Immagine simbolica della terapia CBT-I per l'insonnia: una persona dorme serenamente a letto, stanza con luce soffusa e rilassante. Prime lens, 35mm, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo.

Dormire Meglio Dopo il Cancro: La CBT-I è Sicura? Scopriamo Insieme gli Effetti Collaterali!

Ciao a tutti! Se siete passati attraverso l’esperienza del cancro, sapete bene quanto possa essere difficile riprendere in mano la propria vita. E uno degli scogli più grandi, diciamocelo, è spesso il sonno. Quei disturbi del sonno che sembrano non volersene andare sono una delle barriere principali al ritorno alla normalità dopo le cure oncologiche. Ecco, una delle terapie più efficaci per l’insonnia, anche per chi ha affrontato un tumore, è la Terapia Cognitivo-Comportamentale per l’Insonnia, o CBT-I. Ha dimostrato di funzionare alla grande, ma c’è un aspetto che a volte viene un po’ trascurato: gli eventi avversi (AEs) che possono verificarsi durante il trattamento. Ebbene sì, anche le terapie psicologiche possono averne, anche se spesso si tende a pensare il contrario!

Quindi, l’obiettivo del nostro studio, di cui vi racconto oggi, era proprio questo: fare luce sulla prevalenza, la gravità e l’attribuzione degli eventi avversi durante un percorso di CBT-I con persone sopravvissute al cancro. Volevamo capire se questa terapia, tanto raccomandata, fosse davvero ben tollerata.

Disturbi del sonno post-cancro: un nemico comune

Partiamo da un dato: si stima che fino al 50% di chi ha avuto un cancro soffra di sintomi di insonnia o di vera e propria sindrome da insonnia, a un certo punto durante o dopo le cure. L’insonnia non è solo “non dormire bene”; ha un impatto devastante sulla qualità della vita, sulla salute fisica, mentale e cognitiva. Eppure, nonostante sia così diffusa, spesso nei centri oncologici viene sottovalutata e sottotrattata. Si pensa magari prima ad altre cose, e il sonno passa in secondo piano. Un grosso errore, a mio avviso!

Quando si sceglie un trattamento per l’insonnia, che sia farmacologico o psicologico, una considerazione fondamentale è il potenziale di danno o, appunto, di eventi avversi. Un evento avverso è qualsiasi evento negativo che si verifica durante il trattamento: la comparsa di nuovi sintomi, un peggioramento di quelli esistenti, o un deterioramento generale. È importante sottolineare che gli AEs non sono sempre causati direttamente dal trattamento; possono essere legati a stress, circostanze personali, e mille altri fattori che capitano mentre una persona è in terapia.

La CBT-I: un faro nella notte?

La CBT-I è raccomandata da enti prestigiosi come l’American College of Physicians e l’American Academy of Sleep Medicine. Si tratta di un percorso, solitamente di alcune settimane, con un terapeuta esperto, che va a scardinare pensieri, emozioni e comportamenti che alimentano l’insonnia. Include tipicamente cinque componenti chiave:

  • Controllo dello stimolo: per riassociare il letto al sonno.
  • Restrizione del sonno: per aumentare la “pressione” del sonno.
  • Ristrutturazione cognitiva: per modificare le credenze disfunzionali sul sonno.
  • Tecniche di rilassamento: per ridurre l’iperattivazione.
  • Igiene del sonno: per creare condizioni ambientali favorevoli al riposo.

Nonostante la sua efficacia, anche la CBT-I può avere potenziali eventi avversi. Ad esempio, la restrizione del sonno, all’inizio, può ridurre il tempo totale di sonno e far sentire più stanchi durante il giorno, con possibili ripercussioni sul funzionamento quotidiano. Pensateci: vi si chiede di stare a letto meno tempo, all’inizio può essere dura!

Eventi Avversi: perché parlarne è cruciale (anche in psicoterapia!)

Mentre per i farmaci c’è l’obbligo di registrare gli eventi avversi negli studi clinici, nelle terapie psicologiche c’è molta meno attenzione. Una revisione sistematica ha trovato che solo il 60% degli studi sulla psicoterapia riportava “eventi dannosi”, e la maggior parte non valutava nemmeno se fossero correlati al trattamento! Spesso, poi, non si definisce nemmeno cosa sia un evento avverso, o si usano definizioni prese dalla psicofarmacologia. Questo succede perché, forse, si sottovalutano i potenziali effetti negativi della psicoterapia, pensando che sia intrinsecamente “più sicura”. Ma questo è un errore: è fondamentale riportare tutti gli AEs, per permettere a medici e pazienti di fare scelte informate.

Alcuni ricercatori, addirittura, considerano solo la salute mentale come unico tipo di evento avverso rilevante in psicoterapia, ignorando mal di testa, dolori, o un aumento dell’uso di farmaci. Insomma, c’è bisogno di più trasparenza!

Una persona seduta a una scrivania, con un laptop aperto su una videochiamata con un terapeuta. L'ambiente è casalingo e confortevole. Prime lens, 35mm, luce naturale dalla finestra, focus sul volto della persona che ascolta attentamente.

Una revisione del 2021 su 99 studi randomizzati controllati (RCTs) sulla CBT-I ha riportato che solo un terzo includeva segnalazioni di AEs. Tra quelli segnalati c’erano deterioramento di problemi di salute mentale preesistenti, peggioramento del sonno, della stanchezza e dei disturbi cognitivi. E solo il 7% di questi studi rispettava i criteri per una segnalazione adeguata degli AEs secondo le linee guida CONSORT. C’è ancora poca conoscenza sugli AEs durante la CBT-I specificamente nei sopravvissuti al cancro.

Il nostro studio “ACTION”: luci puntate sulla CBT-I

Il nostro studio, chiamato “Addressing Cancer Treatment-Related Insomnia Online in Atlantic Canada (ACTION) study”, era un’analisi secondaria di un RCT più ampio. Abbiamo reclutato sopravvissuti al cancro dalla regione Atlantica del Canada che soffrivano di insonnia e deficit cognitivi. I partecipanti hanno riportato prevalenza, gravità e attribuzione degli AEs a metà trattamento (4 settimane) e a fine trattamento (8 settimane) tramite sondaggi online. Un medico indipendente, all’oscuro delle valutazioni dei partecipanti, ha poi valutato a sua volta la probabilità che gli AEs fossero correlati al trattamento.

I criteri di inclusione erano: essere sopravvissuti a qualsiasi tipo o stadio di cancro, aver completato il trattamento oncologico da almeno 6 mesi ed essere considerati in remissione o liberi da cancro, soddisfare i criteri per il disturbo da insonnia e riportare deficit cognitivi. Dovevano parlare inglese e avere accesso a internet e webcam. Abbiamo escluso chi aveva uno scarso stato di performance, disturbi psicologici o del sonno non trattati (diversi dall’insonnia), aveva ricevuto radioterapia cranica, o aveva già esperienza con la CBT-I.

La CBT-I veniva erogata individualmente e virtualmente, con sessioni settimanali di un’ora per sette settimane, da studenti di dottorato in psicologia clinica supervisionati da uno psicologo clinico esperto. Non esistendo un metodo validato per riportare gli AEs nella CBT-I in popolazioni oncologiche, abbiamo sviluppato la nostra valutazione basandoci sui Common Terminology Criteria for Adverse Events (CTCAE) e sugli standard di attribuzione del National Cancer Institute.

Abbiamo chiesto ai partecipanti di descrivere come stava andando il trattamento, e poi abbiamo indagato cinque categorie di possibili AEs:

  1. Malessere, malattia o incidenti;
  2. Nuova comparsa di sintomi;
  3. Visite/procedure mediche non pianificate;
  4. Necessità non pianificata di assumere farmaci;
  5. Qualsiasi altra preoccupazione per la salute fisica o mentale.

Per ogni categoria, si chiedeva se l’avessero sperimentata, la gravità (lieve, moderata, severa) e la probabilità che fosse attribuita all’intervento (decisamente, probabilmente, possibilmente, improbabile, non correlato).

Cosa abbiamo scoperto? I risultati “nudi e crudi”

Dei 122 sopravvissuti al cancro che hanno completato il trattamento (età media 60.3 anni, 77.9% donne), 72 hanno riportato un totale di 197 eventi avversi validi. A metà trattamento, i partecipanti hanno segnalato 113 AEs, ma solo 11 sono stati valutati da loro stessi come attribuibili all’intervento. A fine trattamento, i partecipanti non hanno riportato nessun AE attribuito all’intervento. Il valutatore indipendente, invece, ha attribuito più AEs al trattamento rispetto ai partecipanti in entrambi i momenti (a 4 settimane: 16 vs. 11; a 8 settimane: 1 vs. 0). Gli AEs auto-riferiti come attribuibili al trattamento includevano aumento dell’uso di farmaci per il mal di testa, sogni strani, ansia e aumento di stanchezza/fatica e relativo disagio.

La maggior parte degli AEs era di entità lieve (57 AEs) o moderata (108 AEs). I partecipanti hanno riportato un totale di 27 AEs seri, che hanno richiesto attenzione medica, ma nessuno di questi è stato ritenuto dai partecipanti come probabilmente o decisamente correlato al trattamento. È importante notare che quasi tutti i partecipanti arruolati (92.4%) hanno completato la fase di trattamento. Dei 10 ritiri dallo studio, solo uno è stato attribuito a un AE correlato al trattamento (disagio legato al trattamento).

Abbiamo anche cercato di capire se alcuni fattori fossero associati alla segnalazione di un AE. Ebbene, il genere (p=0.014) e l’ansia pre-trattamento (p<0.001) sono risultati significativamente associati: le donne erano più propense a sperimentare un AE rispetto agli uomini, e maggiori livelli di ansia erano associati a una maggiore probabilità di sperimentare un AE. Nello specifico, il 65.3% delle donne ha riportato un AE, contro il 37.0% degli uomini. Nessun altro fattore (età, tipo di cancro, gruppo di trattamento, terapeuta, depressione) ha avuto un impatto significativo, anche se il nostro studio potrebbe non aver avuto la potenza statistica per rilevare differenze in sottogruppi più piccoli.

Una donna sorridente che guarda fuori dalla finestra al mattino, simbolo di un sonno ristoratore. Luce calda del sole. Portrait photography, 35mm, duotone seppia e crema, profondità di campo.

La voce dei partecipanti: l’esperienza diretta

Abbiamo raccolto anche le impressioni dei partecipanti. Molti hanno commentato l’impegno richiesto dal trattamento, soprattutto all’inizio. Una partecipante ha detto: “La prima settimana di restrizione del sonno è stata impegnativa. Ero estremamente stanca durante il giorno e ho quasi pensato di mollare… ma sentivo che faceva parte del processo e credevo che alla fine avrei dormito molto meglio. Dopo quella settimana, è diventato un po’ più facile e ho sentito una differenza positiva.” Un’altra ha commentato che la CBT-I è stata “senza dubbio, una delle cose più difficili che abbia mai provato a fare, ma sta iniziando a funzionare.”

Alcuni hanno notato difficoltà iniziali che hanno portato a miglioramenti: “All’inizio è stato difficile, ma una volta vista la differenza nella mia capacità di dormire bene, ero motivata a seguire le istruzioni. Il terapeuta è stato di grande supporto e sono così contenta dei risultati!” Altri hanno espresso frustrazione per l’impegno richiesto, ma hanno ammesso che era ciò che portava al miglioramento: “È un po’ fastidioso doversi attenere a un programma, ma sta funzionando!” E ancora: “Dimostra solo che se ci metti tempo, lavoro e impegno, vedrai sicuramente i risultati, e VELOCEMENTE!”

Molti si sono detti soddisfatti della loro maggiore auto-efficacia nel gestire il sonno e di avere più strumenti e conoscenze: “Alcuni dei miei tentativi per dormire meglio erano in realtà contrastanti tra loro. La CBT-I era molto logica e i cambiamenti che ho fatto avevano un senso chiaro.” E un commento che mi ha colpito: “È incredibile quanta consapevolezza ho acquisito sul perché i miei schemi di sonno fossero così alterati. Ora vedo che c’erano molti più fattori che contribuivano all’insonnia su cui ora posso iniziare a lavorare con gli strumenti che ho acquisito.” L’impegno profuso nella CBT-I ha portato a sentimenti di empowerment e realizzazione.

CBT-I vs. Farmaci: un confronto necessario

È interessante notare che, mentre gli studi sui farmaci per il sonno riportano AEs più frequentemente (come sapore sgradevole, sonnolenza, nausea, dipendenza psicologica, sedazione diurna residua), quelli sulla CBT-I che lo fanno sembrano riportarne un numero relativamente piccolo. Inoltre, gli AEs associati ai farmaci possono durare più a lungo. Nel nostro studio, invece, c’erano meno AEs attribuiti alla CBT-I a fine trattamento rispetto a metà, suggerendo che la maggior parte degli AEs legati al trattamento si attenua con il progredire della terapia. Questo è coerente con l’attesa che la fase iniziale di restrizione del sonno possa causare un aumento temporaneo di fatica, mal di testa o ansia, sintomi che dovrebbero poi ridursi.

Limiti dello studio e prospettive future

Certo, il nostro studio ha delle limitazioni. Il campione non aveva una distribuzione equa di generi, etnie o tipi di cancro, quindi i risultati potrebbero non essere rappresentativi dell’intera popolazione oncologica. Potrebbe esserci stato un bias di autoselezione, dato che i partecipanti erano interessati a ricevere la CBT-I. Inoltre, il medico valutatore indipendente non era un esperto di CBT-I, il che potrebbe aver influenzato le attribuzioni. E, come detto, manca uno strumento psicometricamente valido per misurare gli AEs nella CBT-I. Infine, non abbiamo misurato sistematicamente l’aderenza al trattamento.

La ricerca futura dovrebbe esaminare gli AEs nella CBT-I usando campioni più bilanciati e aggiungendo una misura dell’aderenza al trattamento. Sarebbe utile anche capire meglio perché le donne o le persone con più ansia tendano a riportare più AEs: è una maggiore percezione, una maggiore propensione a segnalare, o un impatto differenziale del trattamento?

Quindi, la CBT-I è sicura? Il verdetto

Nonostante queste limitazioni, i risultati del nostro studio sono chiari: la CBT-I è un trattamento sicuro e ben tollerato dai sopravvissuti al cancro. La stragrande maggioranza dei partecipanti non ha sperimentato eventi avversi attribuibili al trattamento. Questo è un messaggio importantissimo!

C’è un disperato bisogno di una segnalazione adeguata e coerente degli eventi avversi nella CBT-I e in altre psicoterapie. La preoccupazione per gli eventi avversi non dovrebbe essere una barriera alla raccomandazione della CBT-I, ma i medici dovrebbero comunque prestare attenzione alla possibilità che si verifichino, specialmente all’inizio del trattamento. Parlarne apertamente con i pazienti, spiegare cosa aspettarsi, può fare una grande differenza.

Spero che questa “sbirciatina” nel nostro lavoro vi sia stata utile. Continuare a ricercare e migliorare le terapie per chi affronta le conseguenze del cancro è la nostra missione!

Fonte: Springer

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