Iceberg Impazziti: Il Ghiaccio del Mare del Nord Rivela i Segreti del Clima Passato
Un Tuffo nel Passato Ghiacciato del Mare del Nord
Avete mai pensato a cosa si nasconde sotto il fondale marino, là dove oggi navighiamo tranquilli? Immaginate il Mare del Nord, non come lo vediamo ora, ma coperto da un’immensa calotta di ghiaccio, la British-Irish Ice Sheet (BIIS), circa 18.000 anni fa. Un’epoca lontanissima, eppure le tracce di quel mondo glaciale sono ancora lì, sepolte sotto strati di sedimento, e raccontano una storia affascinante e, per certi versi, preoccupante anche per noi oggi.
Recentemente, mi sono immerso (metaforicamente, s’intende!) nello studio di queste tracce, utilizzando dati sismici ad altissima risoluzione. È stato come avere una macchina del tempo che ci permette di “vedere” il fondale marino com’era durante l’ultima deglaciazione. E quello che abbiamo scoperto è sorprendente: enormi piattaforme di ghiaccio galleggianti, simili a quelle che oggi vediamo in Antartide, orlavano questa antica calotta glaciale anche nel Mare del Nord.
Le Cicatrici degli Iceberg Giganti
Come facciamo a saperlo? Grazie alle “cicatrici” lasciate sul fondale da iceberg colossali. Immaginate degli iceberg tabulari, piatti e vastissimi – parliamo di bestioni larghi potenzialmente dai 5 ai 10 chilometri e spessi centinaia di metri! Quando questi giganti andavano alla deriva, le loro chiglie (la parte sommersa) a volte toccavano il fondale, arandolo e lasciando solchi multipli, paralleli, larghi anche più di 2 chilometri. Li chiamiamo “multi-keeled ploughmarks”. Trovare queste specifiche tracce sepolte è la prova inconfutabile: lì c’erano delle piattaforme di ghiaccio galleggianti (ice shelves) che generavano questi mostri di ghiaccio.
Queste piattaforme non erano piccole. Modellizzazioni precedenti suggerivano la loro esistenza, ma mancava la prova diretta nel Mare del Nord centrale. Ora, grazie a questi dati sismici 3D ad alta risoluzione (HR3D), che offrono un dettaglio incredibile rispetto ai metodi tradizionali, abbiamo potuto “vedere” queste tracce multiple, a volte nascoste o sovrascritte da solchi più recenti. È come passare da una vecchia foto sfocata a un’immagine in alta definizione: i dettagli emergono e cambiano la nostra comprensione.
Abbiamo analizzato dati da diverse aree del Mare del Nord centrale, trovando queste tracce di iceberg tabulari sepolte tra i 22 e i 55 metri sotto il fondale attuale, in zone dove oggi l’acqua è profonda 115-148 metri. Le ricostruzioni paleogeografiche ci dicono che all’epoca (tra 31.000 e 15.000 anni fa), la profondità in quelle zone era tra i 50 e i 180 metri – perfettamente compatibile con il pescaggio di iceberg tabulari enormi, ma troppo profonda per essere stata causata da semplice ghiaccio marino.
Il Cambiamento Improvviso: Un Segnale d’Allarme
Ma la parte più affascinante, e forse inquietante, è arrivata quando abbiamo analizzato la sequenza temporale di queste tracce. Negli strati più antichi, databili a circa 20.000 anni fa, subito dopo il ritiro del ghiaccio ancorato al fondale, troviamo abbondanti tracce di questi iceberg tabulari giganti. Questo ci dice che le piattaforme di ghiaccio erano relativamente stabili e producevano questi colossi in modo sporadico, un po’ come fa l’Antartide oggi.
Poi, però, succede qualcosa. Salendo verso strati più recenti, databili tra i 19.000 e i 17.000 anni fa, le tracce degli iceberg tabulari scompaiono! Al loro posto, troviamo una miriade di solchi più piccoli, a forma di V, singoli. Questi sono tipici di iceberg più piccoli, numerosi, prodotti da un margine glaciale che si sta rompendo rapidamente, magari senza più una piattaforma galleggiante stabile davanti.
Questo cambiamento nel “comportamento” del distacco degli iceberg (il cosiddetto calving regime) è un segnale fortissimo. Ci dice che intorno a 18.000 anni fa, le grandi piattaforme di ghiaccio del Mare del Nord hanno smesso di produrre iceberg tabulari e hanno iniziato a frammentarsi in pezzi molto più piccoli e numerosi. Questo è esattamente ciò che si osserva oggi quando una piattaforma di ghiaccio collassa catastroficamente, come è successo alla Larsen B in Antartide nel 2002.
Cosa Ha Causato il Collasso? E Perché Ci Interessa Oggi?
La nostra ipotesi è che la calotta BIIS abbia raggiunto una soglia climatica critica intorno a 18.000 anni fa. Un aumento delle temperature estive, forse legato a variazioni orbitali (l’insolazione estiva stava aumentando in quel periodo), potrebbe aver causato una fusione superficiale massiccia sulle piattaforme di ghiaccio. L’acqua di fusione, infiltrandosi nei crepacci, può agire come un cuneo (un processo chiamato hydrofracturing), spaccando la piattaforma dall’interno e portando alla sua rapida disintegrazione.
Questo evento non fu isolato. Coincide temporalmente con il collasso delle parti della calotta glaciale ancorate al fondale marino nel Mare del Nord centrale, un’area geologicamente “scivolosa” e pianeggiante. È come se, venendo a mancare il “tappo” costituito dalle piattaforme galleggianti (che esercitano una forza frenante, chiamata buttressing, sul ghiaccio retrostante), il resto del ghiaccio abbia iniziato a scivolare verso il mare molto più velocemente.
E qui la storia si fa tremendamente attuale. Perché studiare ghiacci scomparsi da millenni? Perché l’Antartide oggi è circondata da piattaforme di ghiaccio enormi, che frenano il flusso dei ghiacciai continentali verso l’oceano. Sappiamo che queste piattaforme sono vulnerabili al riscaldamento atmosferico e oceanico. Capire come e perché le piattaforme del passato sono collassate, e quali sono state le conseguenze, è fondamentale per prevedere cosa potrebbe succedere in Antartide (e in Groenlandia) in futuro.
Il passaggio da iceberg tabulari giganti a una miriade di iceberg più piccoli, che abbiamo documentato nel Mare del Nord, potrebbe essere un segnale premonitore di un collasso imminente anche per le piattaforme attuali. Perdere queste barriere naturali significherebbe accelerare il flusso di ghiaccio verso il mare, con un conseguente, rapido aumento del livello marino globale.
Il nostro studio, quindi, non è solo un affascinante viaggio nel passato glaciale del nostro pianeta. È un monito che arriva da 18.000 anni fa: i cambiamenti nel modo in cui gli iceberg si staccano possono precedere eventi di collasso su larga scala, con impatti potenzialmente enormi. Guardare indietro, alle cicatrici lasciate dai giganti di ghiaccio sotto il Mare del Nord, ci aiuta a capire meglio la fragilità dei sistemi glaciali attuali e l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico.
Fonte: Springer