Primo piano fotorealistico di un filamento di DNA bovino con marcatori epigenetici (metilazione) evidenziati in modo schematico, visualizzato con un obiettivo macro 100mm per massimo dettaglio, illuminazione da laboratorio controllata che crea ombre morbide e mette in risalto la struttura elicoidale, sfondo scientifico leggermente sfocato.

L’Eredità Nascosta del BVDV: Come un’Infezione Fetale Lascia il Segno sui Vitelli

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di affascinante e un po’ inquietante che abbiamo scoperto nel mondo dei bovini, qualcosa che riguarda un nemico invisibile ma potentissimo: il virus della diarrea virale bovina, meglio conosciuto come BVDV. Questo virus non è solo una seccatura, è un vero disastro economico per gli allevatori, causando perdite per miliardi ogni anno. Ma c’è un aspetto ancora più subdolo che stiamo iniziando a capire solo ora.

Il BVDV: Un Nemico dai Due Volti

Sappiamo da tempo che il BVDV può fare danni enormi. Causa problemi riproduttivi, cali di produzione di latte e una crescita più lenta negli animali adulti. Ma la sua capacità più insidiosa è quella di attraversare la placenta e infettare il feto durante la gravidanza. Qui le cose si complicano, e l’esito dipende molto da *quando* avviene l’infezione.

Se il virus colpisce presto, prima dei 125 giorni di gestazione, il sistema immunitario del feto non è ancora pronto a combattere. Il risultato? Un vitello detto “persistentemente infetto” (PI). Questi vitelli nascono con il virus, non riescono a liberarsene e diventano delle vere e proprie “fabbriche” di BVDV, diffondendolo nell’allevamento per tutta la vita. Sono loro il serbatoio principale del virus.

Ma cosa succede se l’infezione avviene più tardi, dopo i 150 giorni di gestazione? Beh, qui il feto ha già sviluppato un sistema immunitario più maturo. Riesce a combattere il virus, a produrre anticorpi specifici e a eliminarlo *prima* della nascita. Questi vitelli li chiamiamo “transitoriamente infetti” (TI). Nascono sani, senza virus, ma con gli anticorpi che testimoniano la battaglia vinta nel grembo materno. Fin qui, tutto bene, no? Sembrerebbe una storia a lieto fine.

L’Ipotesi: E Se l’Infezione Lasciasse Cicatrici Invisibili?

Ecco, è proprio qui che entra in gioco la nostra curiosità. Ci siamo chiesti: siamo sicuri che un’infezione fetale, anche se superata, non lasci nessuna conseguenza a lungo termine? La teoria delle “origini evolutive della salute e della malattia” (DOHaD) ci insegna che eventi stressanti durante lo sviluppo fetale, come malattie o malnutrizione, possono programmare l’organismo per problemi futuri. E se il BVDV, anche nella sua forma transitoria, fosse uno di questi eventi?

Studi precedenti avevano già lanciato qualche campanello d’allarme: vitelli sospettati di essere stati TI sembravano ammalarsi più facilmente o pesare meno. Nel nostro laboratorio, avevamo notato che le manze TI avevano un peso inferiore e mostravano segni di maggiore infiammazione durante le prove di alimentazione. Addirittura, avevamo già trovato differenze nella metilazione del DNA (un meccanismo epigenetico) nei globuli bianchi di queste manze TI alla nascita, proprio in geni legati a immunità e crescita.

La domanda era: queste “cicatrici” epigenetiche scompaiono con il tempo o persistono anche dopo la nascita, magari contribuendo a quei problemi di salute e crescita osservati? Questa è stata la scintilla che ha acceso la nostra ricerca.

Fotografia macro ad alta definizione di un filamento di DNA bovino, con evidenziazione schematica dei gruppi metilici (epigenetica) attaccati ai siti CpG, illuminazione controllata per dettagli precisi, obiettivo macro 100mm.

Caccia alle Differenze Epigenetiche Post-Nascita

Per scoprirlo, abbiamo seguito un gruppo di manze nate da madri infettate sperimentalmente con BVDV al giorno 175 di gestazione (quindi destinate a diventare TI) e un gruppo di controllo nato da madri sane. Abbiamo aspettato che i vitelli raggiungessero i 4 mesi di età e poi abbiamo prelevato campioni di sangue.

Il nostro focus era sul DNA dei globuli bianchi. Perché? Perché i globuli bianchi sono i soldati del sistema immunitario e l’epigenetica – in particolare la metilazione del DNA – agisce come un interruttore che può accendere o spegnere i geni, influenzando come queste cellule (e l’intero organismo) funzionano. Immaginate la metilazione come dei post-it attaccati al DNA: in certi punti, impediscono la lettura del gene (spegnendolo), in altri la favoriscono (accendendolo o regolandolo). Virus come l’epatite C o Zika sono noti per manipolare questi “post-it” per sfuggire al sistema immunitario. Poteva il BVDV fare qualcosa di simile, lasciando un’impronta duratura?

Abbiamo usato una tecnica sofisticata chiamata RRBS (Reduced Representation Bisulfite Sequencing) per mappare con precisione questi “post-it” (i gruppi metilici sui siti CpG) nel genoma dei vitelli TI e confrontarli con i controlli.

Risultati Sorprendenti: Migliaia di “Interruttori” Regolati Diversamente

Ebbene, i risultati sono stati chiari e, per certi versi, sbalorditivi. Abbiamo trovato ben 3.047 siti CpG con livelli di metilazione significativamente diversi tra i vitelli TI e i controlli a 4 mesi di età! Di questi, circa il 56% erano *ipo*metilati (meno “post-it” del normale, potenzialmente geni più attivi) e il 44% erano *iper*metilati (più “post-it”, potenzialmente geni meno attivi).

Questi siti modificati non erano sparsi a caso, ma si trovavano all’interno o vicino a geni specifici. Analizzando quali geni fossero coinvolti, abbiamo visto che molti erano associati a funzioni cruciali come:

  • Infiammazione: la risposta del corpo a infezioni o danni.
  • Produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS): molecole legate allo stress ossidativo, un po’ come la “ruggine” delle cellule.
  • Metabolismo: come il corpo utilizza l’energia e i nutrienti.

Questo iniziava a dare un senso alle osservazioni precedenti sull’aumentata infiammazione nelle manze TI. Sembrava che l’infezione fetale avesse lasciato un’impronta epigenetica che continuava a influenzare questi processi anche mesi dopo la nascita.

Immagine al microscopio elettronico a colori artificiali di globuli bianchi bovini (linfociti, monociti), con dettagli ultra-precisi delle membrane cellulari, obiettivo macro 60mm, illuminazione da laboratorio.

Non Solo Epigenetica: Differenze nel Sangue e nel Peso

Ma le differenze non erano solo a livello molecolare. Abbiamo anche analizzato il sangue con tecniche più classiche (emocromo completo – CBC) e avanzate (citometria a flusso spettrale). E anche qui, sono emerse delle particolarità nei vitelli TI:

  • Avevano una percentuale di linfociti più alta rispetto ai controlli.
  • La citometria a flusso, più dettagliata, ha rivelato un aumento dei monociti intermedi (un tipo specifico di globulo bianco coinvolto nell’infiammazione e nella presentazione dell’antigene).
  • Avevano più linfociti B (le cellule che producono anticorpi).
  • Mostravano un aumento di un sottotipo particolare di cellule T helper (CD25+/CD127-), il cui ruolo nei bovini non è ancora del tutto chiaro ma che nell’uomo sono legate alla regolazione immunitaria.
  • Al contrario, avevano meno cellule T CD4+/CD8b+, una popolazione cellulare ancora poco caratterizzata nei bovini ma che sembra aumentare in caso di infezioni croniche (come nei vitelli PI).

E, a conferma delle osservazioni precedenti, i vitelli TI a 4 mesi pesavano in media significativamente meno dei loro coetanei del gruppo di controllo (circa 144 kg contro 165 kg).

Un’Eredità Duratura: Confronto con la Nascita e con i Vitelli PI

La cosa forse più intrigante è stata confrontare questi dati con quelli che avevamo raccolto sugli stessi vitelli TI alla nascita e con dati precedenti sui vitelli PI (quelli cronicamente infetti) a 4 mesi.

Abbiamo scoperto che 205 geni mostravano lo stesso tipo di alterazione epigenetica (ipo- o ipermetilazione) sia alla nascita che a 4 mesi nei vitelli TI. Questo suggerisce fortemente che alcune di queste modifiche indotte dall’infezione fetale sono davvero persistenti. Tra questi geni, alcuni erano coinvolti nella segnalazione cellulare, nella struttura dei tessuti e nelle interazioni immunitarie. L’analisi bioinformatica (IPA) di questi geni persistenti ha predetto una possibile diminuzione della crescita del tessuto linfoide e muscolare, e un aumento del rischio di problemi come aritmie o sanguinamento prolungato nei vitelli TI.

Confrontando i vitelli TI con i vitelli PI a 4 mesi, abbiamo trovato ben 465 geni con alterazioni epigenetiche simili in entrambi i gruppi. Anche se le infezioni hanno esiti molto diversi (una transitoria, l’altra persistente), sembra che entrambe lascino un’impronta epigenetica su alcuni percorsi comuni, in particolare legati alla risposta immunitaria, alla guarigione delle ferite e alla segnalazione cellulare. Questo potrebbe spiegare perché anche i vitelli TI, pur non avendo il virus, sembrano avere una certa vulnerabilità, simile per certi aspetti a quella dei PI. Ad esempio, geni importanti per la difesa antivirale come MX1 o coinvolti nella risposta immunitaria come IL22 e MIF mostravano alterazioni simili.

Fotografia di un gruppo di vitelli Hereford in un recinto di alimentazione, ripresa con obiettivo zoom 70-200mm, focalizzata su un vitello leggermente più piccolo (TI), luce naturale, contesto di allevamento.

Cosa Significa Tutto Questo? Implicazioni e Prospettive Future

Quindi, cosa ci dice questa complessa storia di virus, feti ed epigenetica? Ci dice che un’infezione da BVDV contratta nell’ultima fase della gestazione, anche se il vitello la supera brillantemente prima di nascere, non è un evento privo di conseguenze. Lascia delle “cicatrici” molecolari sul DNA, delle alterazioni epigenetiche che persistono per mesi (e forse più a lungo) e che sembrano associate a:

  • Una potenziale infiammazione cronica di basso grado.
  • Una possibile maggiore suscettibilità allo stress ossidativo.
  • Alterazioni nel metabolismo, forse legate alla secrezione di insulina e all’utilizzo dell’energia (il che potrebbe spiegare il minor peso).
  • Un profilo immunologico leggermente diverso, con più cellule B e monociti intermedi, ma meno di altre popolazioni T.

Queste alterazioni potrebbero rendere i vitelli TI più vulnerabili ad altre malattie nel corso della loro vita, o semplicemente meno performanti dal punto di vista della crescita e della produzione. Questo ha un impatto economico diretto per gli allevatori, che potrebbero avere animali che crescono meno o si ammalano di più senza capirne appieno il motivo, dato che questi vitelli TI sono indistinguibili dagli altri una volta nati.

La nostra ricerca apre nuove strade. Innanzitutto, ci aiuta a capire meglio i danni “nascosti” del BVDV, sottolineando ancora di più l’importanza della prevenzione e del controllo. In secondo luogo, queste firme epigenetiche persistenti potrebbero, in futuro, diventare dei biomarcatori. Immaginate se potessimo identificare i vitelli TI con un semplice test del sangue basato sulla metilazione del DNA! Potremmo così monitorarli meglio, adottare strategie di gestione specifiche o interventi mirati per mitigare le possibili conseguenze negative sulla loro salute e produttività.

C’è ancora molto da studiare, ovviamente. Dobbiamo capire quanto durano queste alterazioni, quali sono le conseguenze funzionali precise a lungo termine e se ci sono modi per intervenire. Ma una cosa è certa: l’interazione tra un virus e un feto in via di sviluppo è incredibilmente complessa e può lasciare un’eredità biologica che va ben oltre la semplice presenza o assenza del virus stesso. È un affascinante esempio di come l’ambiente prenatale possa plasmare la nostra salute futura, anche a livello molecolare.

Fonte: Springer

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