Immagine concettuale che rappresenta il sovraccarico emotivo e l'attività cerebrale. Una silhouette di testa umana vista di profilo, al cui interno si intrecciano fili luminosi colorati e caotici, sovrapposta a un pattern di segnali EEG stilizzati. Stile fotorealistico con elementi grafici, obiettivo 35mm, profondità di campo, colori vividi contrastanti su sfondo scuro.

Bulimia e Sovraccarico Emotivo: Cosa Ci Dice Davvero il Cervello?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di complesso ma affascinante: le emozioni e come vengono vissute da chi soffre di Bulimia Nervosa (BN). Spesso sentiamo dire che chi lotta con questo disturbo alimentare ha difficoltà a gestire le proprie emozioni. Ce lo raccontano loro stessi, ma c’è un “ma”. A volte, chi soffre di BN fa fatica persino a descrivere cosa prova davvero – una condizione chiamata alessitimia. Inoltre, con i soli racconti, è difficile capire se il problema sia nel *sentire* le emozioni in modo troppo forte fin dall’inizio, o se sia più una questione di non riuscire a *regolarle* dopo che sono emerse. Insomma, è un po’ come chiedersi se la pentola bolle troppo in fretta o se non riusciamo a spegnere il fuoco in tempo.

Il Limite dei Racconti: Perché Serve un Occhio Oggettivo

Affidarsi solo ai questionari e ai racconti personali, per quanto importanti, ha i suoi limiti. Come dicevo, l’alessitimia può “inquinare” le risposte. E poi, un questionario difficilmente distingue tra la *frequenza* con cui si usa una strategia (ad esempio, cercare di vedere il lato positivo) e il *successo* effettivo di quella strategia nel calmare l’animo. Non ci dice se le persone con BN sentono le emozioni in modo più intenso di base, o se questa sensazione di intensità è la conseguenza di una difficoltà nel gestirle. Capite il dilemma? È un po’ un cane che si morde la coda. Ecco perché abbiamo pensato: serve un modo più oggettivo per guardare dentro questi meccanismi.

Sbirciare nel Cervello: L’EEG e il Potenziale LPP

Ed è qui che entra in gioco la tecnologia! Abbiamo usato l’elettroencefalografia (EEG), quella tecnica un po’ da film di fantascienza con la cuffia piena di sensori sulla testa. L’EEG misura l’attività elettrica del cervello, e in particolare ci siamo concentrati su un segnale specifico chiamato “Late Positive Potential” (LPP). Pensate all’LPP come a un indicatore di quanto il cervello sia “impegnato” o “attivato” da uno stimolo emotivo. Più l’LPP è ampio, più risorse mentali stiamo dedicando a quell’emozione, più siamo coinvolti emotivamente. È uno strumento fantastico perché ci permette di misurare l’intensità emotiva in modo diretto, senza passare per l’interpretazione soggettiva, e di vedere come cambia quando cerchiamo di regolarla.

L’Esperimento: Emozioni Sotto la Lente

Cosa abbiamo fatto, in pratica? Abbiamo coinvolto un gruppo di donne con diagnosi di Bulimia Nervosa (32 partecipanti) e un gruppo di controllo di donne senza disturbi alimentari (35 partecipanti), simili per età e livello di istruzione. Abbiamo mostrato loro delle immagini: alcune neutre, altre emotivamente negative (prese da un database standardizzato chiamato IAPS). Mentre guardavano queste immagini, registravamo la loro attività cerebrale con l’EEG.
Il compito era diviso in fasi:

  • Osserva (Neutro): Guarda l’immagine neutra senza fare nulla di particolare.
  • Mantieni (Negativo): Guarda l’immagine negativa e lasciati coinvolgere pienamente dalle emozioni che suscita.
  • Rivaluta (Negativo): Guarda l’immagine negativa, ma cerca di ridurre la risposta emotiva riformulando la situazione in modo meno negativo o più distaccato (ad esempio, pensando a un lieto fine o che fosse una scena finta).

Misurando l’LPP durante la prima visione dell’immagine (fase di *elaborazione*) e dopo le istruzioni (fase di *regolazione*), potevamo rispondere alle nostre domande iniziali.

Primo piano di una cuffia EEG posizionata sulla testa di una donna in un laboratorio di ricerca leggermente oscurato. L'immagine è focalizzata sugli elettrodi nella zona parieto-occipitale (POz), con una profondità di campo ridotta. Stile fotorealistico, obiettivo prime 35mm, bianco e nero.

Cosa Abbiamo Scoperto: L’Intensità Emotiva Iniziale

La prima scoperta, forse non sorprendente ma confermata oggettivamente, è stata che le donne con BN, già dai loro racconti, riportavano di usare meno la strategia della “rivalutazione cognitiva” e di vivere le emozioni con maggiore intensità rispetto al gruppo di controllo. Ma la vera novità è arrivata dall’EEG. Analizzando l’LPP durante la prima esposizione alle immagini, abbiamo visto che il cervello delle donne con BN mostrava un’attivazione (LPP) significativamente più alta rispetto ai controlli, non solo davanti alle immagini negative, ma anche a quelle neutre! Questo suggerisce che la loro “soglia” di attivazione emotiva è più bassa, reagiscono con maggiore intensità fin da subito, ancora prima di provare a gestire l’emozione. È come se il loro sistema emotivo fosse costantemente un po’ più “acceso”. Inoltre, questa attivazione impiegava più tempo a tornare alla normalità.

Cosa Abbiamo Scoperto: La Fatica della Regolazione

E la regolazione? Qui le cose si fanno ancora più interessanti. Quando abbiamo chiesto alle partecipanti di “rivalutare” l’immagine negativa per sentirsi meglio, cosa è successo all’LPP? Nel gruppo di controllo, come ci si aspetta, l’LPP diminuiva, segno che la strategia funzionava nel ridurre l’attivazione emotiva. Ma nel gruppo con BN, la storia era diversa. L’LPP rimaneva alto per molto più tempo! Addirittura, impiegava più tempo a tornare a livelli normali durante la “rivalutazione” rispetto a quando veniva chiesto semplicemente di “mantenere” l’emozione negativa. Sembra controintuitivo, vero? È come se lo sforzo di provare a cambiare prospettiva, quando l’emozione è già molto intensa, fosse non solo difficile, ma quasi controproducente nel breve termine a livello neurale, mantenendo il cervello in uno stato di allerta prolungato.

Cosa Significa Tutto Questo? Implicazioni Reali

Questi risultati dipingono un quadro più chiaro e complesso. Le persone con BN sembrano portare un doppio fardello emotivo: non solo vivono le emozioni con un’intensità maggiore fin dall’inizio (maggiore LPP nella fase di elaborazione), ma faticano anche ad implementare efficacemente strategie cognitive come la rivalutazione per calmarsi (LPP prolungato nella fase di regolazione).
Questo ha implicazioni enormi per la terapia. La Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), trattamento d’elezione per la BN, punta molto sulla rivalutazione cognitiva. Ma i nostri dati suggeriscono che, se l’emozione è troppo intensa, chiedere semplicemente di “pensarla diversamente” potrebbe non funzionare o essere molto difficile. Forse, prima di lavorare sulla rivalutazione, bisognerebbe aiutare queste persone a gestire l’intensità iniziale. Come? Magari con tecniche di tolleranza dello stress o di distrazione, strategie che aiutano a “surfare l’onda” emotiva intensa senza esserne travolti, per poi, solo quando l’attivazione si è un po’ abbassata, provare a lavorare sulla prospettiva.

Una donna seduta da sola in una stanza con luce soffusa, guarda fuori da una finestra con un'espressione pensierosa e leggermente sopraffatta. L'immagine trasmette introspezione e la lotta interiore con le emozioni. Stile fotorealistico, obiettivo prime 50mm, profondità di campo ridotta, leggero effetto duotone blu e grigio.

È fondamentale che noi clinici siamo consapevoli di questa maggiore intensità emotiva. Quando in terapia si toccano corde emotive profonde, chi soffre di BN potrebbe aver bisogno di un supporto maggiore per capire e gestire ciò che prova. Non si tratta di incapacità, ma di un funzionamento neurobiologico che rende il compito più arduo.

Certo, il nostro studio ha dei limiti: abbiamo studiato solo donne, e principalmente reclutate dalla comunità, non tutte provenienti da servizi clinici. Sappiamo che i disturbi alimentari sono eterogenei e che potrebbero esserci differenze anche negli uomini o in altre forme di disturbi alimentari come l’anoressia. Inoltre, non possiamo essere sicuri al 100% che le partecipanti abbiano seguito perfettamente le istruzioni (magari alcune strategie di regolazione avvengono in automatico).

Nonostante questo, credo che questi risultati aprano strade importanti. Capire meglio le basi neurali delle difficoltà emotive nella BN ci permette di pensare a trattamenti sempre più personalizzati ed efficaci, che non si limitino a gestire i sintomi (abbuffate, condotte compensatorie), ma vadano al cuore del problema: aiutare le persone a navigare il complesso, e a volte tempestoso, mare delle loro emozioni.

Fonte: Springer

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