Cancro al collo dell’utero: e se la soluzione fosse a portata di mano (e di comunità)? La mia indagine in Malawi
Amiche, parliamoci chiaro. Quando sentiamo parlare di cancro al collo dell’utero, un brivido ci corre lungo la schiena. È una malattia subdola, che globalmente è il quarto tumore più comune tra noi donne e, purtroppo, una delle principali cause di morte per cancro, specialmente nei paesi a basso e medio reddito. Pensate che nel 2020 ha fatto registrare circa 604.000 nuovi casi e 342.000 decessi. Un vero dramma, soprattutto se consideriamo che è una malattia in gran parte prevenibile attraverso lo screening.
E qui casca l’asino, come si suol dire. L’accesso allo screening per il cancro cervicale (CCS) è una vera e propria sfida in molti luoghi, e il Malawi, un paese dell’Africa sub-sahariana con un’alta prevalenza di HIV, detiene il triste primato mondiale per incidenza e mortalità di questa patologia. Le donne che vivono con l’HIV, poi, sono oltre 6 volte più a rischio di sviluppare lesioni cervicali precancerose. Insomma, un quadro non proprio roseo.
Un nemico subdolo: il cancro al collo dell’utero in Malawi
In Malawi, il cancro cervicale rappresenta circa il 29% di tutti i tumori femminili. Nonostante esista un piano strategico nazionale che prevede servizi di CCS tramite ispezione visiva con acido acetico (VIA), la copertura nazionale nel 2015 era solo del 26,5%, ben lontana dall’obiettivo dell’80%. Le ragioni? Mancanza di personale formato, di materiali, difficoltà nel trattamento delle lesioni precoci, infrastrutture carenti soprattutto nelle aree rurali, e una scarsa conoscenza generale sulla malattia e sulle misure preventive. Un bel groviglio di problemi!
Ma la scienza, per fortuna, non si ferma. E se vi dicessi che una soluzione promettente potrebbe arrivare direttamente nelle nostre mani, o quasi? Sto parlando dell’auto-prelievo per il test HPV (il papillomavirus umano, principale responsabile del cancro cervicale). Questo metodo sta diventando sempre più popolare e accettato, perché riduce l’imbarazzo, l’ansia, il disagio e il dolore spesso associati ai metodi di screening tradizionali come la VIA.
L’idea geniale: auto-prelievo HPV e pianificazione familiare, un’accoppiata vincente?
Ed è proprio qui che si inserisce uno studio affascinante, di cui voglio parlarvi oggi. L’obiettivo? Capire cosa ne pensano le donne, quali sono le loro motivazioni e il loro grado di soddisfazione nell’integrare l’auto-prelievo HPV per lo screening del cancro cervicale con i servizi di pianificazione familiare (FP) in Malawi. L’idea di base è semplice quanto brillante: offrire due servizi essenziali in un colpo solo, magari aumentando così la copertura dello screening.
Lo studio, di tipo misto (qualitativo e quantitativo), ha coinvolto donne che si sono sottoposte all’auto-prelievo HPV attraverso due modelli diversi. Il Modello 1 prevedeva l’auto-prelievo solo in clinica, mentre il Modello 2 includeva sia l’auto-prelievo in clinica sia quello a livello comunitario, supportato da operatori sanitari di comunità (gli Health Surveillance Assistants, o HSA, figure chiave nel sistema sanitario malawiano). Sono state condotte interviste approfondite con 29 donne e raccolti 766 questionari all’uscita dalle cliniche.

E i risultati? Beh, preparatevi, perché sono davvero incoraggianti!
Cosa ne pensano le dirette interessate? Le voci dal Malawi
Una delle prime cose emerse è stata la riduzione dei costi di trasporto per lo screening, un vantaggio non da poco per chi vive in contesti con risorse limitate. Le donne che hanno effettuato l’auto-prelievo in clinica (Modello 1 e parte del Modello 2) hanno apprezzato moltissimo la comodità di accedere a entrambi i servizi – screening cervicale e pianificazione familiare – in un’unica visita. “Ero molto emozionata perché ho avuto accesso a entrambi i servizi lo stesso giorno. Una cosa che mi ha anche richiesto meno tempo, perché abbiamo molte cose da fare nelle comunità“, ha raccontato una donna di Zomba.
Quelle che invece hanno beneficiato del servizio a livello comunitario (Modello 2) hanno sottolineato il valore di poter accedere ai servizi direttamente all’interno delle proprie comunità. “È un bene che visitino le nostre case, o che ci incontriamo al quartier generale… perché come ho detto è molto lontano per noi andare ad accedere ai servizi di pianificazione familiare all’ospedale… ma è facile per noi accedere a questi servizi sanitari… quando vengono qui“, ha spiegato una partecipante di Lilongwe.
Comodità e privacy: i superpoteri dell’auto-prelievo
Molte donne hanno trovato l’auto-prelievo HPV facile da usare e hanno apprezzato enormemente la privacy che garantiva. Questo aspetto è stato particolarmente sentito nel modello comunitario, dove i campioni venivano raccolti principalmente all’interno delle proprie case (camere da letto, bagni), piuttosto che in bagni pubblici affollati o nelle sale di consultazione delle cliniche. “Sì, era dentro casa, e a ognuna veniva data una stanza da usare… ognuna riceveva la spazzolina e le veniva detto di fare l’auto-prelievo in qualsiasi posto dove si sentisse a suo agio… e poi mettere la spazzolina in un sacchetto di plastica e portarla confidenzialmente all’operatore sanitario di comunità“, ha testimoniato una donna.
Anche chi ha effettuato il prelievo in clinica ha spesso riscontrato una buona privacy, potendosi chiudere in bagno. Tuttavia, alcune hanno segnalato imbarazzo per la mancanza di privacy in cliniche con bagni molto frequentati o per aver dovuto raccogliere il campione nella stanza di consultazione in presenza del personale sanitario.
Le motivazioni che hanno spinto le donne a sottoporsi allo screening? Principalmente la percezione del rischio di cancro cervicale (specialmente tra chi viveva con l’HIV), la disponibilità dei servizi nella comunità e l’esperienza di sintomi ginecologici. Molte hanno raccontato di aver sentito parlare dell’opportunità di screening mentre erano in clinica per altri servizi, come la pianificazione familiare o le visite pediatriche, e hanno deciso al volo di partecipare. “Ho incontrato questo servizio per caso, ma desideravo da tempo fare lo screening per il cancro cervicale… quando stavo ricevendo i servizi di FP, mi è stato detto che c’era la possibilità di fare lo screening oggi, così ho scelto di farlo“, ha detto una donna.

Sentirsi padrone della propria salute: una rivoluzione silenziosa
Un aspetto che mi ha colpita moltissimo è stato il senso di empowerment. Molte donne hanno espresso soddisfazione per aver potuto prendere la decisione di sottoporsi allo screening senza dover consultare i propri mariti. In contesti dove le norme culturali e di genere spesso limitano l’autonomia decisionale femminile in materia di salute, questa è una piccola, grande rivoluzione. “Dopo aver sentito parlare dello screening per il cancro cervicale, ho deciso di accedere al servizio, e dopo tutto è successo lo stesso giorno, fino a ricevere i miei risultati“, ha confidato una partecipante.
E la cosa ancora più bella? Nessuna ha riferito di aver subito danni sociali o incomprensioni dopo aver rivelato i risultati del test HPV ai partner, anche in caso di risultato positivo. Anzi, molte hanno raccontato di aver ricevuto supporto. “Mio marito ha accolto bene la questione (HPV positivo), ed era molto contento quando gli ho detto che ero andata in ospedale e mi avevano trovato un virus che causa il cancro cervicale. Mi elogia per aver deciso di farmi lo screening“. Questo dimostra quanto sia importante coinvolgere anche gli uomini e la comunità nell’informazione e sensibilizzazione.
I numeri parlano chiaro: soddisfazione alle stelle!
Passiamo ai dati quantitativi, quelli dei questionari. Tenetevi forte: il 92,5% delle donne in entrambi i modelli si è dichiarata “molto soddisfatta” della procedura di auto-prelievo! Un altro 6,1% era comunque soddisfatta, e meno del 2% ha espresso insoddisfazione. Praticamente la totalità delle intervistate (99,89%) ha dichiarato che raccomanderebbe l’auto-prelievo per lo screening del cancro cervicale alle proprie amiche.
La soddisfazione derivava anche dalla percezione che l’auto-prelievo fosse veloce e conveniente rispetto alla VIA, dove le attese possono essere lunghe. E, come già accennato, la paura del dolore o dell’imbarazzo legati all’uso dello speculum durante la VIA ha giocato un ruolo importante nel far preferire l’auto-prelievo. “È un metodo buono e utile perché non senti alcun dolore, e non c’è nessuno con te [quando raccogli il campione] finché capisci cosa ti è stato detto“, ha commentato una donna.
Qualche ombra, ma la luce prevale
Certo, non è stato tutto perfetto. Tra le poche donne che si sono dichiarate meno che “molto soddisfatte” dell’auto-prelievo HPV, la preoccupazione più comune riguardava la tempestività: il 25% ha citato risultati ritardati o non disponibili e il 15% lunghi tempi di attesa. Un altro 15% ha espresso incertezza sull’aver eseguito correttamente l’auto-prelievo o preferenza per l’esperienza di un operatore sanitario. “Per i risultati, dovrebbero iniziare a darli lo stesso giorno, così uno sa che tipo di farmaco deve ricevere, perché quella volta sono tornata a casa senza sapere i miei risultati e non ho ricevuto alcun farmaco“, ha lamentato una partecipante.
Questi sono punti importanti su cui lavorare, per esempio migliorando la comunicazione sui tempi di attesa per i risultati HPV e fornendo rassicurazioni e istruzioni ancora più chiare sulla procedura di auto-prelievo.

Un futuro più roseo per la prevenzione?
Cosa ci portiamo a casa da questo studio? Tantissimo! Innanzitutto, la conferma che le donne in Malawi hanno accolto con grande favore l’auto-prelievo HPV e la sua integrazione con i servizi di pianificazione familiare, sia a livello di clinica che di comunità. Hanno apprezzato la comodità, la privacy e la riduzione delle barriere economiche.
L’autonomia decisionale che questo approccio ha offerto è stata un fattore chiave per la sua accettazione. E il fatto che la rivelazione dei risultati sia stata accolta con comprensione e supporto dai partner è un segnale potentissimo del cambiamento culturale che può avvenire quando le comunità sono ben informate.
Questi risultati suggeriscono che integrare lo screening per il cancro cervicale tramite auto-prelievo nei servizi di pianificazione familiare potrebbe davvero migliorare la copertura dello screening in Malawi e in contesti simili. È una strategia che mette le donne al centro, rispettando la loro dignità e offrendo loro strumenti concreti per prendersi cura della propria salute.
Certo, ci sono aspetti da affinare, come la gestione dei tempi per i risultati e il rafforzamento della fiducia nella corretta esecuzione dell’auto-prelievo. Ma la strada intrapresa sembra quella giusta. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato una strategia globale per l’eliminazione del cancro cervicale entro il 2030, con obiettivi ambiziosi: 90% delle ragazze vaccinate contro l’HPV entro i 15 anni, 70% delle donne idonee screenate entro i 35 e di nuovo entro i 45 anni, e 90% delle donne con displasia cervicale o cancro trattate. L’auto-prelievo HPV, integrato in modo intelligente con altri servizi sanitari, potrebbe essere una delle chiavi per raggiungere questi traguardi e salvare innumerevoli vite.
Personalmente, trovo questi sviluppi incredibilmente speranzosi. Vedere come soluzioni innovative, pensate ascoltando le esigenze delle donne, possano fare una differenza così grande è ciò che dà un senso profondo alla ricerca scientifica. E chissà, magari un giorno potremo davvero dire di aver sconfitto questo “nemico subdolo”.
Fonte: Springer
