Immagine concettuale fotorealistica di una batteria agli ioni di sodio che opera stabilmente a una temperatura elevata, simboleggiata da un leggero bagliore caldo attorno alla cella ma senza segni di danneggiamento. Sullo sfondo, una rappresentazione stilizzata della struttura chimica del NaBOB e del PES. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo media, illuminazione high-tech che enfatizza la batteria.

Batterie al Sodio Bollenti? Ecco il Segreto per Farle Funzionare al Caldo!

Ciao a tutti, appassionati di scienza e tecnologia! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta davvero a cuore e che potrebbe rivoluzionare il modo in cui immagazziniamo energia: le batterie agli ioni di sodio (SIB). Sappiamo tutti quanto siano fondamentali le batterie, specialmente ora che cerchiamo disperatamente di ridurre le emissioni di gas serra nel trasporto e nello stoccaggio di elettricità. Le batterie agli ioni di litio (LIB) dominano la scena, ma diciamocelo, il litio, il cobalto, il nichel… iniziano a scarseggiare e costano un occhio della testa.

Ecco dove entrano in gioco le nostre amiche SIB! Promettono costi inferiori e maggiore sostenibilità, usando il sodio, che è abbondante come il sale da cucina (letteralmente!). In più, sembrano essere anche più sicure. Figo, no? Ma c’è sempre un “ma”. Farle funzionare bene, specialmente con elettrodi belli carichi di materiale (high mass-loading) e a temperature un po’ più alte del solito, è una bella sfida.

La Ricetta Segreta: Elettrolita e Additivi

Nel nostro laboratorio (virtuale, per così dire, visto che vi parlo attraverso queste righe!) ci siamo concentrati su un tipo particolare di “succo” per queste batterie: un elettrolita basato su sodio bis(ossalato)borato (NaBOB) sciolto in trietil fosfato (TEP). Il bello di questa combinazione? Non è infiammabile (un bel vantaggio per la sicurezza!) e non contiene fluoro, altro elemento che inizia a destare preoccupazioni. L’unico neo è che il NaBOB non si scioglie tantissimo nel TEP, quindi la concentrazione è un po’ limitata.

Ma la vera magia, come spesso accade in cucina e in chimica, sta negli additivi! Abbiamo studiato l’effetto di aggiungere piccole quantità di due composti solforati: il prop-1-ene-1,3-sultone (PES) e l’1,3,2-diossatiolano 2,2-diossido (DTD, o solfato di etilene). Questi ragazzi sono noti per formare strati protettivi sugli elettrodi nelle batterie al litio, migliorandone la vita e le prestazioni. La domanda era: funzioneranno anche per le nostre SIB al sodio, specialmente quando il gioco si fa… caldo?

Per capirlo, abbiamo messo alla prova queste miscele a 40°C e 55°C, confrontandole con l’elettrolita base NaBOB-TEP senza additivi e con un elettrolita di riferimento “classico” usato spesso nelle SIB (NaPF6 sciolto in carbonati, EC:DEC), che però è infiammabile e contiene fluoro.

Cosa Succede Quando Scaldi l’Elettrolita? L’Indagine NMR

La prima cosa che abbiamo fatto è stata “cuocere” un po’ i nostri elettroliti. Li abbiamo tenuti a 55°C per quattro settimane e abbiamo osservato cosa succedeva. A occhio nudo, una cosa è saltata subito all’occhio: l’elettrolita con il DTD diventava giallognolo/arancione. Gli altri, invece, sembravano impassibili al calore.

Macro fotografia di fiale di vetro in un laboratorio contenenti elettroliti per batterie. Una fiala mostra un liquido trasparente (NaBOB-TEP+PES), un'altra un liquido leggermente giallastro (NaBOB-TEP+DTD dopo riscaldamento). Obiettivo macro 85mm, alta definizione, illuminazione controllata per evidenziare le differenze di colore, sfondo sfocato con attrezzatura da laboratorio.

Per andare più a fondo, abbiamo usato la spettroscopia di Risonanza Magnetica Nucleare (NMR), una tecnica potentissima che ci permette di vedere quali molecole ci sono in un campione e come sono fatte. E qui abbiamo avuto la conferma:

  • Nell’elettrolita di riferimento (NaPF6 in EC:DEC), abbiamo visto tracce di prodotti di degradazione del sale NaPF6, probabilmente acido difluorofosforico, un problema noto anche nelle batterie al litio quando fa caldo.
  • Nell’elettrolita con DTD, l’NMR ha mostrato chiaramente che il DTD era sparito dopo 4 settimane a 55°C! Al suo posto, sono comparsi nuovi segnali. Indagando ulteriormente con tecniche NMR 2D (come l’HMBC), abbiamo capito che il DTD reagiva con il solvente TEP in una reazione chiamata transesterificazione, formando dietil solfato e etil etilene fosfato. Questa reazione iniziava persino a temperatura ambiente, spiegando il leggero cambio di colore anche senza “cottura”.
  • E l’elettrolita con il nostro eroe, il PES? Lui e il NaBOB-TEP base sono rimasti perfettamente stabili! Nessun segno di degradazione dopo 4 settimane a 55°C. Bingo!

Alla Prova dei Fatti: I Cicli di Carica e Scarica

Ok, la stabilità chimica è importante, ma come si comportano queste batterie quando le usiamo davvero? Abbiamo assemblato delle celle complete (full-cell) con un elettrodo positivo di Bianco di Prussia (un materiale promettente per le SIB) e uno negativo di carbonio duro (hard carbon), e le abbiamo sottoposte a cicli di carica e scarica (ciclaggio galvanostatico) a 0.2C (una velocità di carica/scarica moderata) sia a 40°C che a 55°C.

I risultati sono stati illuminanti:

  • L’elettrolita NaBOB-TEP senza additivi ha mostrato un calo rapido della capacità (capacity fading) a entrambe le temperature. Non una gran performance.
  • L’elettrolita con DTD è andato malissimo a 55°C, con un crollo della capacità quasi immediato. A 40°C è partito meglio, ma poi è diventato inaffidabile. Chiaramente, la sua instabilità termica lo mette fuori gioco per applicazioni “calde”.
  • E l’elettrolita NaBOB-TEP con PES? Qui arriva la bella notizia! Ha mostrato un’ottima stabilità nel ciclaggio sia a 40°C che a 55°C. Certo, a 55°C il calo di capacità era leggermente maggiore rispetto ai 40°C (il calore un po’ di stress lo mette sempre), ma la performance era decisamente buona e, soprattutto, paragonabile a quella dell’elettrolita di riferimento (NaPF6 in EC:DEC) per i primi 140 cicli! Anzi, dopo circa 100 cicli, l’elettrolita di riferimento ha iniziato a degradarsi più velocemente, mentre quello con PES ha mantenuto una migliore ritenzione della capacità. Sembra che il PES formi uno strato protettivo (chiamato SEI, Solid Electrolyte Interphase) sull’elettrodo negativo particolarmente efficace anche ad alte temperature.

Grafico scientifico che mostra la ritenzione della capacità di diverse batterie agli ioni di sodio durante cicli di carica/scarica a 55°C. La linea blu (NaBOB-TEP+PES) mostra una stabilità superiore rispetto alla linea arancione (NaBOB-TEP) e verde (NaBOB-TEP+DTD), ed è comparabile alla linea nera (riferimento NaPF6) per molti cicli. Stile grafico pulito, dati ben leggibili.

Resistenza Interna, Velocità e… Gas!

Abbiamo anche misurato la resistenza interna delle celle durante il ciclaggio usando una tecnica chiamata Intermittent Current Interruption (ICI). È emerso che all’inizio, durante la formazione del primo strato protettivo (SEI), le celle con NaBOB-TEP (con e senza additivi) mostravano una resistenza più alta rispetto a quelle con l’elettrolita di riferimento. Tuttavia, questa resistenza diminuiva rapidamente già dalla prima scarica, diventando poi simile a quella del riferimento nei cicli successivi. Interessante notare che, in generale, la resistenza era inferiore a 55°C rispetto a 40°C per tutti gli elettroliti, probabilmente grazie alla maggiore mobilità degli ioni a temperature più elevate.

Quando abbiamo provato a spingere le batterie a velocità di carica/scarica più elevate (rate test) a 55°C, l’elettrolita di riferimento ha mostrato prestazioni migliori rispetto al nostro NaBOB-TEP+PES, specialmente a velocità molto alte (2C). Questo potrebbe dipendere dalla conducibilità ionica intrinsecamente più bassa del nostro elettrolita o da uno strato SEI leggermente più “resistente” formato dal PES. È un aspetto su cui lavorare.

Un altro fattore cruciale, soprattutto per la sicurezza e la durata, è la formazione di gas all’interno della batteria durante i primi cicli. Abbiamo misurato la pressione interna delle celle durante la formazione a 55°C. Risultato? Le celle con NaBOB-TEP base e quelle con l’elettrolita di riferimento hanno mostrato un aumento significativo della pressione (20-25 mbar). La cella con NaBOB-TEP+PES, invece, ha generato molto meno gas (circa 10 mbar)! Questo è un vantaggio enorme, perché indica che il PES aiuta a formare uno strato SEI più solido e stabile fin da subito, sopprimendo le reazioni parassite che producono gas. Meno gas significa meno stress meccanico sulla cella e maggiore sicurezza.

Fotografia di una cella a sacchetto per batterie agli ioni di sodio collegata a un sensore di pressione in un ambiente di laboratorio controllato a 55°C. Obiettivo prime 50mm, focus sul sensore e sulla cella, sfondo con strumentazione scientifica sfocata, illuminazione tecnica.

Autoscarica: Chi Perde Meno Energia da Fermo?

Infine, abbiamo dato un’occhiata all’autoscarica. Cosa succede se lasciamo la batteria carica (o scarica) ferma per un po’ (100 ore nel nostro caso) a 55°C? Tutte le batterie perdono un po’ di carica, è normale. Abbiamo distinto tra perdite “reversibili” (capacità che si recupera al ciclo successivo) e “irreversibili” (capacità persa per sempre).
L’elettrolita NaBOB-TEP+PES ha mostrato perdite reversibili molto più basse rispetto agli altri due quando la batteria era lasciata carica, il che è positivo per l’utente (trova la batteria più carica dopo una pausa). Tuttavia, le sue perdite irreversibili erano leggermente superiori. Questo potrebbe essere dovuto a un SEI più organico formato dal PES, forse più incline a dissolversi e riformarsi lentamente rispetto a quello più inorganico degli altri elettroliti. Nel complesso, comunque, le perdite totali erano comparabili tra gli elettroliti studiati.

Tirando le Somme: Un Futuro Caldo (ma Stabile) per le Batterie al Sodio?

Cosa ci portiamo a casa da tutto questo? Che l’accoppiata NaBOB-TEP + 3% di PES è davvero promettente! Abbiamo un elettrolita:

  • Non infiammabile
  • Senza fluoro
  • Stabile chimicamente anche a 55°C
  • Capace di garantire prestazioni di ciclaggio a 55°C paragonabili a quelle degli elettroliti tradizionali a base di carbonati (e forse anche migliori sulla lunga distanza)
  • Che riduce drasticamente la formazione di gas

Certo, la performance a velocità di carica/scarica molto elevate è ancora da migliorare, probabilmente lavorando sulla conducibilità o sull’ottimizzazione dello strato SEI. Ma i risultati sono incredibilmente incoraggianti.

Stiamo parlando di una potenziale alternativa più sicura e sostenibile per le batterie agli ioni di sodio, adatta anche per applicazioni dove le temperature operative possono essere più alte, riducendo magari la necessità di complessi (e pesanti) sistemi di raffreddamento, ad esempio nei veicoli elettrici o nello stoccaggio stazionario. La strada è ancora lunga, ma aver trovato questa “ricetta” che funziona così bene al caldo è un passo avanti entusiasmante! Continueremo a lavorarci, perché il futuro dell’energia passa anche da qui.

Fonte: Springer

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