Primo piano di un monitor di terapia intensiva che mostra parametri vitali (ECG, SpO2, Pressione) e grafici, con un medico o infermiere che osserva attentamente sullo sfondo leggermente sfocato, profondità di campo, obiettivo 35mm, atmosfera clinica tesa ma professionale, luce ambientale soffusa.

Calprotectina e Sepsi in Terapia Intensiva: Il Verdetto che Non Ti Aspetti!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che sta molto a cuore a chi lavora in terapia intensiva (ICU): la diagnosi di sepsi. Sapete, quella condizione super pericolosa causata da una risposta esagerata del nostro corpo a un’infezione. Identificarla rapidamente è cruciale, ma in ICU è una vera sfida, perché molti pazienti hanno già problemi d’organo e i sintomi possono essere ingannevoli.

La Caccia al Marcatore Perfetto

Da tempo cerchiamo un “campanello d’allarme” affidabile nel sangue, un biomarcatore che ci dica senza ombra di dubbio: “Attenzione, qui c’è sepsi!”. Ne abbiamo provati tanti, ma nessuno finora si è rivelato perfetto, con la sensibilità e la specificità giuste per darci certezze assolute. La famosa Proteina C-Reattiva (CRP) è un punto di riferimento, ma anche lei ha i suoi limiti. Ecco perché la ricerca non si ferma mai.

Ultimamente si è parlato molto della calprotectina (un nome un po’ complicato, lo so, tecnicamente è S100A8/A9). È una proteina che si trova soprattutto nei neutrofili e nei monociti, cellule immunitarie in prima linea. Quando c’è un’infezione o un’infiammazione forte, queste cellule la rilasciano nel sangue, e i suoi livelli possono aumentare molto rapidamente, anche nel giro di poche ore. Sembrava promettente, no? Qualche studio preliminare, su piccoli gruppi di pazienti, aveva suggerito che potesse essere un buon candidato per scovare la sepsi batterica.

Lo Studio: Mettiamo alla Prova la Calprotectina

Proprio per vederci chiaro, è stato condotto uno studio osservazionale retrospettivo bello grosso, parte del progetto Swecrit biobank. Abbiamo analizzato i campioni di sangue prelevati all’ammissione in terapia intensiva da ben 4732 pazienti adulti ricoverati in quattro diverse ICU svedesi tra il 2015 e il 2018. L’obiettivo era semplice: capire se la calprotectina fosse davvero utile per distinguere i pazienti con sepsi da quelli senza sepsi al momento del loro ingresso in ICU, e confrontare la sua performance con quella della “solita” CRP.

Per farlo, abbiamo applicato retrospettivamente i criteri della definizione Sepsis-3 (quella più aggiornata) e abbiamo misurato i livelli di calprotectina e CRP nei campioni conservati in biobanca. Poi, abbiamo usato un’analisi statistica (le curve ROC, per i più tecnici) per valutare la capacità diagnostica dei due marcatori.

I Risultati: Sorpresa (non proprio positiva)

Ebbene, cosa abbiamo scoperto?

  • Circa il 44% dei pazienti inclusi nello studio aveva effettivamente la sepsi secondo i criteri Sepsis-3.
  • Come ci si aspettava, sia i livelli di calprotectina che quelli di CRP erano significativamente più alti nei pazienti con sepsi rispetto a quelli senza (p < 0.001 per entrambi). Fin qui, tutto nella norma.

Ma ecco il punto cruciale: quando siamo andati a vedere *quanto bene* questi marcatori riuscissero a distinguere i due gruppi, la CRP ha fatto decisamente meglio. L’area sotto la curva ROC (AUC), che misura la performance diagnostica generale, è stata di 0.72 per la CRP contro un modesto 0.61 per la calprotectina (e la differenza era statisticamente significativa, p < 0.001).

Fotografia macro di una provetta di sangue EDTA in un rack da laboratorio, illuminazione controllata ad alto contrasto, alta definizione, focus preciso sul plasma separato giallastro sopra i globuli rossi sedimentati, obiettivo macro 105mm.

In termini pratici, usando il valore soglia ottimale (calcolato con l’indice di Youden), la calprotectina (con un cutoff di 1.6 mg/L) aveva una sensibilità del 59% (cioè identificava correttamente il 59% dei pazienti con sepsi) e una specificità del 57% (identificava correttamente il 57% dei pazienti senza sepsi). La CRP (con un cutoff di 62 mg/L) faceva meglio, con una sensibilità del 62% e una specificità del 73%. Insomma, la CRP si è dimostrata più affidabile nel “chiamare” correttamente la presenza o l’assenza di sepsi all’ammissione.

Uno Sguardo ai Dettagli: Sottogruppi e Correlazioni

Abbiamo anche provato a vedere se la calprotectina si comportasse diversamente in sottogruppi specifici di pazienti.

  • Neutropenici: Nei pazienti con pochissimi neutrofili (una condizione chiamata neutropenia), i livelli di calprotectina erano bassissimi sia nei pazienti con sepsi che in quelli senza, e la sua capacità diagnostica era praticamente nulla (AUC 0.51). Questo conferma che i neutrofili sono la fonte principale di questa proteina.
  • Infezioni Ospedaliere vs Comunitarie: Curiosamente, i livelli più alti di calprotectina si sono visti nei pazienti con infezioni acquisite in ospedale, ma anche qui la sua performance diagnostica rimaneva scarsa (AUC 0.55) e inferiore alla CRP.
  • Tipo di Infezione: Analizzando i pazienti con sepsi in base al microbo responsabile, abbiamo notato una cosa interessante: le sepsi fungine mostravano i livelli mediani di calprotectina più alti (3.0 mg/L), anche se la differenza non era statisticamente enorme rispetto agli altri gruppi (forse per il numero ridotto di casi fungini, n=44). Le sepsi da batteri Gram-positivi, Gram-negativi e quelle senza un microbo isolato (cultura-negative) avevano livelli simili (tra 1.9 e 2.1 mg/L). Le sepsi polimicrobiche (con più microbi) avevano livelli un po’ più alti (2.8 mg/L). Inoltre, i pazienti con batteriemia (batteri nel sangue) avevano livelli di calprotectina più alti rispetto a quelli senza batteriemia.
  • Correlazione con CRP: Abbiamo visto che c’era solo una correlazione moderata tra i livelli di calprotectina e quelli di CRP (Spearman’s r = 0.47). Questo suggerisce che i due marcatori riflettono probabilmente l’attivazione di percorsi infiammatori e immunitari diversi. La calprotectina è legata più direttamente all’attivazione dei neutrofili, mentre la CRP è prodotta dal fegato in risposta all’interleuchina-6 (IL-6), che a sua volta può venire da molte cellule diverse.

Visualizzazione grafica astratta di due curve ROC (Receiver Operating Characteristic) su un grafico cartesiano. Una curva (etichettata CRP) è visibilmente più alta e più vicina all'angolo superiore sinistro (AUC 0.72) rispetto all'altra (etichettata Calprotectina, AUC 0.61), indicando una performance diagnostica superiore. Stile infografica medica, colori blu e arancione duotone.

Cosa Significa Tutto Questo?

I risultati di questo studio, che è il più ampio finora condotto sulla calprotectina in terapia intensiva, sono abbastanza chiari: al momento dell’ammissione in ICU, la calprotectina non sembra essere un marcatore diagnostico per la sepsi migliore della CRP. Anzi, la sua performance è risultata inferiore in modo consistente, anche analizzando vari sottogruppi e usando definizioni leggermente diverse di sepsi (analisi di sensibilità).

Questo non significa che la calprotectina sia inutile in assoluto. Magari la sua dinamica nel tempo (cioè come cambiano i suoi livelli durante il ricovero) potrebbe dare informazioni prognostiche importanti, come abbiamo visto in studi su pazienti con COVID-19 grave. O forse potrebbe avere un ruolo in contesti molto specifici, come le sepsi fungine, che sono notoriamente difficili da diagnosticare (ma servono altri studi per confermarlo).

C’è anche da dire che nemmeno la CRP è perfetta (il suo AUC di 0.72 è buono, ma non eccellente). La diagnosi di sepsi rimane complessa e probabilmente richiede un approccio integrato, che consideri più marcatori insieme ai dati clinici.

Limiti e Punti di Forza

Come ogni studio, anche questo ha i suoi punti di forza (la dimensione del campione, il disegno multicentrico, metodi rigorosi per definire la sepsi) e i suoi limiti (è retrospettivo, non possiamo escludere del tutto un bias a favore della CRP visto che i medici la usavano già, abbiamo misurato i marcatori solo all’ammissione).

Micrografia elettronica ad alta definizione che mostra cellule fungine filamentose (Aspergillus o simile) circondate da neutrofili attivati in un campione biologico. Illuminazione scientifica, dettagli cellulari precisi, obiettivo macro 60mm.

Il Messaggio da Portare a Casa

Quindi, se vi state chiedendo se la calprotectina sia la nuova superstar per diagnosticare la sepsi appena un paziente mette piede in terapia intensiva, la risposta, basata su questi dati, è: probabilmente no. Almeno per ora, la buona vecchia CRP sembra mantenere il suo ruolo, pur con tutti i suoi limiti.

La ricerca però non si ferma qui! Continueremo a studiare la calprotectina e altri marcatori, magari guardando alle loro variazioni nel tempo o a combinazioni di più segnali, nella speranza di trovare strumenti sempre migliori per affrontare la sfida della sepsi.

Fonte: Springer

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