Cancro al Seno Metastatico: Parola agli Esperti del Sud Italia – Cosa Dobbiamo Migliorare?
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio un po’ particolare, nel cuore di una sfida che tocca tante, troppe donne: il cancro al seno metastatico (mBC). Sapete, questa malattia è un vero camaleonte: può cambiare pelle, o meglio, le sue caratteristiche recettoriali, man mano che avanza, rendendo le cure un percorso a ostacoli. Immaginate di avere una mappa e, all’improvviso, il territorio cambia! Ecco, è un po’ quello che succede.
Proprio per cercare di fare più chiarezza e, soprattutto, per ottimizzare la gestione di questa patologia, un gruppo di oncologi e patologi esperti provenienti da Basilicata, Campania e Puglia si è riunito. L’obiettivo? Capire come stanno davvero le cose sul campo, direttamente dalla voce di chi lavora ogni giorno nei centri oncologici. E come l’hanno fatto? Con un sondaggio bello tosto di 17 domande, per tastare il polso sulla percezione dell’utilità della biopsia delle metastasi, sui tempi giusti per farla (sia quella tissutale che quella liquida, più avanti vi spiego meglio!), sulla scelta dei geni da analizzare e sull’importanza del lavoro di squadra multidisciplinare.
Pensate, ben 19 centri hanno risposto all’appello! E la prima cosa che salta all’occhio è che la maggior parte di questi centri segue più di 150 pazienti all’anno e, udite udite, il 95% ha un reparto di anatomia patologica interno. Mica male, no?
L’Importanza della Biopsia: Un Consenso Diffuso ma con Zone d’Ombra
Una delle prime cose emerse con forza è che la biopsia tissutale della metastasi è considerata praticamente un must dalla stragrande maggioranza degli intervistati. Generalmente, si fa quando la malattia metastatica fa la sua comparsa per la prima volta. Questo è fondamentale, perché come vi dicevo, il tumore può cambiare faccia rispetto a quello primario. Immaginate che il tumore primario fosse sensibile a una certa terapia ormonale (HR+) e poi la metastasi non lo sia più, o viceversa! Capire queste “conversioni” è cruciale per scegliere la terapia giusta.
Le linee guida, sia nazionali che internazionali, battono molto su questo tasto: la ri-biopsia serve non solo per confermare che si tratti effettivamente di una metastasi e non di un altro problema, ma soprattutto per riverificare il profilo recettoriale (ER/PR/HER2). Questo è particolarmente vero per i tumori triplo negativi (TNBC) e per quelli HR+/HER2-.
Tuttavia, c’è un “ma”. Quando si è chiesto in quali sottotipi tumorali si esegue più spesso la biopsia della metastasi, le risposte sono state un po’ divise: il 47% la fa in tutte le forme luminali, il 37% nel triplo negativo e solo il 16% nelle forme HER2+. E qui casca un po’ l’asino, perché sappiamo che anche lo stato di HER2 può cambiare! Anzi, una grossa meta-analisi ha mostrato che la conversione da HER2 positivo a negativo avviene nel 22.5% dei casi, e da negativo a positivo nel 9.5%. Quindi, forse, su questo fronte c’è da riflettere e migliorare.
Un altro dato interessante riguarda i siti metastatici più frequentemente biopsiati: fegato, polmone e tessuti molli la fanno da padrone (89% ciascuno), mentre osso e cervello molto meno (entrambi al 6%). Questo potrebbe dipendere dal fatto che la biopsia ossea è tecnicamente più complessa e il processo di decalcificazione può alterare la valutazione del fenotipo tumorale.

Biopsia Liquida: Una Promessa Ancora da Mantenere Pienamente
Ok, la biopsia tissutale è importante, ma è pur sempre una procedura invasiva. Ed è qui che entra in gioco la biopsia liquida. Di che si tratta? In pratica, si cerca il DNA tumorale circolante (ctDNA) con un semplice prelievo di sangue. Una specie di “istantanea” dell’evoluzione della malattia, meno stressante per la paziente. Può aiutarci a identificare mutazioni specifiche (come quelle di PIK3CA, ERBB2, BRCA1/2, ESR1, MSI-H, fusioni NTRK) che possono guidare la scelta di terapie mirate.
Il sondaggio, però, ci dice che la biopsia liquida non è ancora pane quotidiano per tutti i centri. Il 22% la usa regolarmente, il 56% “a volte” e un altro 22% mai. Questo conferma che la sua adozione dipende molto dalle tecnologie disponibili in ogni centro. Non può sostituire del tutto la biopsia tissutale, perché non ci dà informazioni sulla struttura dei recettori, ma solo sulle alterazioni genomiche.
Quando si è chiesto quali geni fossero considerati essenziali da studiare nel ctDNA, PIK3CA ha fatto il pieno (100%), seguito da ESR1 (89%). Questo è un dato positivo, visto che stanno arrivando farmaci specifici per le mutazioni di questi geni. Sorprendentemente, però, l’analisi di BRCA1/2 è stata indicata solo dal 44%. Forse c’è ancora la percezione che il test BRCA sia solo per predire il rischio di ammalarsi, e non un biomarcatore utile per la terapia nel setting metastatico, nonostante le evidenze dicano il contrario!
Il Lavoro di Squadra: L’Approccio Multidisciplinare è Davvero la Norma?
Parliamo ora di un altro tasto dolente, o meglio, un’area con ampi margini di miglioramento: il team multidisciplinare (MDT). In teoria, tutti d’accordo che sia fondamentale. Ma la pratica? Beh, il sondaggio rivela che solo nel 44% dei casi i pazienti con mBC vengono discussi collegialmente in modo sistematico. Nel 50% dei casi, questo avviene solo per “casi selezionati”. Questo significa che, sebbene ci sia comunicazione al momento della diagnosi o a ogni progressione, il coinvolgimento costante di oncologi, radiologi, patologi e altri specialisti non è ancora una prassi consolidata ovunque. Dobbiamo spingere di più su questo fronte, perché un MDT ben organizzato porta a benefici significativi in termini di sopravvivenza!
Una nota positiva: l’89% degli oncologi ha dichiarato di informare il patologo sullo stato recettoriale del tumore primario. Questo scambio di informazioni è vitale per una diagnosi definitiva e una stadiazione accurata.
Comunicazione Medico-Paziente: Quanto Pesa la Voce della Donna?
E la paziente in tutto questo? Quanto conta la sua preferenza, ad esempio, sulla decisione di fare una biopsia della metastasi? Secondo il 44% degli intervistati “molto”, per il 39% “poco” e per il 17% “nulla”. Un dato che fa riflettere.
E il tempo dedicato a spiegare rischi e benefici? Il 61% dei medici dedica in media 11-20 minuti. Sembra tanto, ma se pensiamo che una visita ambulatoriale dura spesso solo 15 minuti, e c’è anche il tempo per il consenso informato da considerare… forse è una risposta un po’ teorica. La comunicazione è un’arte complessa e cruciale, e sembra esserci una notevole eterogeneità nella sua gestione.

Linee Guida e PDTA: Un Percorso Sostenibile?
La maggior parte dei centri (78%) ritiene che la gestione del mBC secondo le attuali linee guida e i Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) sia fattibile nella pratica quotidiana. Questo è un buon segnale. Tuttavia, il 17% risponde “a volte” e il 5% “no”. Emergono difficoltà, a volte, nel ricevere in tempi rapidi i referti di patologia, radiologia e biologia molecolare, o l’indisponibilità della biopsia liquida. Sembra che gli ostacoli siano più organizzativi che strettamente clinici.
Cosa Abbiamo Imparato e Dove Andiamo?
Questo progetto ci ha dato una fotografia preziosa della gestione del cancro al seno metastatico in queste tre regioni del Sud Italia. C’è una crescente consapevolezza del valore diagnostico della ri-biopsia, e questo è importantissimo. Ma ci sono anche aree grigie:
- La biopsia delle metastasi nelle pazienti HER2+ è sotto le aspettative, nonostante il rischio di cambiamento di stato.
- La biopsia liquida, pur con il suo valore indiscusso, non è routine ovunque, e il test per BRCA1/2 è sottoutilizzato.
- La gestione multidisciplinare, sebbene riconosciuta come fondamentale, non è ancora una pratica costante e strutturata in tutti i centri per l’intero percorso della malattia.
- La comunicazione con la paziente e il tempo dedicato necessitano di una rivalutazione.
Il messaggio forte che emerge è che la maggior parte dei centri è in grado di aderire alle linee guida, ma ci sono ostacoli, spesso legati a questioni organizzative o di risorse (mancanza di attrezzature adeguate, per esempio). È interessante notare che la volontà di trovare soluzioni operative sembra indipendente dalla capacità specifica dei centri di garantire i test bioptici, cercando percorsi alternativi quando necessario.
Certo, questo studio ha dei limiti: alcune domande forse erano troppo sintetiche, i dati sono descrittivi e l’area geografica è ristretta. Ma è una base di partenza importantissima! Potrebbe essere il primo passo per estendere l’indagine ad altre aree italiane e, perché no, per sviluppare modelli basati sull’intelligenza artificiale (come reti neurali e random forest) per migliorare la classificazione della malattia e l’accuratezza diagnostica.
In conclusione, c’è un forte impegno verso una cura personalizzata e basata sulle evidenze. Le sfide restano, ma identificandole chiaramente, come ha fatto questo panel di esperti, possiamo lavorare per ottimizzare le pratiche attraverso una migliore allocazione delle risorse, una comunicazione più efficace e un uso più capillare del profilo molecolare. La strada è ancora lunga, ma la direzione è quella giusta!
Fonte: Springer
