Carcinoma Surrenalico Avanzato: La Chirurgia Estesa R0 Cambia Davvero le Carte in Tavola?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento tanto complesso quanto affascinante nel campo dell’oncologia chirurgica: il carcinoma corticosurrenalico, o ACC (Adrenocortical Carcinoma). Si tratta di un tumore raro, colpisce da 0.7 a 2 persone per milione ogni anno, ma non lasciatevi ingannare dai numeri: è una bestia nera, il secondo tumore endocrino più aggressivo dopo quello indifferenziato della tiroide. La prognosi, purtroppo, spesso non è delle migliori e dipende moltissimo dallo stadio della malattia al momento della diagnosi.
La Sfida dello Stadio III
Quando parliamo di stadi, usiamo la classificazione ENSAT. Se un tumore è piccolo e confinato alla ghiandola surrenale (Stadio I, S-I), la sopravvivenza a 5 anni è intorno all’82%. Già allo Stadio II (S-II), con tumori più grandi ma ancora localizzati, scende al 61%. Ma è allo Stadio III (S-III) che le cose si complicano davvero. Qui il tumore ha iniziato a farsi strada: può aver invaso i tessuti circostanti, i linfonodi regionali, o addirittura formato un trombo neoplastico nella vena renale o nella vena cava inferiore. In questi casi, la sopravvivenza a 5 anni si attesta intorno al 50%. Nonostante i tentativi di standardizzare le terapie post-operatorie (adiuvanti), la prognosi non è migliorata significativamente negli ultimi decenni. Perché? Principalmente per l’alta tendenza di questo tumore a recidivare, sia localmente che a distanza. E una recidiva, come potete immaginare, impatta pesantemente sulla sopravvivenza e sulla qualità di vita.
L’Arma Principale: La Chirurgia Radicale (R0)
Di fronte a opzioni terapeutiche ancora limitate – la rarità della malattia non aiuta a sviluppare nuove strategie velocemente – l’unica vera chance di cura per i pazienti senza metastasi a distanza è la chirurgia. Ma non una chirurgia qualsiasi. Parliamo di una resezione completa del tumore primario, definita R0, che significa rimuovere tutto il tumore visibile e ottenere margini di resezione microscopicamente liberi da cellule neoplastiche. È fondamentale evitare di rompere la capsula tumorale o disperdere cellule maligne durante l’intervento. Una resezione incompleta (R1, residuo microscopico; R2, residuo macroscopico) compromette drasticamente la sopravvivenza. L’approccio standard prevede la rimozione “in blocco” (en bloc) del tumore insieme al grasso perisurrenalico. Se c’è il sospetto o l’evidenza di infiltrazione, bisogna andare oltre, rimuovendo anche organi o strutture adiacenti. Questo è ciò che chiamiamo resezione estesa.

Inoltre, le linee guida ESES/ENSAT raccomandano la linfoadenectomia (LND), cioè la rimozione dei linfonodi regionali. Questo ha un duplice scopo: terapeutico, se i linfonodi sono già coinvolti, e di stadiazione, per capire l’esatta estensione della malattia. Un coinvolgimento linfonodale non diagnosticato può portare a sottostimare lo stadio e, quindi, a un trattamento inadeguato.
Il Nostro Studio: Resezioni Estese vs Standard
Nel nostro centro di riferimento nazionale per la chirurgia endocrina, abbiamo voluto vederci chiaro. Ci siamo chiesti: questi interventi così estesi, necessari per ottenere una resezione R0 nei pazienti S-III, offrono davvero un beneficio oncologico paragonabile a quello dei pazienti con malattia meno avanzata (S-I/II) operati con interventi standard? E a quale prezzo in termini di complicanze? Abbiamo quindi analizzato retrospettivamente i dati di 48 pazienti operati per ACC tra il 1997 e il 2024, tutti con resezione R0. Di questi, 42 erano S-I/II e 6 erano S-III. I 6 pazienti S-III avevano tutti subito resezioni multiviscerali en bloc: nefrectomie totali, trombectomia della vena renale, spleno-pancreasectomia associata a nefrectomia, emicolectomia sinistra e omentectomia, resezione epatica estesa… insomma, interventi complessi, tutti eseguiti con approccio chirurgico tradizionale “aperto”. Nei pazienti S-I/II, invece, circa la metà era stata programmata per un approccio mininvasivo (laparoscopico o robotico), anche se in 5 casi è stato necessario convertire all’approccio aperto durante l’intervento.
Risultati Sorprendenti: Sopravvivenza e Recidive
Ebbene, i risultati sono stati estremamente interessanti.
- Recidive Locoregionali: Non abbiamo trovato differenze significative tra i due gruppi. Il 19% dei pazienti S-I/II ha avuto una recidiva locale, contro il 33.3% dei pazienti S-III (p=0.420). Una differenza numerica c’è, ma statisticamente non rilevante nel nostro campione.
- Recidive a Distanza: Qui abbiamo notato una tendenza, anche se non statisticamente significativa, verso un maggior numero di recidive a distanza nel gruppo S-III (66.7% vs 28.6% nel gruppo S-I/II; p=0.064). Questo potrebbe riflettere una maggiore aggressività biologica intrinseca della malattia in stadio avanzato.
- Sopravvivenza: Le curve di sopravvivenza libera da malattia (DFS) e di sopravvivenza globale (OS) sono risultate comparabili tra i due gruppi (p=0.255 per DFS, p=0.459 per OS). Nello specifico, la DFS a 5 anni era del 49.6% (S-I/II) vs 47.9% (S-III), e l’OS a 5 anni era del 69.2% (S-I/II) vs 69.6% (S-III). Praticamente identiche!
- Complicanze Postoperatorie: Altro dato fondamentale: il tasso di complicanze postoperatorie non è stato significativamente diverso tra i due gruppi (21.4% in S-I/II vs 16.7% in S-III; p=0.788), e la maggior parte erano complicanze minori. Solo un paziente S-I/II ha avuto una complicanza maggiore che ha richiesto un reintervento.

Questi risultati suggeriscono fortemente che, quando si riesce a ottenere una resezione R0, anche attraverso interventi chirurgici estesi e complessi per malattia localmente avanzata (S-III), i risultati oncologici a lungo termine possono essere simili a quelli ottenuti in pazienti con malattia in stadio più precoce (S-I/II), e questo senza un aumento significativo del rischio chirurgico.
Fattori Associati alla Recidiva e Considerazioni Finali
Analizzando i fattori che potevano influenzare la recidiva locoregionale, abbiamo visto che i tumori iperfunzionanti (cioè quelli che producono ormoni in eccesso) e l’aver ricevuto chemioterapia adiuvante erano associati a un rischio maggiore. Quest’ultimo dato può sembrare paradossale, ma probabilmente riflette il fatto che la chemioterapia viene proposta ai pazienti considerati a rischio più alto fin dall’inizio, quelli con malattia biologicamente più aggressiva, che purtroppo risponde poco anche ai trattamenti sistemici. Questo potrebbe anche spiegare la tendenza a maggiori recidive a distanza nel gruppo S-III.
Certo, il nostro studio ha dei limiti: è retrospettivo, monocentrico e il numero di pazienti S-III è piccolo (data la rarità della malattia in questo stadio specifico trattato con intento curativo). Tuttavia, la forza sta nell’esperienza del nostro centro ad alto volume (circa 90 surrenectomie all’anno) e nell’approccio multidisciplinare. La letteratura conferma che i risultati sono migliori nei centri ad alto volume e con grande esperienza.
In conclusione, il messaggio che emerge dalla nostra esperienza è potente: anche di fronte a un carcinoma surrenalico localmente avanzato (S-III), una chirurgia R0 aggressiva ed estesa, eseguita in centri specializzati, sembra essere la chiave per ottenere risultati oncologici paragonabili a quelli degli stadi più precoci, senza pagare un prezzo inaccettabile in termini di complicanze. È la dimostrazione che la radicalità chirurgica rimane il fattore prognostico più importante e la nostra migliore arma contro questo tumore sfuggente. Ovviamente, servono studi più ampi per confermare questi dati, ma la strada sembra tracciata.
Fonte: Springer
