USA: Straniero = Cattivo? Il Bias Nascosto che Modella la Società
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, e un po’ scomodo, nella mente umana, in particolare quella degli americani quando si parla di chi non è nato negli Stati Uniti. Sapete, gli USA si dipingono spesso come un “melting pot”, un crogiolo di culture, un “paese di immigrati”. E i numeri parlano chiaro: oltre 46 milioni di residenti sono nati all’estero! Eppure, diciamocelo, chi viene da fuori spesso si scontra con muri invisibili, disuguaglianze, persino odio. Ma perché? Cosa scatta nella testa delle persone?
Ecco, un gruppo di ricercatori ha provato a scavare a fondo, usando un mix di esperimenti e analisi di dati reali, per capire i meccanismi psicologici dietro al pregiudizio verso i “non americani”. E quello che hanno scoperto è davvero interessante.
Il Peso delle Parole: Alieno, Straniero, Non Cittadino
Prima domanda che ci siamo posti: fa davvero differenza chiamare qualcuno “alieno” (alien), “straniero” (foreigner) o “non cittadino” (noncitizen)? Intuitivamente, “alieno” suona peggio, no? Tanto che l’amministrazione Biden ha chiesto di smetterla di usarlo nei documenti ufficiali, preferendo “non cittadino”.
Per capirlo, abbiamo usato dei test psicologici furbi, come l’Implicit Association Test (IAT). In pratica, misura le associazioni automatiche, quelle che facciamo in una frazione di secondo, senza pensarci troppo. Il risultato? Sorpresa (o forse no): a livello implicito, cioè automatico e inconscio, tutte e tre le etichette (“alieno”, “straniero”, “non cittadino”) sono risultate fortemente negative rispetto ad “Americano”. E, cosa ancora più interessante, non c’era quasi differenza tra loro! Sembra che la nostra mente, a livello profondo, le metta tutte nello stesso calderone negativo quando le confronta con l’idea di “Americano”.
Certo, se chiedevamo esplicitamente alle persone cosa pensassero (cioè a livello conscio), le cose cambiavano un po’. Lì sì che “alieno” risultava leggermente meno gradito di “straniero” e “non cittadino”. Anzi, a volte le persone esprimevano addirittura una leggera preferenza per le etichette “non americane” rispetto ad “Americano”. Strano? Forse è solo un modo per apparire più aperti e non prevenuti, chissà. Ma sotto sotto, a livello automatico, la preferenza per “Americano” e la negatività verso le altre etichette rimanevano fortissime.
Dall’Etichetta alla Persona: L’Effetto Contagio
Ok, le etichette sono negative in astratto. Ma cosa succede se le appiccichiamo a una faccia specifica? Abbiamo fatto un altro esperimento: abbiamo mostrato ai partecipanti le foto di due persone (inventate) e, ripetutamente, abbiamo associato una all’etichetta “Americano” e l’altra alle etichette “alieno”, “straniero” e “non cittadino”. Bastavano poche associazioni, tipo 15 per tipo.
Ebbene, indovinate un po’? Anche dopo questa “lezione” minima, i partecipanti mostravano una preferenza implicita (automatica) per la persona etichettata come “Americana” rispetto a quella etichettata come “non Americana”. Bastava l’etichetta per trasferire quella negatività automatica sulla persona! E questo succedeva indipendentemente dal fatto che le persone nelle foto fossero uomini o donne, bianchi, asiatici, neri o multirazziali. Il bias funzionava allo stesso modo.
Ancora una volta, a livello esplicito (chiedendo direttamente), le risposte erano più sfumate: a volte nessuna preferenza, a volte una leggera preferenza per l’americano, ma molto meno marcata rispetto al livello implicito. Sembra proprio che la nostra mente automatica sia molto più sensibile a queste etichette di quanto non lo sia la nostra parte conscia (o di quanto non vogliamo ammettere).

Ma Questo Bias Automatico Conta Davvero nella Vita Reale?
Bella domanda. Avere un’associazione automatica negativa è una cosa, ma si traduce poi in comportamenti concreti? Qui le cose si fanno super interessanti.
Abbiamo fatto due tipi di analisi:
- A livello individuale: Abbiamo misurato il bias implicito “Americano=buono / Straniero=cattivo” e abbiamo visto se prevedeva le opinioni politiche sull’immigrazione (tipo essere contro le “sanctuary cities” o a favore di leggi più dure). Risultato: sì, chi aveva un bias implicito anti-straniero più forte era anche più propenso ad avere posizioni anti-immigrazione. Questo anche tenendo conto delle opinioni esplicite!
- A livello di contea (USA): Qui abbiamo usato dati d’archivio pazzeschi. Abbiamo preso i risultati di 18 referendum reali tenutisi in 10 stati diversi negli ultimi 30 anni, tutti su temi legati all’immigrazione (tipo negare servizi, rendere più difficile ottenere documenti, ecc.). Poi abbiamo preso i dati medi del bias implicito misurato in quelle stesse contee (usando un test simile, che associava “Bianco” ad “Americano” e “Asiatico” a “Straniero”, un bias correlato al primo). Risultato: le contee con un bias implicito medio più forte (Bianco-Americano / Asiatico-Straniero) tendevano a votare in modo più massiccio per le misure anti-immigrazione. E questo legame rimaneva forte anche controllando per il bias esplicito (che, a livello di contea, non sembrava predire il voto!).
Quindi, sì, quel “click” automatico nella nostra testa sembra avere un peso, eccome, sia nelle opinioni che esprimiamo, sia, e forse è questo il dato più forte, nelle decisioni collettive che hanno un impatto enorme sulla vita di milioni di persone.

Chi Tende ad Avere Questi Bias Più Forti?
Abbiamo anche guardato se c’erano differenze tra gruppi di persone. E qualche piccola differenza c’è:
- Genere: Gli uomini tendevano ad avere un bias implicito anti-straniero leggermente più forte delle donne.
- Ideologia politica: I conservatori mostravano un bias implicito (e anche esplicito) più forte dei liberali.
Ma attenzione, il punto chiave è che il bias implicito pro-Americano/anti-straniero era comunque presente e significativo anche tra le donne e tra i liberali più convinti. È un fenomeno davvero pervasivo.
Un’altra cosa sorprendente: la storia personale o familiare di immigrazione non sembrava fare differenza! Anche chi era immigrato o figlio di immigrati mostrava, in media, lo stesso livello di bias implicito. Forse è un segno di quanto velocemente ci si assimila alla cultura dominante, che negli USA enfatizza molto l'”eccezionalismo americano”? È un’ipotesi.
Cosa Ci Portiamo a Casa?
Insomma, questo viaggio nella mente ci mostra un quadro chiaro: negli Stati Uniti esiste un bias implicito robusto e diffuso contro chi è percepito come “non americano”. Questo bias non dipende molto dall’etichetta specifica usata (“alieno”, “straniero”, “non cittadino”), si attacca facilmente alle persone indipendentemente dalla loro razza o genere, ed è correlato sia alle opinioni politiche individuali sia, cosa più preoccupante, ai risultati di votazioni reali con conseguenze tangibili.
Cosa significa tutto questo? Be’, sicuramente che cambiare semplicemente un’etichetta, come passare da “alieno” a “non cittadino”, per quanto ben intenzionato, probabilmente non basta a scalfire questo pregiudizio radicato a livello automatico. È come dare una mano di vernice fresca a un muro che ha le fondamenta crepate.
Serve qualcosa di più profondo, che tenga conto sia di come funziona la nostra mente, con i suoi automatismi e le sue scorciatoie, sia delle strutture sociali, economiche e politiche che continuano a marginalizzare chi viene da fuori. Un bel grattacapo, non c’è che dire, ma capire come stanno le cose è il primo passo per provare a cambiarle, no?
Fonte: Springer
