Immagine concettuale che rappresenta le barriere nell'educazione ingegneristica: una studentessa di ingegneria guarda un percorso pieno di ostacoli simbolici come muri di mattoni (aule sovraffollate), ingranaggi arrugginiti (curriculum obsoleto) e ombre maschili (stereotipi di genere). Obiettivo 35mm, profondità di campo, tonalità duotone blu e grigio per un senso di sfida.

Ingegneria: Missione (Im)possibile? Le Barriere Nascoste nell’Università che Frenano gli Studenti (Soprattutto le Donne)

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un tema che mi sta particolarmente a cuore e che, sono sicuro, farà riflettere molti di voi, specialmente chi bazzica o ha bazzicato i corridoi universitari, magari sognando un futuro da ingegnere. L’ingegneria, si sa, è un motore pazzesco per lo sviluppo socio-economico, un campo dove si plasmano il futuro, si risolvono problemi complessi e si migliora la vita di tutti. Pensateci: infrastrutture, tecnologie, energia, trasporti, sanità… c’è lo zampino (o meglio, il cervello) di un ingegnere quasi ovunque!

Eppure, c’è un “ma” grande come una casa: in questo mondo affascinante, la rappresentanza femminile è ancora troppo bassa. Mi sono imbattuto in uno studio qualitativo davvero illuminante che ha cercato di capire quali siano gli ostacoli, le vere e proprie barriere, all’interno dell’ambiente di apprendimento universitario che possono influenzare la partecipazione di uomini e donne nei corsi di ingegneria. E ragazzi, quello che è emerso è… beh, diciamo che c’è parecchio su cui lavorare.

Lo studio: voci dal campo

Immaginatevi la scena: ricercatori che organizzano focus group con studenti e studentesse di ingegneria di un’università ghanese, dal secondo al quarto anno. L’obiettivo? Far emergere le sfide quotidiane, le strategie per affrontarle e, soprattutto, qualche dritta per rendere l’ambiente di studio più accogliente e stimolante per tutti. I dati raccolti sono stati analizzati con cura, quasi come si analizza un circuito complesso, per far emergere i temi caldi. E questi temi sono stati raggruppati pensando alle tre dimensioni fondamentali dell’ambiente di apprendimento: fisico, pedagogico e psicosociale.

Barriere fisiche: quando lo spazio non basta

Partiamo dal concreto, dall’ambiente fisico. Vi è mai capitato di entrare in un’aula e pensare: “Ma qui dentro come ci stiamo tutti?”. Ecco, uno dei problemi principali emersi è proprio il sovraffollamento delle aule. Studenti che lottano per un posto a sedere, magari per quelli davanti, perché dietro non si sente nulla, anche a causa di microfoni malfunzionanti. E poi, i laboratori: spazi inadeguati e attrezzature scarse o datate. Immaginate la frustrazione di voler mettere le mani in pasta, di sperimentare, e non poterlo fare come si deve perché manca lo spazio o gli strumenti. Uno studente di ingegneria informatica raccontava di avere pochi computer funzionanti e di non poter usare il proprio portatile, più aggiornato, perché il professore temeva distrazioni. Paradossale, no? E quando si riesce ad accedere, spesso ci si ritrova in gruppi troppo numerosi attorno a un singolo strumento, rendendo l’apprendimento poco efficace.

Un altro aspetto, forse meno ovvio ma altrettanto importante, è la mancanza di spazi adeguati per lo studio individuale, specialmente per chi vive fuori dal campus. Trovare un angolo tranquillo per ripassare o concentrarsi diventa un’impresa.

Fotografia realistica di un'aula universitaria di ingegneria in Ghana, estremamente sovraffollata, studenti seduti per terra e in piedi, alcuni cercano di prendere appunti in condizioni difficili. Poca luce, banchi disordinati. Obiettivo grandangolare 18mm, illuminazione controllata per evidenziare il sovraffollamento, messa a fuoco nitida.

Barriere pedagogiche: tra teoria e pratica (desiderata)

Passiamo ora all’aspetto pedagogico, cioè a come si insegna e si impara. Qui le note dolenti non mancano. Molti studenti hanno lamentato sessioni pratiche inadeguate. L’ingegneria è applicazione, è “fare”, ma spesso ci si ritrova sommersi dalla teoria. Una studentessa di ingegneria biomedica diceva: “Penso che la teoria sia troppa. La pratica che ho fatto finora è ‘laboratorio di ingegneria’. L’unica cosa concreta che ho fatto è stata saldare. Penso che dei quattro anni, due dovrebbero essere dedicati alla teoria e due alla pratica”. E come darle torto?

Poi c’è la questione del curriculum, a volte percepito come obsoleto. La tecnologia corre veloce, e i programmi di studio dovrebbero tenere il passo. Alcuni studenti sentono che ciò che imparano non è al passo con le esigenze del mondo del lavoro moderno. “La programmazione che stiamo imparando non è attuale”, confidava una studentessa di ingegneria elettrica. E che dire dei metodi di insegnamento? A volte poco coinvolgenti, tradizionali, con lezioni frontali che mal si adattano a classi enormi.

Un altro punto critico è la limitata preparazione iniziale (orientation) per gli studenti. Molti arrivano con aspettative che poi vengono deluse, trovandosi ad affrontare materie che non si aspettavano o che percepiscono come irrilevanti per il loro percorso, almeno inizialmente. Certo, col tempo alcuni capiscono l’utilità di certi corsi, ma l’impatto iniziale può essere demotivante. I docenti, dal canto loro, hanno confermato che l’orientamento c’è, ma forse andrebbe ristrutturato e ripensato nei tempi, e che mancano metodi di insegnamento standardizzati e sensibili alle questioni di genere.

Barriere psicosociali: il peso degli stereotipi e l’invisibilità femminile

E qui, amici miei, tocchiamo un nervo scoperto, soprattutto per le studentesse. L’ambiente psicosociale riguarda le relazioni, il sentirsi accettati, supportati, e l’equità. Le barriere emerse sono toste:

  • Coinvolgimento limitato delle ragazze nei lavori pratici: Spesso, durante le esercitazioni, i ragazzi tendono a prendere il sopravvento, lasciando le compagne ai margini. “Quando noi ragazze prendiamo gli strumenti per usarli, i ragazzi ci dicono che siamo lente”, raccontava una studentessa di ingegneria geomatica. I maschi, pur riconoscendo l’intelligenza delle colleghe, ammettono di considerarle più lente o inadatte a compiti “pesanti”, finendo per “metterle da parte per la loro sicurezza”. Un atteggiamento che, seppur magari in buona fede, risulta intimidatorio.
  • Reazioni negative e apatia quando le donne diventano leader di gruppo: Se una ragazza viene messa a capo di un gruppo (spesso per “bilanciare” la presenza femminile), non sempre i compagni maschi collaborano attivamente. Anzi, a volte scatta un atteggiamento di sfida o di passività.
  • Silenziare e intimidire le studentesse in classe: Alcune ragazze hanno raccontato di sentirsi a disagio a fare domande per paura di essere etichettate come “saputelle” dai compagni, o peggio, di ricevere commenti sminuenti da parte di alcuni docenti se sbagliano una risposta. “Quando non riesci a rispondere a una domanda, iniziava a dire che saresti dovuta restare a casa a cucinare”, è la testimonianza scioccante di una studentessa riguardo un professore. Persino l’abbigliamento può diventare fonte di commenti intimidatori.
  • Modelli di ruolo femminili limitati: La scarsa presenza di docenti donne nel campo dell’ingegneria non aiuta. Non avere figure femminili di riferimento a cui ispirarsi può far sentire le studentesse ancora più sole o far dubitare della propria scelta. Quelle che hanno avuto docenti donne, però, ne hanno sottolineato l’impatto positivo, sia come incoraggiamento sia, a volte, per una maggiore aspettativa che spinge a dare il meglio.

Queste barriere, combinate con gli stereotipi di genere manifestati da studenti maschi, tecnici di laboratorio e docenti, finiscono per intimidire le studentesse, ridurre la loro fiducia e limitare le loro capacità esplorative. È come se l’ambiente stesso dicesse loro: “Forse questo non è posto per te”.

Fotografia realistica, una giovane studentessa di ingegneria, forse di etnia africana, in un laboratorio universitario, visibilmente isolata e leggermente intimidita mentre i compagni maschi lavorano con disinvoltura su un macchinario, ignorandola. Obiettivo 50mm, profondità di campo ridotta per focalizzare sull'espressione della studentessa, illuminazione drammatica, bianco e nero film.

È interessante notare come alcune studentesse abbiano sviluppato strategie di coping, come formare gruppi di sole ragazze per i progetti pratici, per assicurarsi di poter partecipare attivamente e imparare. “Sapevo che se mi fossi unita al gruppo misto i ragazzi avrebbero fatto tutto per me… Ma ho deciso che questa volta volevo fare qualcosa da sola”, ha detto una studentessa di ingegneria informatica. Questo la dice lunga sulla determinazione, ma anche sulla necessità di un cambiamento sistemico.

Cosa possiamo imparare e cosa possiamo fare?

Questo studio, sebbene focalizzato su un contesto specifico, ci offre spunti di riflessione universali. Ci mostra come l’ambiente di apprendimento non sia solo mattoni e lavagne, ma un ecosistema complesso dove fattori fisici, pedagogici e psicosociali si intrecciano, influenzando profondamente l’esperienza e il successo degli studenti.

Le teorie ci aiutano a capire meglio. La teoria degli stati di aspettativa, per esempio, spiega come le aspettative basate sul genere (o altre caratteristiche) portino le persone a valutare diversamente le competenze altrui, influenzando le interazioni e l’allocazione dei compiti. Se si pensa che un uomo sia “naturalmente” più portato per compiti tecnici, gli si daranno più opportunità, e viceversa per una donna. La pedagogia femminista critica, d’altro canto, ci spinge a creare ambienti di apprendimento inclusivi che sfidino le strutture di potere tradizionali e promuovano la giustizia sociale, riconoscendo e valorizzando le diverse identità ed esperienze.

Le raccomandazioni che emergono sono chiare e, direi, urgenti:

  • Sensibilizzare e formare docenti e studenti per integrare le considerazioni di genere negli ambienti di apprendimento, rendendo l’ingegneria un campo neutro dal punto di vista del genere.
  • Sviluppare e implementare curricula e pedagogie orientati alla pratica e sensibili al genere.
  • Standardizzare i metodi di insegnamento e esplorare opzioni di e-learning per gestire il crescente numero di iscritti.
  • Adottare strategie mirate per reclutare e trattenere più docenti donne di ingegneria.
  • Migliorare la quantità e la qualità delle infrastrutture per l’insegnamento e l’apprendimento.

Insomma, c’è un bel po’ di lavoro da fare. Ma la buona notizia è che identificare i problemi è il primo passo per risolverli. Creare un ambiente universitario in ingegneria che sia davvero inclusivo, stimolante e privo di barriere non è solo una questione di equità, ma una necessità per formare i migliori ingegneri e ingegnere di domani, capaci di affrontare le sfide globali con competenze e prospettive diverse. E io credo fermamente che sia una missione possibile. Voi che ne pensate?

Fonte: Springer

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *