Cabergolina e Macroprolactinomi: Quando la Cura Rivela un Problema Nascosto!
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento un po’ di nicchia ma super interessante, che tocca da vicino chi si occupa di endocrinologia e neurochirurgia, ma che, credetemi, ha dei risvolti affascinanti anche per i non addetti ai lavori. Parliamo di macroprolactinomi, ovvero quei tumori dell’ipofisi, di solito benigni, che producono un sacco di prolattina, e di un farmaco spesso risolutivo: la cabergolina. Ma, come in ogni bella storia, c’è un “ma”. A volte, questa cura efficace può portare a galla un problema inaspettato: le fistole liquorali cerebrospinale (CSF). In pratica, una perdita di liquido cerebrospinale dal naso. Sembra roba da film, vero? Eppure succede.
Ma andiamo con ordine: cos’è un macroprolactinoma e come agisce la cabergolina?
Allora, i prolattinomi sono i tumori ipofisari più comuni. Quando sono belli grossi (sopra il centimetro), li chiamiamo macroprolactinomi. Questi “bestioni” possono dare un sacco di problemi, non solo per l’eccesso di prolattina (che nelle donne può causare stop al ciclo, produzione di latte anche senza gravidanza, e negli uomini calo del desiderio e problemi di fertilità), ma anche perché, crescendo, possono comprimere le strutture vicine, come i nervi ottici, causando problemi alla vista.
Per fortuna, negli ultimi decenni, la medicina ha fatto passi da gigante. Dagli anni ’70, con la bromocriptina, e poi dagli anni ’80 con la cabergolina, il trattamento di queste condizioni è diventato prevalentemente medico. La cabergolina, in particolare, è un agonista selettivo dei recettori D2 della dopamina ed è considerata il trattamento di prima linea. Perché? Semplice: è più efficace, meglio tollerata e ha un regime terapeutico più comodo rispetto alla “vecchia” bromocriptina. La maggior parte dei pazienti risponde alla grande, con un miglioramento dei sintomi e, soprattutto, una riduzione significativa delle dimensioni del tumore. E qui, ragazzi, arriva il bello (o il brutto, a seconda dei punti di vista!).
L’effetto “stappo”: quando il tumore si ritira e… gocciola il naso!
Immaginatevi il tumore come un grosso tappo che, crescendo in maniera invasiva (e i prolattinomi lo fanno spesso, erodendo l’osso alla base del cranio), sigilla involontariamente delle piccole brecce che lui stesso ha creato. Quando la cabergolina fa il suo lavoro e il tumore si “sgonfia” rapidamente, ecco che quel “tappo” viene meno. Risultato? Il liquido cerebrospinale, che normalmente circola attorno al cervello e al midollo spinale, può trovare una via di fuga attraverso queste brecce precedentemente nascoste, finendo nel naso. Questa è la rinorrea liquorale, o CSF rhinorrhea.
Non è una cosa frequentissima, sia chiaro. Per anni si è pensato fosse un evento rarissimo, ma studi più recenti e piccole serie di casi indicano che potrebbe verificarsi in una percentuale che va dall’8.7% al 13.3% dei pazienti con macroprolactinomi trattati con agonisti dopaminergici. E di solito, questa perdita si manifesta abbastanza in fretta, tra le 4 e le 6 settimane dall’inizio della terapia con cabergolina.

Storie Vere dal Fronte Medico: Tre Casi Emblematici
Recentemente, ho letto uno studio interessante che riportava l’esperienza a lungo termine (fino a 170 mesi, cioè quasi 14 anni!) su tre pazienti che hanno sviluppato questa complicanza. Ve li racconto brevemente, perché sono emblematici delle diverse situazioni che si possono presentare.
- Paziente 1: Una giovane donna di 19 anni con un macroprolactinoma gigante. Dopo aver ripreso la cabergolina, il tumore si è ridotto notevolmente, ma dopo circa 4 settimane è comparsa la rinorrea liquorale. È stata operata per via endoscopica transnasale (passando dal naso, per intenderci) per riparare la perdita con un innesto di grasso e colla di fibrina. La cabergolina è stata continuata. Anni dopo, interrompendo il farmaco per una gravidanza, il tumore è ricresciuto, richiedendo un intervento di riduzione e radioterapia, ma la fistola non si è più ripresentata.
- Paziente 2: Un uomo di 34 anni, anche lui con un tumore enorme. Dopo l’inizio della cabergolina, il tumore si è ridotto drasticamente. Dopo qualche settimana, ecco la rinorrea. Gli è stato proposto l’intervento, ma lui ha preferito aspettare, continuando la terapia farmacologica e sotto stretta sorveglianza. Sorprendentemente, dopo tre settimane, la perdita si è risolta spontaneamente e non è più tornata per tutti i 170 mesi di follow-up! Un caso eccezionale, ma che ci dice che a volte la natura fa il suo corso.
- Paziente 3: Un uomo di 66 anni. Anche per lui, riduzione del tumore con cabergolina e, sei settimane dopo, rinorrea. Intervento endoscopico transnasale, riparazione della fistola con grasso, spugna e un piccolo innesto osseo. Nessuna recidiva della perdita nei 116 mesi successivi, continuando la cabergolina a dosi di mantenimento.
Questi casi ci dicono tanto. Innanzitutto, che la riparazione chirurgica è spesso necessaria (circa il 90% dei casi, secondo la letteratura) ed è efficace. E poi, che in casi rarissimi, la fistola può chiudersi da sola.
Cosa fare quando succede? Il dibattito è aperto
La gestione ottimale di queste fistole indotte dal farmaco è ancora un po’ dibattuta. Se la perdita persiste, l’approccio chirurgico transnasale-transsfenoidale (sempre passando dal naso) per chiudere il buco è considerato un trattamento efficiente. Spesso si usano innesti di grasso autologo (preso dal paziente stesso), fascia lata (un tessuto connettivo della coscia) o lembi nasosettali. Un drenaggio lombare post-operatorio (un tubicino che drena liquor dalla schiena) è spesso raccomandato per ridurre la pressione e favorire la guarigione.
Una delle questioni aperte è se, durante l’intervento di riparazione della fistola, si debba anche rimuovere (parzialmente) il tumore. Alcuni lo fanno per visualizzare meglio il difetto da riparare. Altri sostengono che, dato che il tumore risponde bene alla cabergolina, la sua rimozione potrebbe non essere necessaria e anzi, potrebbe interferire con l’ulteriore riduzione dimensionale attesa con la continuazione della terapia medica. Lo studio che vi citavo, per esempio, non ha rimosso il tumore durante la riparazione nei due casi operati, e la terapia con cabergolina è stata continuata con successo.
Un altro punto è se interrompere la cabergolina. Alcuni lo suggeriscono come opzione conservativa, ma potrebbe non essere fattibile se il paziente ha sintomi importanti legati al tumore. Continuare il farmaco, come nel caso del paziente 2 che ha avuto una risoluzione spontanea, o nei pazienti operati, sembra essere una strategia valida.

Fattori di rischio e perché la cabergolina “stappa” più in fretta
Sembra che ci siano dei fattori di rischio per lo sviluppo di queste fistole: livelli iniziali di prolattina molto alti e l’invasione da parte del tumore del seno cavernoso e del seno sfenoidale (cavità ossee alla base del cranio). In pratica, tumori più “aggressivi” e invasivi localmente.
È interessante notare che, rispetto alla bromocriptina, con la cabergolina le fistole sembrano comparire più precocemente. Questo potrebbe essere dovuto alla sua maggiore efficacia e rapidità nel ridurre le dimensioni del tumore, portando a un effetto “uncorking” (stappo, appunto) più veloce.
Il rischio principale di una fistola liquorale non trattata è la meningite, un’infezione potenzialmente letale. Per questo, la raccomandazione generale è di riparare il difetto il prima possibile. Anche se, curiosamente, c’è un caso riportato in letteratura di un paziente con episodi frequenti di rinorrea che ha rifiutato l’intervento e non ha avuto complicazioni infettive in 4 anni. Ma non facciamoci strane idee, eh! La riparazione è quasi sempre la strada da percorrere.
In Conclusione: Occhi Aperti!
Insomma, la cabergolina è un farmaco fantastico per i macroprolactinomi, capace di cambiare la vita dei pazienti. Però, come medici e come pazienti, dobbiamo essere consapevoli di questa potenziale, seppur rara, complicanza. Un monitoraggio attento, soprattutto nelle prime settimane dopo l’inizio della terapia, è fondamentale.
Se una fistola liquorale si manifesta, niente panico! Nella stragrande maggioranza dei casi, un intervento chirurgico mininvasivo può risolvere il problema, permettendo di continuare la terapia farmacologica che tiene a bada il tumore. E chissà, magari in futuro avremo linee guida ancora più precise su come gestire al meglio ogni singolo caso.
La ricerca, come sempre, va avanti! E noi siamo qui per raccontarvela.
Fonte: Springer
