Fotografia macro, 100mm, di uno scaffold biostampato tridimensionale traslucido con microalghe verdi incorporate, illuminato da una luce laterale che ne evidenzia la struttura porosa interna e la vitalità delle alghe, alta definizione, sfondo sfocato da laboratorio.

Microalghe Stampate in 3D: La Mia Scommessa Verde per Guarire le Ferite!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta davvero appassionando, un campo di ricerca che sembra uscito da un film di fantascienza, ma che è incredibilmente reale e promettente: il bioprinting di scaffold caricati con microalghe per la rigenerazione dei tessuti. Sì, avete capito bene, microalghe! Quelle minuscole creature verdi che di solito associamo agli stagni o agli integratori alimentari potrebbero essere la chiave per risolvere uno dei problemi più grandi della medicina rigenerativa.

Il Grande Ostacolo: La Fame d’Ossigeno dei Tessuti Artificiali

Quando parliamo di ingegneria tissutale, l’obiettivo è creare strutture biologiche in laboratorio per riparare o sostituire tessuti danneggiati. Pensate a quanto sarebbe rivoluzionario poter “stampare” un pezzo di pelle per un ustionato o persino parti di organi. Ci stiamo lavorando sodo, ma c’è un nemico subdolo: l’ipossia, ovvero la mancanza di ossigeno.

Immaginate di costruire una casa (il nostro tessuto artificiale) e di dimenticarvi le finestre e le porte per far entrare aria fresca. Le cellule all’interno di questi costrutti 3D, una volta impiantate nel corpo, soffrono terribilmente la carenza di ossigeno, soprattutto quelle più in profondità. Questo porta spesso alla morte cellulare (apoptosi) e alla necrosi del micro-tessuto, vanificando tutti i nostri sforzi.

Finora abbiamo provato diverse soluzioni, come materiali che rilasciano ossigeno (perossidi vari), ma spesso questi composti sono tossici per le cellule o rilasciano ossigeno in modo incontrollato. Non proprio l’ideale, vero?

L’Idea Luminosa (Letteralmente!): Le Microalghe al Salvataggio

Ed è qui che entra in gioco la mia (e di molti altri ricercatori, ovviamente!) idea un po’ folle ma geniale: usare le microalghe. Perché? Perché sono delle vere e proprie fabbriche di ossigeno in miniatura! Grazie alla fotosintesi, se illuminate, producono ossigeno in modo continuo e naturale.

L’idea è semplice quanto potente: incorporare queste microalghe direttamente negli scaffold, le impalcature biocompatibili su cui crescono le cellule umane. In questo modo, le alghe fornirebbero ossigeno *in situ*, proprio dove serve, combattendo l’ipossia dall’interno, anche senza un apporto esterno di ossigeno. Fantastico, no?

Studi precedenti avevano già mostrato che alcune alghe, come Chlamydomonas reinhardtii, sono biocompatibili, fotosinteticamente attive all’interno degli scaffold e possono ridurre la risposta ipossica delle cellule umane (come i fibroblasti) in condizioni di scarso ossigeno. Addirittura, impiantate in modelli animali, queste alghe sono sopravvissute per giorni senza scatenare risposte immunitarie significative e promuovendo la vascolarizzazione!

Stampare il Futuro: Il Bioprinting 3D con le Alghe

Ma come mettiamo insieme cellule umane, alghe e scaffold in una struttura precisa e funzionale? Con il bioprinting 3D! Questa tecnologia ci permette di depositare strato su strato un “bioinchiostro” – un idrogel biocompatibile contenente le cellule (e nel nostro caso, anche le alghe) – per creare strutture tridimensionali complesse che imitano i tessuti naturali.

È un po’ come una stampante 3D normale, ma invece della plastica usa materiali biologici e cellule vive. Tra i vari metodi, quello a estrusione è molto popolare per la sua versatilità. Abbiamo a disposizione diversi materiali per creare il bioinchiostro: polimeri sintetici, proteine naturali come il collagene (fondamentale per la matrice extracellulare dei nostri tessuti) e polisaccaridi naturali come l’alginato.

Immagine macro, lente 100mm, di uno scaffold biostampato poroso con microalghe verdi visibili all'interno della struttura gelatinosa trasparente, alta definizione, illuminazione da laboratorio controllata.

L’alginato è fantastico perché gelifica rapidamente in presenza di calcio, stabilizzando la struttura stampata senza danneggiare le cellule. Spesso viene combinato con altri agenti per migliorarne la stampabilità, come la metilcellulosa. Ma io mi sono chiesto: perché non usare il collagene? È una proteina chiave per la riparazione dei tessuti, promuove l’adesione e la differenziazione cellulare, è biocompatibile e trattiene acqua. Inoltre, la sua viscosità si adatta bene al bioprinting.

La Nostra Ricerca: Un Bioinchiostro Speciale con Alghe Polari

Nel mio lavoro recente, ho voluto esplorare proprio questa combinazione: alginato e collagene come bioinchiostro, caricato con una microalga molto speciale: Chlorella variabilis YTU.ANTARCTIC.001. Perché questa scelta? Perché è un’alga polare, isolata dall’Antartide!

Queste alghe sono delle vere dure: sopravvivono in condizioni estreme producendo un sacco di composti bioattivi (antiossidanti, acidi grassi polinsaturi, polisaccaridi) con effetti antimicrobici, anti-infiammatori e rigenerativi. E non è tutto: sono eccezionali produttrici di ossigeno anche a basse temperature e con poca luce. Perfette per il nostro scopo!

Abbiamo quindi preparato un bioinchiostro mescolando alginato (3.5%), diverse percentuali di collagene (5%, 10%, 15%) e le nostre cellule di Chlorella variabilis (circa 150.000 cellule per millilitro di inchiostro). L’obiettivo era trovare la ricetta perfetta per la stampabilità e la vitalità cellulare.

Test di Stampa e Risultati Promettenti

Abbiamo testato le diverse formulazioni con la nostra biostampante 3D (una Cellink BIOX).

  • Il bioinchiostro con il 5% di collagene era troppo liquido, le strutture stampate collassavano. Bocciato.
  • Quello con il 15% di collagene era troppo viscoso, richiedeva pressioni altissime e le strutture non erano perfette. Troppo denso.
  • La formulazione con il 10% di collagene si è rivelata la migliore! Stampava facilmente, le linee erano lisce e le strutture mantenevano la forma anche dopo la “cottura” (il crosslinking con cloruro di calcio per solidificare l’alginato). Abbiamo anche provato diversi pattern di riempimento (nido d’ape, triangolare, griglia) e diversi numeri di strati (5, 10, 20), ottenendo sempre ottimi risultati in termini di precisione e porosità. Bingo!

Fotografia macro, 60mm, di diverse piccole strutture scaffold biostampate con pattern differenti (griglia, nido d'ape) su una piastra di Petri, evidenziando la precisione della stampa 3D, luce laterale per enfatizzare la texture.

Una volta scelto il bioinchiostro (Alginato 3.5% + Collagene 10% + Chlorella variabilis), abbiamo stampato i nostri scaffold (dimensioni 20x20x2 mm, 10 strati) e li abbiamo messi in incubazione nel loro terreno di coltura (BG-11) sotto luce continua per 16 giorni.

Le Alghe Prosperano e Producono Ossigeno!

E qui arriva la parte più emozionante: i risultati!

  • Crescita algale: Le microalghe si sono trovate benissimo dentro lo scaffold! Abbiamo osservato una crescita costante per circa 14 giorni, seguendo le classiche fasi (lag, log, stazionaria) prima di iniziare un leggero declino. Le foto al microscopio mostravano le alghe vitali e distribuite nella matrice.
  • Produzione di ossigeno: La vera magia! Abbiamo misurato l’ossigeno disciolto nel mezzo di coltura. Dopo un leggero calo iniziale (forse dovuto all’adattamento), la concentrazione di ossigeno è salita costantemente, passando da circa 6 mg/L a picchi di quasi 12 mg/L intorno al 14° giorno! Un aumento notevole, confermando la capacità fotosintetica delle alghe all’interno dello scaffold.
  • pH e Pigmenti: Abbiamo monitorato anche il pH, che ha mostrato delle fluttuazioni legate all’attività metabolica delle alghe, e la concentrazione di clorofilla, che seguiva un andamento simile alla curva di crescita.

Questi risultati sono incredibilmente incoraggianti. Dimostrano che è possibile creare scaffold porosi e biocompatibili tramite bioprinting 3D, incorporando microalghe vive e funzionali. Queste alghe non solo sopravvivono e crescono, ma producono attivamente ossigeno, creando un ambiente molto più favorevole per le cellule umane che un giorno potrebbero popolare questi scaffold per riparare ferite, specialmente quelle difficili come le ustioni.

Primo piano, lente macro 90mm, di bollicine di ossigeno che emergono da uno scaffold verde immerso in liquido trasparente sotto una luce intensa, simboleggiando la produzione fotosintetica di ossigeno, alta definizione, messa a fuoco precisa sulle bolle.

Verso il Futuro: Medicazioni Fotosintetiche

Certo, la strada è ancora lunga. Dobbiamo ottimizzare le condizioni di coltura, testare la co-coltura con cellule umane all’interno di questi scaffold algali, valutare la risposta immunitaria in modelli più complessi e magari esplorare altri materiali per i bioinchiostri.

Ma l’idea di sviluppare delle “medicazioni fotosintetiche” che combattono attivamente l’ipossia e rilasciano composti bioattivi direttamente sulla ferita è tremendamente affascinante. È un approccio innovativo che sfrutta la potenza della natura, combinata con la precisione della tecnologia di bioprinting, per affrontare una sfida medica cruciale.

Credo davvero che l’integrazione di queste microalghe, specialmente le resilienti specie polari, nei biomateriali apra nuove, entusiasmanti strade per la medicina rigenerativa. Chissà, forse un giorno le ferite si guariranno anche grazie a un piccolo aiuto… verde!

Fonte: Springer

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