Mio Figlio Ha Bisogno di Me, Ma Io? La Guida Essenziale per Genitori di Bambini Autistici (e per Chi Li Supporta)
Ammettiamolo, quando si parla di autismo e di supporto precoce, il faro è quasi sempre puntato sui progressi dei nostri figli: linguaggio, capacità cognitive, comportamento adattivo. Ed è giusto, ci mancherebbe! Ma c’è un universo di emozioni, sfide e bisogni che riguarda noi, i caregiver, e che ha un impatto enorme non solo sul benessere dei nostri bambini, ma su tutta la famiglia. Recentemente mi sono imbattuta in uno studio illuminante che ha dato voce proprio a noi genitori, e credetemi, c’è tanto su cui riflettere.
Lo studio, intitolato “What My Son Needs Is Me. What I Need Is… Guidance”, ha intervistato 19 caregiver come me e te, persone che ogni giorno si rimboccano le maniche per i propri figli, diagnosticati o meno, ma che sentono essere nello spettro autistico. L’obiettivo? Capire cosa per noi ha davvero valore nei supporti precoci, al di là dei freddi numeri e dei grafici di crescita.
Il Sogno di Ogni Genitore: Un Futuro Sereno per i Nostri Figli
Una cosa è emersa chiara e forte: tutti noi desideriamo per i nostri figli un futuro in cui siano felici, sicuri e accettati per quello che sono. Non si tratta tanto di performance accademiche stellari o di “ridurre i sintomi” dell’autismo. No, il cuore della questione è il loro benessere psicosociale. Vogliamo che si sentano inclusi, che appartengano, che non debbano fingere di essere qualcun altro per essere amati. Alcuni genitori, specialmente quelli che sono a loro volta autistici, portano con sé il peso di esperienze infantili negative e sperano che i supporti possano proteggere i figli da quel tipo di dolore.
C’è anche la paura, quella che ti stringe lo stomaco la notte, per la loro sicurezza fisica, soprattutto se i comportamenti impulsivi sono parte del quadro. E poi c’è il desiderio, semplicissimo e potentissimo, che abbiano le stesse opportunità dei loro coetanei non autistici, che possano frequentare la scuola nel loro quartiere, con i bambini della porta accanto. L’indipendenza futura è un altro grande traguardo a cui aspiriamo, anche quando sono ancora piccolissimi. Vogliamo che sappiano gestire le loro emozioni, affrontare i problemi, insomma, che se la cavino anche quando noi non ci saremo più.
La Corsa a Ostacoli Quotidiana: Risorse Limitate e Sacrifici Infiniti
Siamo pronti a fare qualsiasi cosa, e siamo immensamente grati per aiuti come il NDIS (il sistema australiano di assicurazione per la disabilità, ma il concetto è universale), che copre i costi delle terapie. Ma, diciamocelo francamente, le risorse non sono infinite. E non parlo solo di soldi. Parlo di tempo, quella risorsa perennemente scarsa che ci costringe a fare i salti mortali tra terapie, lavoro (spesso ridotto o abbandonato), e la gestione della casa e degli altri figli. “La casa cade a pezzi perché non abbiamo mai un momento”, ha confessato un genitore con due figli autistici. È una frase che risuona, vero?
E poi c’è il carico mentale: navigare il sistema dei supporti, coordinare gli appuntamenti, imparare e applicare strategie terapeutiche a casa. È estenuante. Anche chi lavora nel settore si sente sopraffatto. Immaginate cosa possa significare per un genitore neurodivergente affrontare tutta questa burocrazia, le telefonate, le ricerche. È come chiedere a un pesce di scalare una montagna. Spesso, i supporti si concentrano sul bambino, dimenticando la nostra salute mentale. Ma come ha detto una mamma: “Io sono la sua co-regolazione. Se non sto bene io, come posso aiutarla?“.
Le scelte difficili sono all’ordine del giorno:
- Chi dei figli portare a logopedia se il terapista ha disponibilità limitata?
- Rinunciare alla propria salute, rimandando visite mediche essenziali?
- Vedere le relazioni di coppia sgretolarsi sotto il peso dello stress?
- Sentirsi in colpa perché si dedica più tempo al figlio autistico che ai fratelli?
Questi sono i macigni che ci portiamo dentro, spesso in silenzio.

Non Solo Terapie: Cosa Rende un Supporto Davvero Efficace (e Umano)
Se gli obiettivi a lungo termine sono chiari, quelli a medio termine, legati alle terapie precoci, lo sono un po’ meno. Più che obiettivi specifici da raggiungere, quello che cerchiamo è un supporto che sia davvero utile, qui e ora. E cosa significa “utile”?
Innanzitutto, adattabilità. Le esigenze cambiano, i bambini crescono, le situazioni familiari evolvono. Avere terapisti che capiscono questo e offrono flessibilità (come la possibilità di sospendere e riprendere le sessioni) è oro colato. Alcuni genitori preferiscono addirittura supporti non eccessivamente orientati agli obiettivi, per non sentirsi ingabbiati.
Fondamentale è che il supporto sia accettabile per il bambino. Se nostro figlio ama andare a terapia, se ha un buon rapporto con il professionista, siamo già a metà dell’opera. “Il mio logopedista mi dà una prospettiva positiva”, ha raccontato una mamma, “e vedere il legame che mio figlio ha con lei… lo adora!”.
Poi c’è l’approccio neuroaffermativo. Sempre più genitori cercano professionisti che usino un linguaggio positivo, che valorizzino la neurodiversità del bambino invece di cercare di “normalizzarlo”. Si tratta di modificare l’ambiente, non il bambino, con un focus sul suo benessere. “Le crisi non sono inevitabili”, ha spiegato un genitore, “sono un bambino autistico in difficoltà. Se soddisfiamo i suoi bisogni, riduciamo la sua sofferenza”.
A volte, il supporto pratico nella vita quotidiana, come quello offerto da un assistente domiciliare, vale più di mille terapie mirate a sviluppare competenze specifiche. “Onestamente, a volte vorrei solo qualcuno che mi aiuti a fare la mamma”, è la confessione disarmante di una partecipante. Avere un paio di mani in più può significare poter andare a un evento tutti insieme come famiglia, o semplicemente avere il tempo di costruire una relazione più serena con i propri figli.
Infine, ma non meno importante, il supporto emotivo autentico. Sentire che un professionista è sinceramente lì per te, che capisce le tue fatiche, che è personalmente coinvolto nel benessere di tuo figlio, fa una differenza enorme. Quando un terapista si offre di badare ai tuoi figli perché sa che sei sola e sopraffatta, e sai che lo dice sul serio… beh, quello è un aiuto che non ha prezzo. Condivide il carico emotivo, e questo è potentissimo.
Incertezza e Bisogno di Fiducia: Navigare nel Mare dei Servizi
L’incertezza è una compagna costante. Incertezza sul futuro del bambino, su quali supporti saranno necessari, sulla loro disponibilità. “Avrò bisogno di uno psicologo quando inizierà la scuola? Devo mettermi in lista d’attesa ora?”. E poi c’è l’incertezza legata al sistema stesso, come il NDIS: informazioni contraddittorie, regole poco chiare. “Cosa posso richiedere? È un incubo, e io sono una che queste cose le mastica!”.
Questa incertezza ci fa sentire vulnerabili e non in controllo. A volte si ha la sensazione che trovare un buon terapista sia solo questione di fortuna. E quando si incontrano operatori poco professionali, o sistemi che sembrano ingiusti o addirittura “corrotti”, la fiducia crolla. Ci sono storie di professionisti che sembrano più interessati a prosciugare i fondi del piano NDIS con report inutili che a fornire un aiuto concreto. O regole applicate senza un briciolo di buon senso centrato sulla famiglia.
La mancanza di una guida chiara, soprattutto per chi è nuovo a questo mondo o proviene da contesti culturali dove l’autismo è ancora stigmatizzato, può essere devastante. Si rischia di perdere tempo prezioso e risorse, o di non accedere affatto ai supporti.

Qualche Riflessione Finale (e un Sospiro di Sollievo)
Questo studio mi ha fatto sentire meno sola, e spero faccia lo stesso effetto a voi. Ha messo nero su bianco quello che molte di noi vivono ogni giorno. Vogliamo il meglio per i nostri figli, ma per poterglielo dare, abbiamo bisogno di supporti che siano autentici, centrati sull’intera famiglia, pratici e flessibili. Supporti che convalidino le nostre esperienze, che alleggeriscano il nostro carico e che si adattino alle nostre esigenze mutevoli.
La crescente attenzione verso pratiche neuroaffermative è un segnale positivo. Ma c’è ancora tanta strada da fare perché i sistemi di supporto comprendano veramente che aiutare noi caregiver significa aiutare direttamente i nostri figli. Forse, con una maggiore accettazione sociale della neurodiversità, la pressione per interventi precoci “correttivi” diminuirà, lasciando spazio a un supporto più focalizzato sui bisogni pratici delle famiglie.
Una cosa è certa: non dovrebbe essere una lotteria trovare il supporto giusto. Abbiamo bisogno di coerenza, trasparenza e, soprattutto, di sentirci ascoltate e guidate. Perché, come dice il titolo dello studio, “Mio figlio ha bisogno di me. E io… io ho bisogno di una guida”.
Fonte: Springer
