Fotografia realistica, stile ritratto con obiettivo 35mm, di un bambino di 6 anni che guarda incuriosito uno schermo tablet tenuto dalle mani di un adulto fuori campo, luce ambientale morbida, leggero effetto duotone blu e grigio per enfatizzare l'atmosfera digitale.

Bambini Incollati agli Schermi? Ecco Cosa Conta Davvero (Spoiler: Non è Solo il Quartiere!)

Ciao a tutti! Oggi parliamo di un argomento che, ammettiamolo, tocca da vicino quasi tutte le famiglie moderne: i nostri bambini e il tempo che passano davanti agli schermi. Tablet, smartphone, TV, videogiochi… sono ovunque! E mentre ci chiediamo se sia troppo o troppo poco, se faccia bene o male, una ricerca australiana ha provato a scavare un po’ più a fondo, seguendo un gruppo di bambini dai 4 ai 7 anni per capire cosa influenzi davvero le loro abitudini digitali. E le scoperte, ve lo dico, sono affascinanti e danno parecchi spunti di riflessione.

Lo Studio: Uno Sguardo nel Tempo

Immaginate di seguire quasi 2500 bambini australiani per diversi anni, precisamente dai 4-5 anni fino ai 6-7 anni. È quello che hanno fatto i ricercatori del “Longitudinal Study of Australian Children” (LSAC). L’obiettivo? Capire quali fattori – legati al bambino stesso, allo stile genitoriale, all’ambiente domestico e persino al quartiere – fossero associati al tempo trascorso davanti a uno schermo (che chiameremo “screen time”). Hanno raccolto dati nel 2008, 2009 e 2010. Sì, lo so, sembra un’era geologica fa nel mondo digitale, ma aspettate a giudicare, perché i meccanismi di base potrebbero non essere cambiati così tanto.

In media, a 6-7 anni, questi bambini passavano circa 2 ore e mezza al giorno davanti a uno schermo. La parte del leone la faceva la TV (quasi 1 ora e 45 minuti), seguita da computer e videogiochi (circa 40 minuti ciascuno). Ora, la domanda da un milione di dollari: cosa faceva salire o scendere questo numero?

Fattori Chiave: Casa Dolce Casa (e Regole Chiare!)

Ecco dove le cose si fanno interessanti. Lo studio ha messo in luce alcuni fattori che sembrano avere un peso significativo nel determinare quanto tempo i bambini passano davanti agli schermi. Eccoli qui:

  • Essere maschio o femmina: Ebbene sì, sembra che le bambine, in media, passassero meno tempo davanti agli schermi rispetto ai maschietti. Forse una preferenza per giochi diversi? Chissà!
  • Il portafoglio di mamma e papà (Status Socio-Economico): Questo è emerso come uno dei predittori più forti. Le famiglie con uno status socio-economico più alto tendevano ad avere figli con meno screen time. Perché? Probabilmente perché hanno più accesso (e risorse) per attività alternative non digitali.
  • Attività alternative: A proposito di alternative… i bambini più coinvolti in attività di apprendimento a casa (come leggere insieme, fare puzzle, giochi educativi) e in attività extra-scolastiche fuori casa (sport, musica, scout) passavano meno tempo davanti agli schermi. Sembra ovvio, ma è una conferma importante: offrire alternative valide funziona!
  • Coerenza Genitoriale: Genitori più coerenti (quelli che, per esempio, danno un’istruzione e si assicurano che venga seguita) avevano figli con meno screen time. La coerenza nelle regole e nelle routine sembra pagare.
  • Gestione degli Schermi: Qui arriviamo al dunque. I fattori più direttamente legati agli schermi hanno mostrato un impatto notevole:
    • Niente schermi in camera da letto: Avere accesso a dispositivi elettronici nella propria cameretta era associato a un maggiore tempo davanti allo schermo.
    • Regole chiare: Avere più regole sull’uso degli schermi era associato a meno screen time.
    • Far rispettare le regole: Non basta avere le regole, bisogna anche farle rispettare! Una maggiore frequenza nel far rispettare le regole era legata a meno screen time.
    • Facilità di gestione percepita dai genitori: I genitori che riportavano di sentirsi più a loro agio e capaci nel gestire l’uso degli schermi dei figli, avevano bambini con meno screen time. Questo suggerisce che la fiducia dei genitori nelle proprie capacità educative gioca un ruolo cruciale.

Fotografia realistica di un soggiorno accogliente, una madre sorridente aiuta il figlio di 6 anni con un puzzle sul tappeto, luce calda del pomeriggio, obiettivo prime 35mm, profondità di campo che sfoca leggermente la TV spenta sullo sfondo.

E il Quartiere? Meno Rilevante del Previsto (in questo studio)

Una delle sorprese, forse, è stata che i fattori legati al quartiere – come la vivibilità percepita, il senso di appartenenza o l’indice socio-economico dell’area – non sono risultati significativamente associati allo screen time dei bambini una volta presi in considerazione tutti gli altri fattori (bambino, genitori, casa). Attenzione, questo non significa che un bel parco sotto casa non sia importante! Ma suggerisce che, almeno per questa fascia d’età (4-7 anni) e in questo contesto, le dinamiche interne alla famiglia (le regole, le abitudini, le alternative offerte) sembrano avere un peso preponderante rispetto all’ambiente esterno più ampio, quando si tratta specificamente di screen time. Forse per i bambini più grandi o gli adolescenti, il quartiere gioca un ruolo diverso.

Anche alcune caratteristiche del bambino, come i livelli di attenzione o la regolazione emotiva, che in analisi preliminari sembravano legate a più screen time, non sono rimaste significative nel modello finale completo. Forse perché a questa età, l’accesso e la regolazione degli schermi dipendono ancora moltissimo dagli adulti.

Cosa Possiamo Imparare da Tutto Questo?

Anche se i dati risalgono al 2010 (e il mondo digitale è cambiato tantissimo!), credo che questo studio ci offra delle lezioni preziose e ancora attuali. Ci dice che per promuovere abitudini digitali sane fin da piccoli, dobbiamo concentrarci molto su quello che succede dentro le mura di casa.

Ecco qualche spunto pratico:

  • Coerenza, coerenza, coerenza: Stabilire routine e regole chiare sull’uso degli schermi e, soprattutto, essere coerenti nel farle rispettare.
  • La camera da letto è sacra (e senza schermi): Limitare l’accesso ai dispositivi elettronici nelle camere dei bambini sembra essere una strategia efficace.
  • Creare alternative attraenti: Non basta dire “spegni il tablet”. Dobbiamo offrire e incoraggiare attivamente altre attività: leggere insieme, giocare all’aperto, fare sport, coltivare hobby, partecipare ad attività nella comunità.
  • Sentirsi capaci fa la differenza: Lavorare sulla nostra “autoefficacia” come genitori nel gestire gli schermi è fondamentale. Informarsi, confrontarsi, cercare supporto se necessario può aiutarci a sentirci più sicuri nel definire limiti sani.
  • Iniziare presto: La prima infanzia è un periodo critico per stabilire abitudini che possono durare nel tempo. Insegnare ai bambini ad autoregolarsi fin da piccoli, con la nostra guida, è un investimento per il loro futuro benessere.

Fotografia realistica stile still life, un tablet spento appoggiato su un comodino di legno in una camera da letto per bambini, accanto a una piccola lampada e un libro, obiettivo macro 80mm, luce soffusa, messa a fuoco precisa sul tablet.

Un Occhio al Contesto (e al Futuro)

Certo, dobbiamo tenere a mente i limiti. Lo studio si basa su dati un po’ datati, non cattura l’uso dei moderni smartphone e tablet ubiquitari oggi, e si affida ai racconti dei genitori (che potrebbero non essere sempre precisissimi). Inoltre, non analizza il tipo di contenuto guardato (educativo vs. intrattenimento puro) o il contesto d’uso (da soli vs. con altri).

Tuttavia, ci fornisce una base solida. Ci ricorda che, al di là delle mode tecnologiche, i pilastri di una buona educazione – coerenza, regole chiare, dialogo, offerta di alternative valide – restano fondamentali anche nell’era digitale. Le dinamiche familiari e le pratiche genitoriali sembrano davvero essere il cuore della questione quando si parla di screen time nei più piccoli.

Sarà affascinante vedere come studi futuri, utilizzando dati più recenti e metodologie diverse, confermeranno o modificheranno queste scoperte nell’era degli smartphone onnipresenti e dei social media. Ma per ora, il messaggio sembra chiaro: se vogliamo aiutare i nostri figli a costruire un rapporto equilibrato con la tecnologia, dobbiamo partire da casa nostra.

Fonte: Springer

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