Cancro al Seno Avanzato: Il Tuo Sangue Rivela Come Funzionano le Nuove Terapie?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi appassiona molto e che sta cambiando il volto della lotta contro una forma specifica di cancro al seno: quello HER2-positivo. Fino a qualche tempo fa, era considerato uno dei tipi più aggressivi, ma grazie alla ricerca e allo sviluppo di farmaci mirati, le cose sono decisamente migliorate.
La Rivoluzione degli Anticorpi Coniugati
Abbiamo assistito a passi da gigante, prima con il trastuzumab e poi con farmaci ancora più sofisticati come gli anticorpi coniugati (ADC). Tra questi, spiccano il trastuzumab emtansine (T-DM1) e il trastuzumab deruxtecan (T-DXd). Questi farmaci sono come dei “cavalli di Troia”: un anticorpo che riconosce le cellule tumorali HER2-positive si lega a un potente chemioterapico e lo consegna direttamente all’interno del tumore, massimizzando l’effetto e riducendo (idealmente) i danni alle cellule sane. Grazie a loro, il cancro al seno HER2-positivo è diventato il sottotipo con i progressi terapeutici più notevoli.
Ma la battaglia non è ancora vinta per tutte. Per affinare ulteriormente le strategie terapeutiche, dobbiamo capire sempre meglio i meccanismi biologici alla base di questo tumore e, in particolare, il suo rapporto con il nostro sistema immunitario. Sì, perché l’immunità gioca un ruolo cruciale!
Biomarcatori nel Sangue: Cosa Sono e Perché Sono Importanti?
Sappiamo, ad esempio, che i linfociti infiltranti il tumore (TILs), cioè le cellule immunitarie presenti direttamente nel microambiente tumorale, sono associati agli esiti nelle pazienti con cancro al seno HER2-positivo. Un punteggio TILs più alto, specialmente in fase pre-operatoria, spesso significa una maggiore probabilità di rispondere bene alla chemioterapia.
Il problema è che, nel contesto metastatico, non è sempre facile o possibile ottenere biopsie delle lesioni per analizzare i TILs. E allora, come facciamo a valutare lo stato immunitario della paziente? Qui entrano in gioco i biomarcatori del sangue periferico. Si tratta di indicatori che possiamo misurare con un semplice prelievo di sangue, come la conta assoluta dei linfociti (ALC) e il rapporto neutrofili/linfociti (NLR).
L’ALC ci dà un’idea della forza della nostra “armata” immunitaria antitumorale, mentre l’NLR riflette l’equilibrio tra processi infiammatori (che possono favorire il tumore) e risposte immunitarie. Questi biomarcatori sono già stati associati all’efficacia di diverse terapie per il cancro al seno. Ad esempio, un basso NLR all’inizio del trattamento con T-DM1 sembra correlato a esiti peggiori. Ma cosa succede con il T-DXd? E ci sono differenze tra i due farmaci?

Lo Studio: Confronto tra T-DM1 e T-DXd
Proprio per rispondere a queste domande, abbiamo analizzato i dati di 85 donne con cancro al seno avanzato trattate presso l’Hyogo College of Medicine Hospital: 40 con T-DM1 e 45 con T-DXd. Nel gruppo T-DXd, c’erano sia pazienti con tumore HER2-positivo (26) sia pazienti con una nuova categoria chiamata HER2-low (19), cioè con una bassa espressione di HER2.
Abbiamo guardato i valori di ALC e NLR all’inizio del trattamento (baseline) e alla fine del trattamento (EOT – End Of Treatment) e li abbiamo messi in relazione con due parametri chiave:
- Progression-Free Survival (PFS): il tempo trascorso prima che la malattia progredisse o sopraggiungesse il decesso.
- Overall Survival (OS): la sopravvivenza globale dall’inizio del trattamento.
- OS after EOT: la sopravvivenza globale dopo la fine del trattamento con T-DM1 o T-DXd.
L’obiettivo era capire se questi semplici biomarcatori potessero darci indicazioni prognostiche diverse a seconda del farmaco utilizzato e del livello di espressione di HER2.
Risultati Sorprendenti per T-DM1
Nel gruppo trattato con T-DM1, i risultati sono stati piuttosto chiari e hanno confermato l’importanza dello stato immunitario.
- All’inizio della terapia (baseline), le pazienti con un ALC alto e un NLR basso hanno avuto una PFS significativamente migliore. Questo suggerisce che partire con un sistema immunitario “in forma” aiuta il T-DM1 a funzionare meglio e più a lungo.
- Alla fine della terapia (EOT), le pazienti che mantenevano un NLR basso hanno mostrato una sopravvivenza (OS after EOT) significativamente più lunga. Anche un ALC alto all’EOT tendeva a correlare con una sopravvivenza migliore, anche se la significatività statistica era al limite (p=0.071).
L’analisi multivariata ha confermato che l’NLR alla fine del trattamento era un fattore prognostico indipendente per la sopravvivenza successiva, anche tenendo conto di altre caratteristiche cliniche e patologiche. Insomma, per il T-DM1, sembra proprio che lo stato immunitario della paziente, sia all’inizio che durante/alla fine della terapia, abbia un peso rilevante sull’efficacia del trattamento e sulla prognosi a lungo termine.

T-DXd: Una Storia Diversa, Soprattutto per HER2-positivo
Passiamo ora al T-DXd. Qui la situazione si è rivelata più complessa e sfumata.
Considerando tutte le pazienti trattate con T-DXd insieme, abbiamo visto che un NLR basso all’inizio era associato a una PFS migliore, un po’ come per il T-DM1. Tuttavia, questo potrebbe riflettere più un valore prognostico generale dell’NLR (un basso NLR è spesso associato a una prognosi migliore in molti tumori) piuttosto che un predittore specifico della risposta al T-DXd. Infatti, né l’ALC né l’NLR (né al baseline né all’EOT) sembravano associati alla sopravvivenza globale (OS o OS after EOT) nel gruppo T-DXd complessivo.
Ma la vera sorpresa è arrivata quando abbiamo suddiviso il gruppo T-DXd in base all’espressione di HER2:
- Nel sottogruppo HER2-positivo (cioè con alta espressione di HER2), nessuno dei biomarcatori immunitari (ALC o NLR, al baseline o all’EOT) è risultato associato agli esiti del trattamento (PFS, OS, OS after EOT).
Questo è un risultato molto interessante! Suggerisce che il T-DXd, nelle pazienti con tumore HER2-positivo, sia talmente potente ed efficace da riuscire a fare il suo lavoro indipendentemente dallo stato immunitario della paziente. La sua forte attività antitumorale diretta sembra “bypassare” la necessità di una forte collaborazione da parte del sistema immunitario.
Ma per HER2-low… L’Immunità Conta!
E qui arriva un altro colpo di scena. Nel sottogruppo di pazienti con tumore HER2-low (bassa espressione di HER2), la musica cambia di nuovo! In queste pazienti:
- Un ALC alto al baseline era associato a una sopravvivenza globale (OS) significativamente migliore.
- Un ALC alto alla fine del trattamento (EOT) era associato a una sopravvivenza dopo la fine del trattamento (OS after EOT) significativamente migliore.
L’NLR, invece, non sembrava avere un ruolo significativo in questo sottogruppo. Cosa ci dice questo? Potrebbe significare che, quando l’espressione di HER2 è più bassa, l’effetto diretto del T-DXd è magari relativamente meno dirompente rispetto a quando HER2 è altissimo. In questo scenario “HER2-low”, la collaborazione del sistema immunitario (riflessa da un buon numero di linfociti, cioè un ALC alto) potrebbe tornare ad essere importante per ottenere i migliori risultati a lungo termine.

Cosa Significa Tutto Questo? Implicazioni e Prospettive Future
Riassumendo, questo studio, seppur con i limiti di essere retrospettivo e su un numero non enorme di pazienti, ci offre spunti davvero affascinanti:
- L’efficacia del T-DM1 sembra influenzata dallo stato immunitario della paziente, misurabile con semplici esami del sangue come ALC e NLR. Mantenere un buon profilo immunitario durante la terapia potrebbe essere cruciale.
- L’efficacia del T-DXd nel cancro al seno HER2-positivo sembra essere largamente indipendente dallo stato immunitario della paziente, probabilmente grazie alla sua elevata potenza intrinseca.
- Nel cancro al seno HER2-low, invece, lo stato immunitario (in particolare un buon livello di linfociti, ALC alto) sembra tornare ad avere un ruolo importante per l’efficacia a lungo termine del T-DXd.
Queste osservazioni suggeriscono che il modo in cui l’immunità interagisce con questi farmaci potrebbe dipendere dal livello di espressione di HER2. È una prospettiva intrigante che merita sicuramente ulteriori indagini. Serviranno studi più ampi e prospettici per confermare questi risultati e per capire ancora meglio i meccanismi d’azione di questi farmaci rivoluzionari.
Capire queste dinamiche potrebbe aiutarci in futuro a personalizzare ancora di più le terapie, magari identificando le pazienti che potrebbero beneficiare di strategie combinate che potenzino sia l’effetto del farmaco sia la risposta immunitaria. La strada è ancora lunga, ma ogni passo avanti nella conoscenza ci avvicina all’obiettivo di offrire trattamenti sempre più efficaci e mirati per le donne che affrontano il cancro al seno avanzato.
Fonte: Springer
