Biopsie a Scatto: Ma Fanno Davvero le Bollicine? Il Segreto Nascosto della Cavitazione!
Ciao a tutti, appassionati di scienza e curiosi! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che, scommetto, non avreste mai immaginato potesse accadere durante una procedura medica piuttosto comune: la biopsia con ago a scatto. Avete presente quelle “pistole da biopsia” che i medici usano per prelevare campioncini di tessuto da analizzare? Ecco, sembra che questi aggeggi, nel loro scattare fulmineo, possano creare un fenomeno fisico affascinante e un po’ birichino: la cavitazione. Sì, avete capito bene, delle vere e proprie bollicine!
Ma cos’è questa cavitazione e perché dovrebbe interessarci?
Allora, partiamo dalle basi. La biopsia con ago (Core Needle Biopsy o CNB) è una tecnica super utile per ottenere campioni di tessuto mantenendo la loro architettura, così da poter fare diagnosi precise. Tra i vari metodi, quelli a scatto, caricati a molla, sono gettonatissimi. Immaginate un ago che viene “sparato” nel tessuto e poi si ferma di botto. Un bel trambusto, no? Eppure, finora, nessuno si era soffermato più di tanto sulla possibilità che questo movimento potesse generare cavitazione.
La cavitazione, in parole povere, è la formazione e rapida implosione di bolle di vapore in un liquido, causata da rapidi cambiamenti di pressione. Pensate a quando scuotete una bottiglia di acqua frizzante e poi la aprite: ecco, quello è un cugino alla lontana della cavitazione. In ambito biologico, queste implosioni possono avere effetti meccanici non da poco su cellule e tessuti. A volte utili, a volte meno.
Nel nostro studio, ci siamo messi lì, con un po’ di curiosità da scienziati un po’ matti, a guardare da vicino cosa succede. Abbiamo preso questi dispositivi da biopsia a scatto e li abbiamo “sparati” prima in acqua deionizzata e poi in un gel di agarosio, che è un po’ come una gelatina che mima i tessuti biologici. E per non perderci nulla, abbiamo usato telecamere ad alta velocità e idrofoni (microfoni subacquei, per capirci) per vedere e sentire queste famose bolle.
Cosa abbiamo scoperto? Bolle, bolle ovunque (o quasi)!
Beh, la prima sorpresa è stata che, sì, la cavitazione c’è! In acqua, abbiamo visto che gli aghi con un taglio laterale (side cut) erano i più “effervescenti”, ma anche quelli con taglio frontale (front cut) non si sono tirati indietro, mostrando una certa attività bollosa. È un po’ come se l’ago, muovendosi velocissimo e fermandosi di colpo, creasse delle zone di bassissima pressione dove l’acqua, zac, si trasforma in vapore e forma bollicine.
Abbiamo notato che la geometria dell’ago gioca un ruolo chiave. Gli aghi side cut, con la loro forma asimmetrica e quella specie di “finestrella” laterale per raccogliere il tessuto, tendono a muoversi non solo avanti e indietro, ma anche lateralmente, un po’ come una banderuola al vento. Questo movimento laterale, che può raggiungere velocità notevoli (parliamo di oltre 7 metri al secondo!), sembra essere il principale responsabile della formazione di bolle nella scia dell’ago, un fenomeno noto come cavitazione idrodinamica. Immaginate un ostacolo in un flusso d’acqua veloce: dietro si creano vortici e, se la velocità è sufficiente, bolle. Qui è l’ago che si muove nel fluido fermo, ma il principio è simile.
Le bolle più evidenti si formavano proprio attorno alle punte e ai bordi taglienti dell’ago. E non duravano tanto, eh! Parliamo di millisecondi, un battito di ciglia, prima di svanire nel nulla. Ma in quel breve lasso di tempo, c’erano eccome!

Con gli aghi front cut, la faccenda era un po’ diversa. Questi aghi sono più simmetrici e si muovono principalmente in linea retta. La cavitazione c’era, ma meno intensa e più breve. Sembrava legata più all’improvvisa accelerazione e all’arresto della cannula tagliente e al dispiegamento di una piccola pinza coassiale che hanno questi modelli. Meno “scia” di bolle, più un “puff” momentaneo attorno alla punta.
E nei “tessuti finti”? La gelatina fa la differenza!
Quando siamo passati al gel di agarosio, le cose si sono fatte interessanti. Abbiamo usato due concentrazioni: una più “molle” (0.3% peso/volume) e una più “soda” (1.0% p/v). Ebbene, nel gel più molle, le bolle si formavano ancora, in modo simile a quanto visto in acqua, anche se un po’ meno intense. Ma nel gel più denso e viscoso, puff! La cavitazione era praticamente sparita.
Questo ci dice un paio di cose. Primo, la viscosità e la rigidità del mezzo contano parecchio. Un tessuto più rigido sembra “resistere” meglio alla formazione delle bolle. Questo potrebbe significare che in tessuti molli e poco compatti del nostro corpo (pensate al polmone, al grasso, o a lesioni cistiche piene di liquido), la cavitazione potrebbe essere più probabile. Secondo, la maggiore densità e viscosità del gel rallentano l’ago, e una velocità minore significa meno probabilità di cavitazione idrodinamica.
Il “suono” delle bolle: un concerto di rumori e ronzii
Grazie agli idrofoni, abbiamo anche “ascoltato” cosa succedeva. Abbiamo registrato dei picchi di rumore a banda larga, un po’ come dei “clack” o “pop”, che corrispondevano ai momenti di maggiore attività delle bolle e anche agli impatti meccanici interni al dispositivo (metallo contro metallo, insomma). Il picco più forte, con l’ago side cut, ha raggiunto i 155 decibel (riferiti a 1 µPa) attorno ai 10 kHz! Un bel botto, considerando le dimensioni.
Oltre a questi rumori impulsivi, abbiamo notato delle frequenze più persistenti, una specie di “ronzio” attorno ai 10-30 kHz, che continuavano anche dopo che le bolle erano scomparse. Queste, molto probabilmente, sono le frequenze di risonanza proprie dell’ago, eccitate dal movimento brusco, un po’ come una corda di chitarra che vibra dopo essere stata pizzicata.
Ma allora, queste bolle sono un problema o un’opportunità?
Questa è la domanda da un milione di dollari! Da un lato, la cavitazione, se violenta, è nota per poter causare danni ai tessuti. Pensiamo a possibili micro-emorragie o, in contesti oncologici, al rischio (già noto) di disseminazione di cellule tumorali lungo il tragitto dell’ago (tumor cell seeding). Se la cavitazione contribuisse a questi effetti, sarebbe un aspetto da considerare attentamente per la sicurezza.
D’altro canto, però, non tutto il male vien per nuocere! Le bolle di cavitazione sono ottimi riflettori per gli ultrasuoni. Questo significa che la loro presenza potrebbe migliorare l’ecogenicità, cioè la visibilità dell’ago e del sito di campionamento durante le biopsie guidate da ecografia. Immaginate di poter vedere con più chiarezza dove state prelevando il tessuto: sarebbe un bell’aiuto per migliorare la precisione e magari ridurre il numero di prelievi necessari.

Quindi, cosa ci portiamo a casa da questa “indagine bollosa”?
- I dispositivi da biopsia a scatto possono indurre cavitazione, specialmente in mezzi a bassa viscosità come l’acqua e gel poco concentrati.
- Gli aghi side cut sembrano più inclini a generare cavitazione a causa del loro movimento laterale.
- La rigidità e la viscosità del tessuto influenzano la probabilità di cavitazione.
- Questo fenomeno potrebbe avere implicazioni sia per la sicurezza (potenziali danni tissutali) sia per lo sviluppo di nuove applicazioni (migliore visualizzazione ecografica).
Certo, questo è solo l’inizio. Ora la palla passa a ulteriori ricerche per capire bene gli effetti di queste bolle in vivo, sui tessuti reali, e per vedere se si può “pilotare” il fenomeno, magari riprogettando gli aghi per minimizzare la cavitazione indesiderata o, al contrario, per sfruttarla a nostro vantaggio.
Insomma, anche in una procedura apparentemente semplice come una biopsia a scatto, c’è un mondo di fisica affascinante e inaspettata da scoprire. E chissà quali altre sorprese ci riserva il microcosmo del corpo umano e degli strumenti che usiamo per esplorarlo!
Fonte: Springer
