speranza per proteggere un organo così prezioso come il fegato!

Fonte: Springer

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