Visualizzazione artistica e fotorealistica di una cellula di cancro al seno infiammatorio (IBC) circondata da macrofagi M2 immunosoppressori, con la proteina AXL evidenziata in rosso brillante sulla superficie cellulare. L'immagine dovrebbe trasmettere la complessità del microambiente tumorale e il ruolo chiave di AXL. Utilizzare un obiettivo macro da 70mm con illuminazione controllata per dettagli nitidi sulle cellule e un leggero effetto bokeh sullo sfondo per concentrare l'attenzione, high detail, precise focusing.

AXL: Il Regista Occulto che Arma i ‘Cattivi’ nel Tumore al Seno Infiammatorio

Amici, oggi voglio parlarvi di una scoperta che potrebbe davvero cambiare le carte in tavola nella lotta contro una delle forme più aggressive di cancro al seno: il cancro al seno infiammatorio (IBC). Immaginate una fortezza, il tumore, difesa da guardie corrotte che, invece di proteggere il regno (il nostro corpo), aiutano il nemico a prosperare. Ecco, in questa storia, una proteina chiamata AXL sembra essere il generale che addestra e comanda queste guardie traditrici.

L’IBC è un osso duro, ve lo assicuro. Rappresenta una piccola percentuale di tutti i tumori al seno, ma è responsabile di una quota sproporzionata di decessi. E la cosa frustrante è che, nonostante la sua aggressività, mancano ancora terapie specifiche. Per questo, la ricerca di nuovi bersagli terapeutici è più urgente che mai.

Il Microambiente Tumore: Un Campo di Battaglia Complesso

Negli ultimi anni, abbiamo capito che un tumore non è solo un ammasso di cellule impazzite, ma un vero e proprio ecosistema, il cosiddetto microambiente tumorale (TME). E in questo TME, ci sono tanti attori, tra cui le cellule del sistema immunitario. Tra queste, i macrofagi associati al tumore (TAM) giocano un ruolo da protagonisti, purtroppo spesso dalla parte sbagliata.

Pensate ai macrofagi come a dei soldati. Normalmente, dovrebbero combattere le infezioni e i tumori. Ma nel TME, spesso vengono “corrotti” e si trasformano in macrofagi di tipo M2. Questi M2 sono dei veri e propri alleati del tumore: lo aiutano a crescere, a formare nuovi vasi sanguigni per nutrirsi, a sfuggire agli attacchi del sistema immunitario e persino a diffondersi in altre parti del corpo (metastasi). Nell’IBC, l’infiltrazione di questi macrofagi M2 è particolarmente elevata, quasi un marchio di fabbrica.

AXL: Un Sospettato di Lunga Data

E qui entra in gioco AXL. AXL è una proteina, più precisamente un recettore tirosin-chinasico, che si trova sulla superficie di molte cellule. Sappiamo da tempo che AXL è iperespressa in vari tipi di cancro, incluso l’IBC, ed è associata a processi come la transizione epitelio-mesenchimale (che rende le cellule tumorali più mobili e invasive), l’angiogenesi tumorale e la resistenza alle terapie. Insomma, un tipetto poco raccomandabile quando si parla di cancro.

Ma c’era un pezzo del puzzle mancante: quale ruolo gioca AXL specificamente nei macrofagi TAM all’interno dell’IBC? È quello che un recente studio ha cercato di scoprire, e i risultati sono, a dir poco, illuminanti.

Smascherare AXL: Gli Esperimenti Chiave

Per capire meglio, i ricercatori hanno usato un approccio multi-livello. Innanzitutto, hanno testato un inibitore di AXL, una molecola chiamata TP-0903, su modelli murini di IBC e di cancro al seno triplo negativo (TNBC, un’altra forma aggressiva). Ebbene, il trattamento con TP-0903 ha fatto due cose importantissime:

  • Ha ridotto significativamente la crescita del tumore.
  • Ha diminuito la popolazione di macrofagi M2 (identificati dal marcatore CD206+) all’interno dei tumori.

Questo già ci dice qualcosa: bloccare AXL sembra ostacolare sia il tumore direttamente, sia i suoi “aiutanti” macrofagi. Ma come fa AXL a influenzare i macrofagi?

Per rispondere, gli scienziati sono passati a esperimenti in vitro, usando cellule monocitiche umane (THP-1) che possono essere trasformate in macrofagi. Hanno “spento” il gene AXL in queste cellule (usando la tecnica CRISPR/Cas9, una sorta di forbice molecolare precisissima) e poi le hanno stimolate a diventare macrofagi M2. Risultato? Le cellule senza AXL facevano molta più fatica a diventare macrofagi M2 “cattivi”. Esprimevano meno marcatori tipici degli M2 (come CD163 e CD206) e meno citochine (messaggeri chimici) che questi solitamente producono in abbondanza, come CCL17 e CCL18.

Immagine macro ad alta definizione di cellule tumorali del cancro al seno infiammatorio che interagiscono con macrofagi M2 all'interno del microambiente tumorale, illuminazione controllata per evidenziare le strutture cellulari e la proteina AXL, obiettivo macro 100mm, high detail, precise focusing.

Non solo: il “brodo di coltura” (mezzo condizionato) proveniente da questi macrofagi M2 con AXL spento o inibito era molto meno efficace nel promuovere la crescita e la migrazione delle cellule di IBC. È come se, senza AXL, i macrofagi perdessero la capacità di “nutrire” e “spronare” il tumore.

Il Meccanismo Molecolare: STAT6 Sotto i Riflettori

Ma come fa AXL a orchestrare questa trasformazione dei macrofagi? La ricerca ha puntato il dito su un altro attore molecolare: un fattore di trascrizione chiamato STAT6. STAT6 è noto per essere un regista chiave nella polarizzazione dei macrofagi M2. Quando le citochine “buone” come IL-4 e IL-13 (che però in questo contesto favoriscono gli M2) attivano i loro recettori sui macrofagi, si scatena una cascata di segnali che coinvolge STAT6, portando alla trascrizione di geni che caratterizzano gli M2.

Lo studio ha dimostrato che inibire o spegnere AXL nei macrofagi riduceva sia i livelli totali che la forma attivata (fosforilata) di STAT6. E, cosa ancora più interessante, se si “forzava” l’espressione di STAT6 nei macrofagi privi di AXL, questi recuperavano in parte la capacità di diventare M2 e di promuovere la migrazione delle cellule tumorali. Questo suggerisce fortemente che AXL esercita il suo effetto pro-M2 in gran parte attraverso la via di STAT6.

AXL e il Cocktail di Segnali Immunosoppressivi

Andando ancora più a fondo, grazie all’analisi dell’RNA sequencing (una tecnica che permette di vedere quali geni sono attivi in una cellula), si è scoperto che AXL nei macrofagi M2 regola l’espressione di un intero arsenale di molecole e citochine che contribuiscono a creare un microambiente tumorale immunosoppressivo. Tra queste, spiccano:

  • CCL20, CCL26 ed Epiregulina (EREG): chemochine e fattori di crescita che, come abbiamo visto, se secreti dai macrofagi M2, possono accelerare la crescita e la migrazione delle cellule IBC. Lo studio ha confermato che AXL, tramite STAT6, ne promuove la secrezione.
  • Altre molecole coinvolte nel “silenziare” la risposta immunitaria, come CD209, APOC2, MFNG, TIMP2 e GPR68.

Al contrario, spegnere AXL nei macrofagi M2 aumentava l’espressione di citochine immuno-attive, come IFNG, CXCL9 e CXCL10, che sono invece associate a una risposta anti-tumorale. È come se AXL tenesse spenti i segnali di “allarme” e accesi quelli di “via libera” per il tumore.

Visualizzazione 3D di una proteina AXL sulla membrana cellulare di un macrofago che attiva la via di segnalazione STAT6, con focus preciso sui dettagli molecolari, illuminazione drammatica per enfatizzare l'interazione, obiettivo macro 90mm, high detail.

Conferme dai Pazienti: AXL e il Profilo Immune dell’IBC

La ciliegina sulla torta è arrivata dall’analisi di campioni tumorali di 137 pazienti con IBC. Utilizzando una tecnica bioinformatica chiamata CIBERSORT, i ricercatori hanno correlato i livelli di espressione di AXL con la presenza di diversi tipi di cellule immunitarie nel tumore.

I risultati? I pazienti con alta espressione di AXL avevano:

  • Significativamente più macrofagi M2 (i “cattivi”).
  • Più cellule T CD4+ di memoria a riposo (cellule quiescenti, spesso associate a una prognosi peggiore).
  • Meno cellule dendritiche mieloidi attivate (cellule “buone” che presentano gli antigeni tumorali al sistema immunitario).
  • Meno cellule T follicolari helper (altre cellule “buone” che aiutano la risposta immunitaria).

In pratica, un’alta espressione di AXL si associava a un profilo immunitario decisamente più “freddo”, ovvero immunosoppressivo, nel microambiente dell’IBC. Questo rafforza l’idea che AXL non agisca solo sulle cellule tumorali, ma plasmi attivamente l’ambiente circostante a favore del tumore.

Implicazioni Terapeutiche: Un Nuovo Bersaglio all’Orizzonte?

Cosa ci dice tutto questo? Ci dice che AXL è un attore chiave nella progressione dell’IBC, agendo su due fronti: direttamente sulle cellule tumorali e, in modo cruciale, sulla polarizzazione dei macrofagi verso il fenotipo M2 immunosoppressivo. Questo avviene attraverso la modulazione della via di STAT6 e la secrezione di un cocktail di molecole che favoriscono il tumore.

La buona notizia è che, se AXL è così importante, bloccarlo potrebbe rappresentare una nuova, promettente strategia terapeutica per l’IBC. L’inibitore TP-0903, già testato in studi clinici di fase 1 per altri tumori solidi avanzati, ha mostrato risultati incoraggianti nei modelli preclinici di IBC. Certo, la strada è ancora lunga. Serviranno ulteriori studi, magari con modelli murini singenici di IBC (che al momento mancano e permetterebbero di studiare meglio l’interazione con un sistema immunitario completo) o modelli umanizzati, e trial clinici più ampi per confermare questi risultati nell’uomo.

Tuttavia, questa ricerca accende un faro di speranza. Aver identificato AXL come un regolatore critico dei TAM nell’IBC apre la porta a terapie mirate che potrebbero, un giorno, disarmare queste “guardie corrotte” e rendere l’ambiente tumorale meno ospitale per il cancro. E per chi combatte contro l’IBC, ogni nuova speranza è preziosa.

Un ricercatore in un laboratorio moderno osserva al microscopio campioni di tessuto tumorale mammario trattati con un inibitore di AXL, con un'espressione concentrata e speranzosa. Ritratto con obiettivo da 35mm, profondità di campo per sfocare lo sfondo del laboratorio, toni blu e grigi per un'atmosfera scientifica e riflessiva, film noir style.

In conclusione, sembra proprio che AXL sia un “cattivo maestro” che insegna ai macrofagi a tradire il nostro sistema immunitario e ad aiutare il cancro al seno infiammatorio. Ma ora che lo abbiamo smascherato, abbiamo un’arma in più per combatterlo. E questa, amici, è scienza che fa la differenza!

Fonte: Springer

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