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Capivasertib e Fulvestrant: Una Nuova Speranza per il Cancro al Seno Avanzato dalla Cina?

Ciao a tutti, appassionati di scienza e progressi medici! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi ha davvero colpito, una novità che arriva direttamente dal fronte della lotta contro il cancro al seno, in particolare per quelle forme definite HR-positivo/HER2-negativo in stadio avanzato. Immaginate la scena: siete lì, avete già provato una terapia con inibitori dell’aromatasi, magari anche con gli inibitori di CDK4/6, ma la malattia, purtroppo, continua la sua marcia. È uno scenario che, ahimè, molte donne conoscono. Ma la ricerca non si ferma mai, ed è proprio qui che entra in gioco lo studio CAPItello-291, e più specificamente, i dati entusiasmanti provenienti da una coorte estesa di pazienti cinesi.

Un problema globale, una risposta mirata

Prima di tuffarci nei dettagli, facciamo un passo indietro. Il cancro al seno è una brutta bestia, e in Cina, come in molte altre parti del mondo, i numeri sono in aumento. Pensate che nel 2020, è stato il tumore più diagnosticato nelle donne cinesi, con quasi 420.000 nuovi casi e oltre 117.000 decessi. Una fetta enorme, che rappresenta circa il 18,4% dei casi globali e il 17,1% dei decessi mondiali. La forma HR-positivo/HER2-negativo è la più comune, e sebbene le terapie endocrine in combinazione con inibitori di CDK4/6 abbiano portato benefici significativi come trattamento di prima linea, la maggior parte delle pazienti, prima o poi, sperimenta una progressione della malattia. E dopo? Beh, dopo le opzioni standard non sono sempre così chiare o efficaci, con la monoterapia con fulvestrant che spesso offre una sopravvivenza libera da progressione (PFS) di pochi mesi.

Qui entra in scena il capivasertib. Questo farmaco è un inibitore orale di AKT, un enzima cruciale nella via di segnalazione PI3K/AKT, che è come un interruttore generale per la sopravvivenza e il metabolismo delle cellule. Questa via è spesso “impazzita” nei tumori, inclusi circa la metà dei tumori al seno HR-positivo/HER2-negativo, a causa di mutazioni in geni come PIK3CA, AKT1 o alterazioni in PTEN. Il capivasertib, in pratica, cerca di spegnere questo interruttore iperattivo.

Lo studio CAPItello-291 e la coorte cinese: cosa abbiamo scoperto?

Lo studio globale di fase 3 CAPItello-291 aveva già dimostrato che l’aggiunta di capivasertib a fulvestrant migliorava significativamente la PFS rispetto al placebo più fulvestrant. Ora, i ricercatori hanno analizzato in modo specifico i dati di una coorte cinese di 134 pazienti (24 dallo studio globale e 110 da uno studio di estensione dedicato). E i risultati, pubblicati su Nature Communications, sono davvero promettenti!

Nella popolazione generale della coorte cinese, la combinazione capivasertib-fulvestrant ha mostrato un beneficio clinicamente significativo nella PFS: una mediana di 6,9 mesi contro i soli 2,8 mesi del gruppo placebo-fulvestrant. Un bel salto, non trovate? L’hazard ratio (HR) era di 0,51, il che significa, in soldoni, una riduzione del rischio di progressione o morte di circa il 49%.

Ma la vera chicca, o almeno una delle più attese, riguardava le pazienti con tumori che presentavano alterazioni nei geni PIK3CA/AKT1/PTEN. In questo sottogruppo (46 pazienti), la PFS mediana è passata da 1,9 mesi con placebo-fulvestrant a 5,7 mesi con capivasertib-fulvestrant (HR 0,41). Anche qui, un miglioramento notevole!

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E non è finita. Sorprendentemente, un beneficio in termini di PFS è stato osservato anche nelle pazienti i cui tumori non presentavano queste alterazioni genetiche (PIK3CA/AKT1/PTEN-non alterati, 68 pazienti con risultati NGS confermati): 9,2 mesi con la combinazione attiva contro 2,7 mesi con il placebo (HR 0,38)! Questo è particolarmente interessante perché suggerisce che il capivasertib potrebbe avere un ruolo anche quando la via PI3K/AKT non è geneticamente iperattivata in modo “canonico”. Forse ci sono altri meccanismi di attivazione della via, o magari l’inibizione simultanea di AKT e del recettore degli estrogeni (con fulvestrant) ha un effetto sinergico più ampio. Sicuramente un’area da esplorare ulteriormente!

E gli effetti collaterali? Un profilo gestibile

Ovviamente, quando si parla di terapie oncologiche, la domanda sorge spontanea: e la tossicità? Beh, il profilo di sicurezza di capivasertib-fulvestrant nella coorte cinese è risultato gestibile e in linea con quanto osservato nella popolazione globale. Gli eventi avversi più comuni con la combinazione attiva sono stati:

  • Diarrea (60,6% vs 11,3% con placebo-fulvestrant)
  • Iperglicemia (57,7% vs 17,7%)
  • Rash cutaneo (50,7% vs 9,7%)

La maggior parte di questi eventi era di basso grado. Gli eventi avversi di grado 3 o superiore più frequenti nel gruppo capivasertib sono stati rash (15,5%), diarrea (7,0%) e ipokaliemia (5,6%). È importante notare che solo l’11,3% delle pazienti ha dovuto interrompere il trattamento con capivasertib-fulvestrant a causa di eventi avversi, contro il 3,2% nel gruppo placebo. L’iperglicemia, sebbene più riportata nella coorte cinese rispetto a quella globale, ha portato all’interruzione del trattamento solo nell’1,4% dei casi nel gruppo capivasertib, e nessuna riduzione di dose è stata necessaria per questo specifico effetto collaterale.

Un aspetto interessante è che tassi più elevati di alcuni eventi avversi basati su esami di laboratorio (come anemia, ipokaliemia, ipertrigliceridemia) sono stati riportati in entrambi i bracci di trattamento della coorte cinese rispetto alla popolazione globale. Gli autori suggeriscono che questo potrebbe essere dovuto in parte alle abitudini locali di segnalazione, ma è un dato da tenere in considerazione. Complessivamente, però, la qualità della vita, misurata con questionari specifici (EORTC QLQ-C30), è stata mantenuta e simile tra i due bracci di trattamento.

Cosa ci portiamo a casa da questo studio?

Beh, per me, questi dati sulla coorte cinese sono una conferma importante e un passo avanti. Dimostrano che il beneficio della combinazione capivasertib-fulvestrant è consistente anche in questa popolazione specifica, che presentava alcune differenze basali rispetto alla coorte globale (ad esempio, un minor uso precedente di inibitori CDK4/6 e un maggior uso di chemioterapia per la malattia avanzata, riflettendo la pratica clinica in Cina al momento dello studio).

Il fatto che il beneficio si estenda anche a pazienti senza le classiche alterazioni PIK3CA/AKT1/PTEN è particolarmente intrigante e merita ulteriori indagini per capire meglio chi potrebbe trarre maggior vantaggio da questa terapia. Potrebbero esserci altri biomarcatori o meccanismi in gioco.

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In conclusione, il profilo beneficio-rischio di capivasertib più fulvestrant sembra favorevole per le pazienti cinesi con cancro al seno avanzato HR-positivo/HER2-negativo la cui malattia è progredita durante o dopo una terapia con inibitori dell’aromatasi. Questa combinazione offre una potenziale, nuova opzione terapeutica in un setting dove c’è un forte bisogno insoddisfatto. Certo, come sempre nella scienza, ogni risposta apre nuove domande, e non vedo l’ora di vedere come si evolverà la ricerca in questo campo, specialmente per capire meglio il ruolo di questa combinazione nelle pazienti con tumori non alterati nei geni “soliti noti”. La strada è ancora lunga, ma ogni passo come questo ci avvicina a terapie sempre più personalizzate ed efficaci. E questa, amici miei, è una notizia che scalda il cuore!

Fonte: Springer

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