Visualizzazione microscopica ad alta risoluzione di cellule T CD8+ (gialle, luminose) che infiltrano attivamente un tumore gastrico (cellule più grandi, ciano), con alcune cellule T che esprimono chiaramente il marcatore T-bet (nucleo verde). L'immagine suggerisce interazione e attività immunitaria nel microambiente tumorale. Obiettivo macro 100mm, illuminazione controllata per fluorescenza, alta definizione, dettagli cellulari precisi.

Cancro Gastrico MSS: Ecco Come i Linfociti T-bet+ CD8+ Accendono l’Immunoterapia

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di una sfida enorme nel mondo dell’oncologia, quella del cancro gastrico (GC), e di come, nel mio campo di ricerca, stiamo cercando di accendere una nuova speranza, soprattutto per quei pazienti che finora sembravano avere meno frecce al loro arco.

Il cancro gastrico è un osso duro, una delle principali cause di morte per cancro a livello globale. Per la maggior parte dei casi avanzati, la chemioterapia è ancora la prima linea di trattamento, ma diciamocelo, i risultati spesso lasciano l’amaro in bocca, con una sopravvivenza media che fatica a superare l’anno. Negli ultimi anni, però, l’immunoterapia, in particolare gli inibitori dei checkpoint immunitari (ICI) come gli anti-PD-1/PD-L1, ha cambiato le regole del gioco per molti tumori solidi. Sembrava la svolta, no?

La Sfida dei Tumori MSS

E in parte lo è stata, ma con un “ma” grande come una casa. Nel cancro gastrico, questi farmaci funzionano alla grande nei pazienti con tumori ad alta instabilità dei microsatelliti (MSI-H) o con deficit di riparazione del mismatch (dMMR). Parliamo di tassi di risposta tra il 45% e il 60%! Il motivo? Questi tumori accumulano un sacco di mutazioni, creando “neoantigeni” che il nostro sistema immunitario riconosce come alieni, scatenando una risposta delle cellule T.

Il problema è che questi tumori MSI-H rappresentano solo il 10-15% di tutti i cancri gastrici, e la percentuale scende addirittura al 5% nei casi avanzati. La stragrande maggioranza, oltre il 90%, ha tumori microsatellite-stabili (MSS) o con riparazione del mismatch proficient (pMMR). E qui casca l’asino: in questi pazienti MSS, senza una selezione specifica, solo un misero 10% risponde agli ICI. Capite bene che c’è un bisogno disperato di trovare dei biomarcatori affidabili per scovare quel 10% (e magari aumentarlo!) tra la marea di pazienti MSS.

Alla Ricerca del Biomarcatore Perduto

Ci abbiamo provato in tanti modi a trovare la chiave. Si è guardato al carico mutazionale tumorale (TMB), ma il suo valore predittivo cala drasticamente se escludiamo i pazienti MSI-H. Si è usato il punteggio CPS per PD-L1, che alza un po’ il tasso di risposta (dal 9% al 17.4% con CPS ≥ 10), ma la sua valutazione è soggettiva e poco pratica. Si è puntato sul virus di Epstein-Barr (EBV): inizialmente sembrava un successo strepitoso (100% di risposta in pazienti EBV+MSS in uno studio!), ma analisi successive hanno ridimensionato l’entusiasmo, con tassi di risposta tra il 25% e il 33%.

Il limite fondamentale di questi approcci? Si concentrano troppo sulle caratteristiche intrinseche del tumore, trascurando il vero campo di battaglia: il microambiente tumorale (TME). Il TME è un ecosistema incredibilmente complesso, un groviglio di cellule immunitarie, cellule stromali, vasi sanguigni e molecole segnale che interagiscono fittamente con le cellule tumorali. È qui che si gioca la partita dell’immunoterapia.

Entra in Scena il Machine Learning (e i Linfociti T)

Fortunatamente, oggi abbiamo strumenti potentissimi: tecniche ad alta risoluzione come l’immunoistochimica multiplex, il sequenziamento spaziale dell’RNA, il sequenziamento a singola cellula e, non da ultimo, il machine learning. Questi strumenti ci permettono di svelare la complessità del TME.

I protagonisti indiscussi della lotta al cancro nel TME sono i linfociti infiltranti il tumore (TILs), le cellule bersaglio diretto degli ICI. Capire la loro eterogeneità funzionale è cruciale per capire perché l’immunoterapia funzioni in alcuni pazienti e non in altri.

Nel nostro studio, abbiamo deciso di usare un approccio di machine learning semi-supervisionato, chiamato Positive-Unlabeled Learning (PUL). L’idea di base è semplice ma geniale: se i tumori MSI-H (che rispondono bene) hanno un certo “profilo immunitario”, possiamo insegnare a un algoritmo a riconoscere quel profilo anche nei tumori MSS? Abbiamo quindi “addestrato” il nostro modello usando come esempi positivi i pazienti MSI-H con alto TMB e alta infiltrazione di cellule T (i candidati ideali per la risposta agli ICI), e come dati “non etichettati” tutti i pazienti MSS, di cui non conoscevamo a priori la risposta.

Grafico astratto che rappresenta un algoritmo di machine learning (PUL) che classifica dati complessi, con punti colorati che simboleggiano pazienti responder (blu) e non-responder (giallo) all'interno di un set di dati non etichettati (grigio), stile infografica high-tech, alta definizione.

Il risultato? Sorprendente! Il nostro modello PUL ha identificato i potenziali responder tra i pazienti MSS (li abbiamo chiamati MSS-PRs) con un’accuratezza pazzesca, misurata da un’area sotto la curva (AUC) di 0.924. Ad oggi, è il modello più accurato per questo scopo! Abbiamo scoperto che circa il 19% dei pazienti MSS nel database TCGA-STAD e l’11% nel database ACRG rientravano in questa categoria di potenziali responder, percentuali in linea con i tassi di risposta osservati negli studi clinici.

Il Segreto è nei Linfociti T-bet+ CD8+

Ma cosa rende speciali questi MSS-PRs? Analizzando a fondo il loro TME, abbiamo trovato il colpevole, o meglio, l’eroe: un’alta infiltrazione di un tipo specifico di linfociti T CD8+, quelli che esprimono il fattore di trascrizione T-bet (li chiameremo T-bet+ CD8+ T cells).

Queste cellule T-bet+ CD8+ sono dei veri killer professionisti. Perché?

  • Hanno una marcia in più nell’infiltrazione: Sembrano avere una capacità superiore di penetrare nel cuore del tumore, forse guidate da segnali chimici specifici (chemochine come CXCL9/10/11, che legano il recettore CXCR3 espresso proprio da queste cellule). Abbiamo visto con l’immunoistochimica multiplex che la loro proporzione aumenta costantemente dal tessuto normale circostante fino al centro del tumore, a differenza di altre cellule T.
  • Sono armate fino ai denti: Esprimono livelli più alti di molecole citotossiche come l’interferone-gamma (IFN-γ) e la granzima B (GZMB), fondamentali per uccidere le cellule tumorali. Lo abbiamo confermato sia con la citometria a flusso che con l’analisi a singola cellula.
  • Sono associate a una prognosi migliore: Nei nostri pazienti, una maggiore abbondanza di queste cellule nel TME era correlata a una sopravvivenza globale significativamente più lunga (mediana di 77 mesi contro 24!).

La Prova del Nove: Modelli Umanizzati

Per confermare il loro ruolo cruciale, siamo passati ai modelli animali. Abbiamo usato topi “umanizzati”, cioè topi immunodeficienti in cui abbiamo ricostruito un sistema immunitario umano. Abbiamo poi impiantato cellule di cancro gastrico umano. In questi topi, abbiamo “adottivamente trasferito” (cioè iniettato) cellule T umane arricchite o impoverite di T-bet.

I risultati sono stati netti: i topi che hanno ricevuto le cellule T T-bethigh hanno mostrato una riduzione significativa della crescita tumorale rispetto ai controlli. Il loro TME si è riempito di cellule T-bet+ CD8+ e T-bet+ CD4+, mentre i tumori nei topi di controllo sono rimasti “immuno-ignoranti”. Questo ci dice che queste cellule non solo combattono il tumore, ma rimodellano attivamente il microambiente rendendolo più ostile al cancro.

Immagine al microscopio a fluorescenza che mostra cellule T CD8+ (gialle) con espressione di T-bet (verde) che secernono molecole citotossiche come IFN-gamma (visualizzato in rosso) vicino a cellule tumorali (blu), obiettivo macro 100mm, illuminazione controllata ad alta precisione, alta definizione.

Il Circolo Virtuoso (e Viziato) dell’Immunità

Ma come fanno esattamente queste cellule a orchestrare la risposta? Abbiamo usato tecniche di analisi spaziale (come l’RNA-seq spaziale) per guardare da vicino cosa succede nel TME dei pazienti responder e dei nostri MSS-PRs. Abbiamo notato la formazione frequente di “nicchie” spaziali dove le cellule T-bet+ si trovano a stretto contatto con cellule tumorali che esprimono PD-L1 (la molecola bersaglio degli anti-PD-1). Le abbiamo chiamate nicchie T-bet+-PD-L1+.

La nostra ipotesi è che si inneschi un ciclo di feedback positivo:

  1. Le cellule T-bet+ CD8+ infiltrano il tumore, attratte dalle chemochine CXCL9/10/11.
  2. Una volta lì, rilasciano IFN-γ.
  3. L’IFN-γ agisce sulle cellule tumorali vicine (e altre cellule del TME), inducendole a produrre ancora più CXCL9/10/11 (che attirano altre cellule T-bet+) e, soprattutto, ad esprimere PD-L1 e altri geni stimolati dall’interferone (ISGs).
  4. L’aumento di cellule T-bet+ nella nicchia porta a un ambiente ricco di IFN-γ, che potenzia ulteriormente l’attività citotossica delle cellule T ma, allo stesso tempo, guida anche il loro “esaurimento” (un meccanismo di auto-protezione che però limita la risposta a lungo termine).
  5. L’alta espressione di PD-L1 sulle cellule tumorali, indotta proprio dalle cellule T che dovrebbero combatterle, crea il presupposto perfetto per l’azione degli inibitori di PD-1/PD-L1! Bloccando l’interazione PD-1/PD-L1, l’immunoterapia “risveglia” le cellule T esaurite proprio nel cuore della battaglia.

Questo ciclo, visualizzato come nicchie T-bet+-PD-L1+, è un segno distintivo di un’immunità anti-tumorale preesistente ma soppressa, e spiega perché proprio questi tumori rispondono agli ICI. L’abbondanza di cellule T-bet+ CD8+ nel compartimento tumorale, e la presenza di queste nicchie, si sono rivelati ottimi predittori della risposta agli ICI, sia nei pazienti MSS (AUC 0.816) che MSI-H (AUC 0.775).

Ricostruzione 3D del microambiente tumorale gastrico che mostra un 'niche' spaziale dove cellule T-bet+ CD8+ (verdi, luminose) sono raggruppate vicino a cellule tumorali che esprimono PD-L1 (rosse, sulla membrana), circondate da altre cellule stromali (grigie), alta definizione, visualizzazione scientifica dettagliata.

Implicazioni Cliniche: Biomarcatori e Nuove Terapie

Cosa significa tutto questo in pratica? Innanzitutto, abbiamo identificato nuovi potenziali biomarcatori per selezionare meglio i pazienti MSS da trattare con immunoterapia:

  • Il punteggio PUL derivato dal nostro modello di machine learning.
  • L’abbondanza di cellule T-bet+ CD8+ nel compartimento tumorale.
  • La presenza di nicchie T-bet+-PD-L1+ nell’analisi spaziale.
  • Abbiamo anche notato che specifiche alterazioni genetiche, come la mutazione di PIK3CA e l’amplificazione di 9p24.1 (che contiene i geni per PD-L1 e PD-L2), sono più frequenti negli MSS-PRs e associate a una migliore risposta, indipendentemente dallo stato EBV.

Questi biomarcatori, basati sul meccanismo d’azione, potrebbero essere più accurati e scientificamente fondati del semplice conteggio di PD-L1 (CPS).

Ma cosa fare per la maggioranza dei pazienti MSS che rimangono “immuno-ignoranti”, cioè con un TME povero di cellule immunitarie attive? Qui entra in gioco la seconda parte della nostra strategia: il trasferimento adottivo di cellule T (ACT). L’idea è di prelevare cellule T dal paziente (o da un donatore), selezionare o ingegnerizzare quelle più potenti (come le nostre T-bet+ CD8+), espanderle in laboratorio e reinfonderle nel paziente.

L’ACT nei tumori solidi ha sempre avuto difficoltà: le cellule trasferite faticano a raggiungere il tumore e, una volta lì, spesso si “spengono” a causa del TME ostile. Ma noi abbiamo ipotizzato che le cellule T-bet+ CD8+, grazie alla loro capacità infiltrante e alla capacità di creare un microambiente pro-infiammatorio, potessero superare questi ostacoli.

E i nostri esperimenti sui topi umanizzati lo hanno confermato! Abbiamo preso topi con tumori “immuno-ignoranti” e abbiamo visto che il trasferimento di cellule T-bethigh CD8+ non solo riduceva il tumore di per sé, ma rendeva questi tumori molto più sensibili al trattamento con anti-PD-1. La combinazione di ACT con T-bet+ CD8+ T cells e ICI ha potenziato enormemente l’efficacia rispetto ai singoli trattamenti.

Grafico scientifico che mostra la riduzione significativa del volume tumorale (linee discendenti) in modelli murini umanizzati trattati con trasferimento adottivo di cellule T-bet+ CD8+ combinato con anti-PD-1 (linea rossa) rispetto ai controlli (altre linee), assi X (tempo) e Y (volume tumorale), stile pulito e chiaro.

Verso il Futuro

Quindi, ricapitolando, abbiamo affrontato il problema della scarsa risposta agli ICI nei tumori gastrici MSS su due fronti. Da un lato, abbiamo sviluppato strumenti e identificato caratteristiche (genetiche, immunologiche e spaziali) per individuare quei pazienti MSS che possono beneficiare dell’immunoterapia standard. Dall’altro, abbiamo fornito una prova pre-clinica che una strategia combinata di trasferimento adottivo di cellule T-bet+ CD8+ e inibitori di PD-1 potrebbe “accendere” la risposta immunitaria anche nei tumori più refrattari.

C’è ancora strada da fare, ovviamente, per portare queste scoperte dal laboratorio alla clinica. Ma credo fermamente che capire a fondo i meccanismi che governano l’immunità anti-tumorale e sfruttare tecnologie avanzate come il machine learning e l’analisi spaziale sia la via giusta per ottimizzare l’immunoterapia e offrire nuove speranze ai pazienti con cancro gastrico. È una sfida complessa, ma affascinante, e sono entusiasta di vedere dove ci porterà!

Fonte: Springer

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