Shigella: Il Nuovo Detective Molecolare che Cambia Colore!
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi appassiona tantissimo nel mio campo: la lotta contro i “cattivi” invisibili che possono nascondersi nel nostro cibo e nella nostra acqua. Uno di questi è un batterio gram-negativo piuttosto fastidioso chiamato Shigella flexneri. Non lasciatevi ingannare dal nome un po’ esotico, è uno dei principali responsabili della shigellosi, una forma di dissenteria emorragica molto contagiosa. Un vero problema di salute pubblica, specialmente nei paesi in via di sviluppo dove colpisce duramente i bambini sotto i cinque anni.
Perché la Shigella flexneri è un problema serio?
Immaginate questo batterio come un piccolo vandalo che, una volta ingerito tramite cibo o acqua contaminati, attacca il nostro colon e l’ileo, causando infiammazioni e quella brutta dissenteria di cui parlavo. La S. flexneri è particolarmente subdola perché è responsabile di circa il 60% dei casi di dissenteria bacillare nel mondo e ha un tasso di mortalità più alto rispetto alle sue “cugine” (altre specie di Shigella come S. dysenteriae, S. boydii e S. sonnei).
Capite bene che riuscire a scovarla rapidamente, prima che possa fare danni, è fondamentale. Il problema? I metodi tradizionali per identificarla sono spesso lenti, richiedono personale specializzato e attrezzature complesse, e a volte non sono nemmeno così sensibili. Pensateci: se sospettate una contaminazione alimentare, volete una risposta in fretta, non giorni dopo!
La nostra idea: un “detective” molecolare super veloce
Ed è qui che entriamo in gioco noi ricercatori, sempre alla ricerca di soluzioni più smart. Negli ultimi anni, i biosensori sono diventati i nostri alleati numero uno. Sono affidabili, rapidi e spesso più economici. Per la S. flexneri ne sono stati sviluppati diversi tipi: elettrochimici, immunologici, basati su fluorescenza… ma noi abbiamo pensato a qualcosa di ancora più diretto e, oserei dire, affascinante: un biosensore colorimetrico basato su DNAzyme.
“DNA-che?” vi starete chiedendo. Tranquilli, ve lo spiego semplice. Abbiamo preso due concetti potenti e li abbiamo fusi insieme:
- Aptameri: Immaginateli come delle minuscole “chiavi” molecolari (in questo caso, sequenze di DNA a singolo filamento) progettate specificamente per legarsi a una “serratura” ben precisa sulla superficie del batterio S. flexneri. Sono super selettivi!
- DNAzyme: Questa è la parte “magica”. È un’altra sequenza di DNA speciale che, in presenza di un cofattore (nel nostro caso, l’emina, un derivato dell’emoglobina), si comporta come un enzima, in particolare come una perossidasi. Gli enzimi sono catalizzatori, accelerano le reazioni chimiche.
Abbiamo quindi creato un “ibrido” chiamato HGD-aptamero (Hemin G-quadruplex DNAzyme-aptamer), che unisce la capacità di riconoscimento dell’aptamero alla capacità di segnalazione del DNAzyme. Ma non è finita qui! Per rendere il tutto ancora più efficiente e ridurre i “falsi allarmi”, abbiamo usato dei nanotubi di carbonio a parete singola (SWCNT). Questi nanotubi funzionano un po’ come un’ancora: tengono legato l’HGD-aptamero finché non arriva il bersaglio, la S. flexneri.
Come funziona il test? È quasi magia (ma è scienza!)
Il principio è ingegnoso nella sua semplicità. Ecco i passaggi chiave:
1. Prepariamo una superficie (ad esempio, un pozzetto di una piastra da laboratorio) con i nostri SWCNT trattati per essere più “socievoli” in acqua.
2. Aggiungiamo l’HGD-aptamero. Questo si “avvolge” attorno ai nanotubi grazie a interazioni specifiche (π-stacking, per i più tecnici). In questa fase, la parte DNAzyme dell’aptamero è “spenta”.
3. Introduciamo il campione da analizzare (acqua, cibo…). Se la Shigella flexneri è presente, l’aptamero la riconosce immediatamente (ricordate la chiave e la serratura?) e si “sgancia” dai nanotubi per legarsi al batterio.
4. A questo punto, la parte DNAzyme dell’aptamero è libera! Aggiungendo l’emina e un paio di altre sostanze chimiche (ABTS, che è incolore, e H2O2, acqua ossigenata), il DNAzyme si attiva e catalizza l’ossidazione dell’ABTS.
5. Ed ecco la magia: l’ABTS ossidato diventa di un bel colore blu-verde! Più batteri ci sono, più intenso sarà il colore. Se non c’è S. flexneri, l’aptamero resta legato ai nanotubi, il DNAzyme non si attiva e la soluzione rimane incolore.
Il risultato è visibile a occhio nudo o quantificabile con un semplice spettrofotometro (uno strumento che misura l’intensità del colore). Niente più attese infinite o procedure complicate!

Ma funziona davvero? Le prove sul campo
Ovviamente, non ci siamo fermati all’idea. Abbiamo messo alla prova il nostro biosensore. E i risultati sono stati davvero incoraggianti!
* Sensibilità: Siamo riusciti a rilevare la S. flexneri fino a una concentrazione bassissima, circa 51 cellule batteriche per millilitro (CFU/mL). È un risultato notevole, che supera la sensibilità di altri metodi basati su aptameri e persino della PCR (la reazione a catena della polimerasi, un metodo molecolare molto usato) in alcune condizioni, specialmente quando il carico batterico iniziale è basso e l’estrazione del DNA per la PCR diventa problematica.
* Specificità: Abbiamo testato il nostro sensore anche con altri batteri comuni (come E. coli, Pseudomonas aeruginosa, Vibrio cholerae…). Risultato? Nessun segnale colorato! Il nostro HGD-aptamero riconosce solo la S. flexneri, evitando falsi positivi. Questo è cruciale in campioni reali, che sono spesso un mix di microrganismi.
* Test su alimenti reali: Abbiamo “contaminato” apposta campioni di pesce, gamberetti e pollo acquistati al mercato con S. flexneri e poi abbiamo usato il nostro test. Ha funzionato alla grande, rilevando il batterio anche a concentrazioni molto basse (nell’ordine delle decine o poche migliaia di CFU/mL, a seconda del tipo di alimento). Abbiamo anche testato 50 campioni di cibo presi a caso dai mercati locali: il nostro metodo ha identificato correttamente i campioni positivi, con risultati molto simili a quelli ottenuti con la PCR, dimostrando la sua efficacia “sul campo”. Un vantaggio enorme è che possiamo usare i campioni alimentari quasi direttamente, senza complessi passaggi di pre-trattamento richiesti da altri metodi.
* Stabilità e Costi: L’aptamero è una molecola di DNA, quindi è abbastanza stabile se conservato correttamente. Inoltre, questo approccio elimina la necessità di usare nanoparticelle d’oro (spesso usate in altri test colorimetrici) o anticorpi costosi, rendendo il test potenzialmente molto più economico. Anche i nanotubi di carbonio sono usati in quantità minime.

Cosa significa tutto questo?
Abbiamo sviluppato un metodo innovativo, rapido, specifico, sensibile e potenzialmente economico per scovare la Shigella flexneri. Pensate alle implicazioni:
- Sicurezza alimentare: Controlli più veloci ed economici lungo tutta la filiera produttiva.
- Monitoraggio ambientale: Analisi rapide di campioni d’acqua per prevenire epidemie.
- Salute pubblica: Diagnosi più tempestive in caso di focolai, permettendo interventi mirati e più efficaci.
Certo, c’è ancora lavoro da fare. Ad esempio, stiamo cercando di rendere il substrato colorimetrico (l’ABTS) ancora più stabile nel tempo una volta che ha reagito, per facilitare ulteriormente la lettura. Stiamo anche pensando a come integrare questa tecnologia in piattaforme ancora più semplici, magari basate su carta (come i test di gravidanza, per intenderci), per renderla utilizzabile davvero ovunque, anche in contesti con risorse limitate.
Ma la strada intrapresa è promettente. Questo studio è un piccolo passo avanti nella grande sfida della diagnostica delle malattie infettive, ma dimostra come l’ingegneria molecolare e le nanotecnologie possano offrirci strumenti potenti per proteggere la nostra salute. È affascinante vedere come combinando “pezzi” di DNA e nanomateriali si possa creare qualcosa di così utile! Spero di avervi trasmesso un po’ del mio entusiasmo per questa ricerca. Alla prossima!
Fonte: Springer
